AUSILIARIE NELLA RSI (REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA)



Ausiliarie in Garfagnana
 
 
UN'AUSILIARIA DEI «CACCIATORI DEGLI APPENNINI»
Adriana Gatti 
 
    
   A Venezia
    
    Avevamo frequentato - dal 1° maggio al 18 giugno 1944 - il primo Corso di Addestramento “Italia’’ indetto dal S.A.F. diretto dalle indimenticabili Comandanti Ida Valeri e Jolanda Favero.
    È risaputo che, in divisa grigioverde (gonna, sahariana, basco con fiamma) fummo addestrate nella più ferrea disciplina ai servizi assistenziali ospedalieri, amministrativi, di protezione antiaerea, per sostituire i militari destinati ai reparti combattenti. Nell’eventualità di bombardamento si sarebbe dovuto portare aiuto anche ai civili ed erano state impartite le direttive per la priorità del soccorso.
    Nel clima di speranza per le sorti della nostra amata Patria tradita, venimmo addestrate in svariati esercizi ginnici, che ci sarebbero poi serviti a sopportare e a superare fatiche e disagi. Eravamo state abituate alle marce. Mentre percorrevamo le vie del Lido di Venezia e da Palazzo al Mare alla punta estrema di Malamocco, cantavamo gli inni di guerra dei nostri eserciti combattenti, e per la prima volta l’inno delle ausiliarie “Canta giovinezza’’, le cui parole non dimenticherò mai:
    Canta, giovinezza, la canzon del cuore
    presa dall’ebbrezza e da un comune ardore.
    È la Patria amata
    che rinasce alata
    la Patria che di luce splende ancora.
    Noi ci recheremo in guerra
    se la Patria lo vorrà.
    Morirem su nostra terra
    e se l’Italia vice
    bello pur sarà.
    È nata dal dolore 
    nel cuore la fiamma ardente
    che le ali ci darà.
    È la nostra prima guerra
    lo giuriam, si vincerà!
    
    Alla fine del Corso il Comando S.A.F. formò - come riportato su “Gli ultimi in grigioverde’’ di Pisanò - il quadro dirigenziale: Ufficiali e Sottufficiali che sarebbero state impegnate anche nei Corsi Nazionali che dovevano far seguito al primo, l’”Italia’’.
    È interessante rendere noto che il Comando, nella scelta delle graduate e delle ausiliarie semplici, per la prima volta in Italia, si era avvalso dei test psico-attitudinali. Le ausiliarie semplici, volontariamente disponibili, furono assegnate ai Reparti combattenti della R.S.I.; fu concessa, al termine del Corso, una licenza di circa dieci giorni.
    Le volontarie che formavano il gruppo per il C.A.R.S. puntualmente giunsero a Sorbolo (PR) e si presentarono al Comando ai primi di luglio. Contrariamente a quanto avvenne, all’inizio, presso qualche altro reparto, il gruppo di cui facevo parte fu bene accetto dagli ufficiali e cordialmente accolto dai militari.
    
    
    La partenza
    
    Si seppe subito che era imminente la partenza dal luogo, ma senza naturalmente conoscere la destinazione.
    Nelle prime ore di un mattino, verso la metà di luglio, col Reparto ben equipaggiato, si raggiunse la vicina stazione di Brescello dov’era pronta la tradotta per il viaggio di trasferimento. Si sarebbe dovuti partire alle nove e tutti, ufficiali, militari, ausiliarie eravamo a posto negli scompartimenti quando, improvvisamente, sentimmo il rombo degli aerei nemici. Gli ufficiali, calmi, diedero l’ordine di scendere immediatamente, e di allontanarsi il pià possibile dal convoglio. Fu provvidenziale che fosse stata disposta la partenza in mezzo alla campagna. Distendendoci il più possibile rasente terra, ci sparpagliammo per la pianura mentre gli apparecchi, in due ondate successive, mitragliarono il convoglio senza fortunatamente arrecare danno alle persone ed ai mezzi. Paura? Certamente ne avemmo, ma riuscimmo a nasconderla in petto nonostante che il cuore - muscolo cavo involontario - battesse fortemente. Non è vanagloria aggiungere che noi ausiliarie destammo l’ammirazione degli ufficiali e fummo d’esempio ai soldati.
    Solo nella tarda mattinata, verso le undici, fu possibile partire percorrendo anche lunghi tratti di rete ferroviaria secondaria, in quel periodo ancora efficiente, toccando stazioni di pianura.
    
    
    Il viaggio
    
    Fu un viaggio movimentato, emozionante, indimenticabile; si dovette scendere più e più volte nella giornata allo scopo di sparpagliarci per la campagna non appena giungeva al nostro orecchio il rombo, ancora lontano, degli apprecchi nemici, che per tutta la giornata sorvolarono il cielo. Sembrava fossero proprio alla ricerca del nostro convoglio; fortunatamente questo sfuggiva alle incursioni perché fermato in piena campagna, tra gli alberi.
    Come Dio volle, nella tarda serata (ore 23-24) di quella giornata estiva calda, afosa, interminabile, la tradotta raggiunse Treviso e venne fatta sostare alla stazione “smistamento’’ di quella città. Tutti ci buttammo giù dal treno, correndo, assetati, in cerca di acqua. Dal mattino non si beveva. Fu provvidenziale un forte getto di abbondante acqua che scendeva dall’alto di un gran tubo metallico, nonché l’acqua di un rubinetto usato per i servizi ferroviari.
    Risaliti sul convoglio si raggiunse Bassano del Grappa intorno alla mezzanotte.
    Fu durante quel lungo, interminabile viaggio che il Capitano Piccoli del Servizio Informazione (putroppo ucciso dai partigiani il 5 maggio 1945) disse alle ausiliarie: “Ma chi ve l’ha fatto fare?’’ alludendo alla vita tranquilla, pur nel clima di guerra, che ognuna di noi avrebbe potuto trascorrere in famiglia o nell’espletamento delle pratiche di lavoro, conquistato con lo studio e per regolare concorso (le ausiliarie avevano conseguito o la laurea o il diploma di scuola superiore).
    
    
    Bassano del Grappa
    
    In quella notte movimentata, marciando incolonnati (militari, ausiliarie con gli ufficiali) si raggiunse un grande edificio, sede di una scuola, adibito però a caserma. Noi ausiliarie venimmo sistemate in una grande aula, ma poco tempo dopo fummo trasferite presso un Istituto di religiose. Il nostro Comandante si preoccupò sempre di renderci il più possibile confortevole l’alloggio, nel limite della disponibilità di tempo, di luogo e di azioni militari.
    Con tempestività, già il giorno dopo l’arrivo, tutto era pronto (secondo le disposizioni del Comando) per uno svolgimento di vita militare ben preordinata, le ausiliarie presenti negli uffici per il disbrigo delle varie pratiche. Una di loro passò volontariamente, dall’Ufficio Informazioni all’ambulatorio medico. Senza essere infermiera diplomata, aveva una naturale predisposizione per l’assistenza ai sofferenti. Fu accanto al Tenente medico durante le visite e le cure ai militari; teneva pulito l’ambulatorio e pronto e ordinato il materiale di sanità. Le volontarie che sarebbero state diplomate infermiere della C.R. stavano, allora, frequentando il secondo Corso Nazionale “Roma’’ (a Venezia, presso l’Hotel des Bains) al termine del quale, circa un mese dopo, sopraggiunse la prima ausiliaria infermiera, Maria Buglione.
    Intanto si era costituito il Raggruppamento “Cacciatori degli Appennini’’ per trasformazione del C.A.R.S.
    Due reggimenti, il 1° e il 2°, furono impegnati in una importante azione di rastrellamento sul Grappa e dintorni. Non trovarono ombra di partigiano. Più tardi, sempre sul Grappa, dove si erano ancora annidati i traditori della Patria, avvenne la rappresaglia dei Tedeschi dopo che, per bando, li avevano invitati a deporre le armi. Durante le varie azioni si vivevano momenti di grande tensione e di trepida attesa.
    Grazie a Dio, si trascorrevano anche giorni tranquilli. In libera uscita, noi ausiliarie, in gruppi di tre o quattro, visitavamo Bassano per conoscere le vie ed i luoghi più belli, e arrivavamo sovente sul famoso Ponte. Strada facendo, incontravamo militari, e quelli che conoscevamo meglio a causa del lavoro si univano a noi nella passeggiata (con l’intento di essere la nostra “guardia del corpo’’). Ci consideravano le loro sorelle. Durante il cammino si trattavano i più svariati argomenti. Tra noi volontari R.S.I. ci si intendeva a meraviglia (è facile comprenderne la ragione), e l’una sapeva tutto dell’altro o degli altri.
    La popolazione di Bassano non ci parve mai ostile. Con i civili che si muovevano nell’ambito della Scuola Professionale (dove era stato installato l’ambulatorio militare) si era instaurato un rapporto di cordialità. Si era nel periodo estivo ed erano aperti solo gli uffici. Nei giorni festivi la gente stava ad osservare il Raggruppamento che, ben incolonnato, si recava ad assistere alla messa (piano tattico permettendolo). Durante il rito, con tanta accorata passione, tutti cantavano “La Preghiera del Legionario’’: “Iddio che accendi ogni fiamma...’’, preghiera che verrà elevata al Signore da tutti i combattenti della R.S.I. e.... anche nei campi di concentramento.
    
    
    Trasferimento in Piemonte
    
    Verso la fine di ottobre ‘44 venne l’ordine di trasferimento in Piemonte. Il viaggio fu compiuto a tappe, a mezzo autocarri. Dovemmo rischiosamente oltrepassare i fiumi Po e Ticino, i cui ponti erano stati distrutti dalla rabbia nemica. Inoltre era sempre imminente il pericolo di apparecchi in ricognizione che potevano scendere in picchiata.
    Dapprima si raggiunse Crema dove c’era il Deposito del Raggruppamento. Si proseguì, dopo qualche giorno, fino a Savona per salire a Millesimo. Questo tratto di strada fu percorso, a sera inoltrata, in un clima di forte tensione.
    Poco tempo prima, durante dei rastrellamenti, c’erano state molte perdite. Una mitragliatrice era stata piazzata sul davanti del primo autocarro, in previsione di un attacco partigiano. I militari che lì ci avevano preceduto, provenienti da altri luoghi di dislocamento dei “Cacciatori Appennini’’, accorsero al nostro arrivo. Erano stati in ansia per il ritardo. Noi ausiliarie venimmo accolte a braccia aperte dalle sorelle infermiere Lina Rachele Cirotto e Anna Maria Gobbi Fratini che provenivano dal Corso “Roma’’.
    
    
    Ceva
    
    Da Millesimo il Raggruppamento passò, tra la fine di novembre / primi di dicembre, a Ceva e zona limitrofa. Il Comando si installò al Castello. Le ausiliarie (e anche i militari) furono alloggiati nelle adiacenze, ma prima ancora di Natale, trasferiti in una sala al pianterreno dell’Albergo Italia. Le brandine per il riposo notturno erano state simpaticamente sistemate a divano.
    Già nei giorni seguenti all’arrivo tutti erano al posto d’impiego assegnato. Nei vari uffici del Comando: Briga, Carboneri, Gatti, Regazzo. Nell’ospedale militare le infermiere crocerossine: Buglione, Cirotto, Gobbi Fratini coadiuvate dalle ausiliarie Rusticali, Mottola, Italia Longo.
    La Linda Chiolerio fu di valido aiuto ai militari in azione: sapeva arrivare al momento opportuno. Linda Chiolerio e Italia Longo erano state arruolate direttamente dal Comando.
    Del gruppo iniziale mancavano la Gobessi e la Rosita Bentivegna. Prima del trasferimento in Piemonte la Gobessi era passata ad altro incarico e la Bentivegna (cara, indimenticabile Rosita, sempre serena, mai stanca, dinamica) fu destinata ad altro Reparto combattente.
    A Ceva si visse nel clima rovente della sanguinosa lotta partigiana, nell’unione meravigliosa di spirito e di azione tra ufficiali, gregari, ausiliarie. Grande era la nostra stima per le virtù militari e umane che si riscontravano dal Comandante Capo dei Cacciatori, Colonnello Aurelio Languasco, al Colonnello Dal Piaz, ai gregari. In gran parte provenivano da vari fronti (Grecia, Jugoslavia ecc.) su cui avevano combattuto prima dell’8 settembre. Essi vivevano il dramma di dover combattere contro i fratelli, ed ebbero sempre comprensione per gli sbandati. Gli addetti al Servizio Sanitario (consenziente il Comando) permettevano alle varie persone che transitavano per Ceva di rifocillarsi con lo stesso rancio che veniva distribuito in corsia (si sapeva benissimo che erano parenti degli sbandati).
    
    
    All’Ospedale Militare
    
    L’Ospedale Militare era stato allestito in un’ala dell’Ospedale Civile, situato di fronte all’Albergo Italia, alloggio delle ausiliarie; per accedervi si oltrepassava il ponte sul corso d’acqua che, a breve distanza, finisce nel Tanaro.
    Gli ufficiali del Servizio Sanitario erano il Magg. Gazzaniga, direttore, il Capitano Tagliaferri, coadiuvati da un sergente, studente di medicina.
    Le sorelle crocerossine svolgevano la loro missione di assistenza ai degenti, in prevalenza feriti, con grande spirito di abnegazione; infaticabili, erano sempre a disposizione dei medici ufficiali (dormivano in ospedale). Lina Cirotto, quando fu necessario, donò il suo sangue; salvò anche da sicura morte un partigiano.
    Tra il gennaio e il febbraio i Cacciatori in un’azione di rastrellamento avevano sorpreso in una casa i partigiani che, tra gozzoviglie, stavano divertendosi cantanto e ballando. Il luogo fu circondato; partirono spari dall’una e dall’altra parte. Il partigiano di cui sopra, ferito ad un braccio (l’ausiliaria non ricorda se destro o sinistro) fu trasportato a Ceva all’ospedale da campo. Da parte degli ufficiali sanitari venne fatto tutto il possibile per salvargli il braccio, ma si dovette procedere all’amputazione, essendo subentrata una grave infezione. Fu permesso alla madre di rimanere al capezzale del figlio prima ed anche dopo l’operazione. Tutti si dimostrarono premurosi con lei: ogni tanto nel corso della giornata, le veniva offerta una tazza di caffè come corroborante del cuore.
    
    
    Lo strazio di una madre
    
    In qual periodo di tempo, per espresso desiderio del Comando, l’ausiliaria che scrive era passata dall’Ufficio Informazioni alla Direzione della mensa in ospedale. La cara, brava Nini Regazzo sarebbe stata in grado di svolgere il lavoro prima espletato in due, mentre all’Ospedale Militare era necessaria - in cucina - la presenza di un’ausiliaria per una più attenta cura del cibo... Non ci doveva essere dispendio di derrate alimentari, era necessario regolare bene i viveri (distribuiti anche alla popolazione per il cui rifornimento, a Cuneo, si dovevano superare serie difficoltà di viaggio).
    Tra la fine dell’inverno e l’inizio di primavera (per circa un mese e mezzo), il Comando aveva ospitato in una camera dell’albergo, sopra l’alloggiamento delle ausiliarie, la mamma di un Caduto, Nino Vannetti - III Btg. Alpini Cadore - giunta a Ceva con la figlia. Sperava che il Comando fosse in grado di consegnarle in breve tempo i resti del figlio, studente di medicina, trucidato nel mese di novembre, dalla banda “Mauri’’. L’attesa fu lunga.
    Il Comando Cacciatori intendeva arrivare a togliere la posizione occupata, ma al momento opportuno, dopo azione studiata e sicura, per non mettere a repentaglio altre vite. Intanto le ausiliarie dovevano assistere alla sofferenza della madre. Ogni notte giungeva all’orecchio il suo lamento; nel dolore lancinante invocava il nome del figlio, in continuazione. Alcune andavano in camera cercando di consolarla in mille modi. Talvolta era la figlia che, non riuscendo ad acquietarla, scendeva a chiedere aiuto. Al limite delle sue forze, per la lunga attesa, la signora Vannetti si rivolse ai religiosi perché si ponessero come intermediari per la restituzione della salma del suo adorato figlio. Offrì una somma che, di volta in volta, veniva aumentata... Dovette rinunciare.
    Finalmente i Cacciatori combattenti riuscirono a rioccupare la posizione. Rinvennero in una fossa comune i resti dei Caduti. La sorella, commossa, trepidante, cercò e ricompose nella bara quelli dell’amato fratello Nino.
    
    
    Nostri Caduti
    
    Eventi dolorosi sarebbero accaduti a breve distanza. Nel marzo e precisamente il giorno 4, si svolse un aspro combattimento, in località Pedaggera.
    Il coraggioso, indomito Comandante Languasco fu ferito gravemente alla mano e al braccio destro. Caddero il Tenente di artiglieria, già alpino della Julia, Bernareggi, ufficiale addetto al Comando, ed il Maggiore Luigi Favuzzi dell’Uff. Operazioni. È doveroso ricordare la fine gloriosa dei due ufficiali. Durante l’azione il Tenente era alla mitragliatrice; colpito dall’avversario continuava a sparare. Sentendosi morire, prima di lasciare l’arma, invitava Favuzzi a continuare! Purtroppo anche il Maggiore cadde, raggiunto da raffica. Caddero altri combattenti, tra cui Nino Bianchi Carnevale, di Sannazzaro de’Burgundi, camicia nera.
    Il primo del mese ricorreva la S. Pasqua. Un gruppo di militari si era spinto in collina. Nei dintorni di Lesegno furono accerchiati. L’alpino Ziletti, studente universitario, rimase gravemente ferito mentre portava aiuto a un commilitone. Trasportato all’ospedale da campo, gli Ufficiali medici tutta la notte gli furono accanto per strapparlo alla morte.
    Le ausiliarie con mille premurose attenzioni lo rincuorarono per fargli sentire il loro affetto. Nella notte del 1° aprile serenamente spirò. Gli era accanto Renzo, l’alpino fratello minore. A seguito delle ferite e della degenza in ospedale del Col. Languasco, il Comando era stato assunto dal Col. Dal Piaz.
    
    
    Il ripiegamento dei “Cacciatori’’
    
    I Cacciatori erano ben saldi nelle loro posizioni quando, improvvisamente, giunse l’ordine di ripiegamento. Il Col. Languasco non era ancora completamente guarito, ma si affrettò a riprendere il comando.
    La ritirata iniziò oltre le ore 21 del 27 aprile.
    Intento del Comando, secondo un piano ben determinato, era quello di raggiungere, attraverso tutto il Piemonte, la Valtellina per l’estrema resistenza. Le tappe del percorso effettuato, da Ceva, a Fossano, a Savigliano... fino ad arrivare a Castellamonte, a Bario Torre, tra la fine di aprile e i primi di maggio, sono già storia...
    I Cacciatori in ritirata, presi talvolta alle spalle, risposero sempre con intuitiva precisione e comprensibile amarezza, al fuoco dei partigiani, tanto da metterli in fuga. Il passaggio sui fiumi si presentò sempre difficile e pericoloso.
    Quando si dovette oltrepassare il Tanaro, la situazione divenne veramente grave. Le ausiliarie e i militari erano nel bel mezzo del fiume su un autocarro trainato da cavalli (era venuta a mancare la benzina) quando, dalle alture alle spalle, fioccarono le pallottole delle mitragliatrici. Incitando i cavalli, si raggiunse la sponda opposta, ed una passerella costruita celermente portò tutti gli appiedati sull’altra riva.
    Con rapidità fulminea, i Comandanti fecero piazzare le mitragliatrici sulla scarpata della strada per rispondere al fuoco. Come iniziarono le raffiche dei nostri, la parte avversaria desistette. Su ordine dei Superiori Ufficiali, a marcia forzata, in ordine sparso, i militari e le ausiliarie raggiunsero l’abitato. Si era appena al chiuso quando giunsero ad ondate, chiamati per radio dai partigiani, gli apparecchi dei vari nemici che cominciarono a mitragliare. Si sentivano i colpi sui tetti, contro i muri. Si temeva che qualche pallottola giungesse a colpire, nel caso fossero stati rotti i vetri. Fortunatamente, all’improvviso, tutto cessò.
    Dopo qualche ora di riposo, la colonna sempre compatta proseguì, ancora per tappe, il cammino della ritirata, tra disagi superati con intelligenza e volontà. Ancora quelli che definiscono “prodi partigiani’’ si fecero avanti per richiedere la resa mentre si proseguiva per Castellamonte. Ufficiali e gregari, come già detto precedentemente, e come anche già riferito per varie testimonianze, con fierezza risposero che i Cacciatori si sarebbero arresi ai nemici Anglo-Americani, non a loro che avevano solo intralciato la via del combattimento.
    Si ebbe notizia della resa agli Americani, tra l’uno e il due maggio, quando ci si dirigeva da Bellamonte a Bairo Torre. L’indimenitcabile, audace, nobile d’animo Col. Languasco, il 5 maggio alle ore 11 riunì le sue care truppe per far conoscere i termini della resa. Le ausiliarie presenti notarono la commozione di quegli uomini forti che si erano dovuti arrendere solo per avverso destino.
    Durante tutto il tragitto, con la loro fiera presenza erano di conforto e di incitamento; fu loro preciso compito il tener alto il morale, non mostrando mai segno di abbattimento. All’inizio del ripiegamento, certamente un certo sconforto aveva invaso l’animo, ma si cercava di reagire ricordando i tempi migliori e sperando sempre. Ci si distoglieva dal pensiero degli eventi in corso, ringraziando Dio che nell’amarezza del momento avesse disposto che si transitasse per luoghi incantevoli, mai visti prima.
    Fu di grande sollievo il canto degli usignoli sul finire della notte e l’alba. La prima volta che lo si udì fu improvvisa, grata sorpresa. Sull’autocarro in transito, le ausiliarie pisolavano, sedute sul proprio sacco, quando giunsero alle loro orecchie le note del gorgheggio. L’ausiliaria Gatti si sentì stringere calorosamente la mano dalla Regazzo che le sussurrò: “Iddio è con noi!’’. Le altre sollevarono il capo dal dormiveglia, con la stessa sensazione...
    
    
    La resa
    
    Nel dare l’ultimo, affettuoso saluto, il Col. Languasco disse che il Raggruppamento avrebbe dovuto prepararsi al viaggio per il campo di concentramento. Se qualcuno riteneva di poter raggiungere la propria abitazione, era libero di farlo.
    Il Cap. Piccoli, il Cap. Tolomeo, il Magg. Zanchi, il Cappellano militare decisero di tentare di arrivare fino a Torino. Il Cap. Piccoli fu sempre incerto fino all’ultimo. Ai compagni d’arme diceva che certamente avrebbero sofferto tra i reticolati, ma avrebbero avuta salva la vita, mentre incerto e non senza pericoli si presentava il loro viaggio. In quel momento certamente pensava alla sua famiglia, ai figli che aveva molto cari.
    Due ausiliarie erano state presenti mentre il Capitano esponeva il suo pensiero. Ritennero poi che gli amici ufficiali fossero riusciti a vincere la sua resistenza col seguente ragionamento: la guerra era ormai finita, gli Alleati avevano invaso il Nord, e nella zona c’erano gli Americani.
    Mentre i Cacciatori si apprestavano al viaggio per Ivrea, i quattro Ufficiali, salutando, si allontanarono. Non percorsero molta strada che vennero fermati dai partigiani, derubati dal portafoglio, di ogni loro avere e uccisi.
    
    
    Il Capitano Piccoli
    
    Ironia della sorte: Lui che era stato capitano d’artiglieria, eroico combattente in Jugoslavia, Lui che portava i segni delle ferite nella carne, che poteva esimersi dall’essere inviato nella zona di combattimento, che soffriva per i rastrellamenti, venne barbaramente ucciso, a sangue freddo, dai suoi stessi fratelli. Le ausiliarie che assolvevano il loro compito all’Ufficio Informazioni ebbero modo di conoscerlo bene.
    Lo stimavano come Soldato e come Uomo: aveva il senso religioso della vita, sentimento che era in molti di noi (più d’uno, dopo la guerra divenne sacerdote). Il Cap. Piccoli espresse giudizi positivi nei confronti delle ausiliarie, sia per quanto riguardava il loro lavoro, sia per il loro giusto, sereno contegno a conforto dei militari.
    
    
    Campo di concentramento Scandicci
    
    In quel lontano 5 maggio 1945, mentre la colonna era in procinto di avviarsi verso la prigionia, le ausiliarie furono avvicinate da un gruppo di militari che disse loro: “Lo sapevamo, sorelline, che non ci avreste abbandonati’’. Per un attimo, avevano avuto un dubbio: forse li avremmo lasciati, per non finire in campo di concentramento.
    Il reparto, compatto, con le sue armi, procedeva alla volta di Ivrea. Sull’imbrunire si giunse sul vasto piazzale antistante lo stabilimento Olivetti, requisito dagli Alleati quale Campo di concentramento.
    Mentre i militari transitavano, fieri, sempre incolonnati, deponevano le loro armi. Sui volti di ciascuno traspariva il dolore di dover lasciare l’oggetto o il mezzo che gli era stato caro, sia nella prospera che nell’avversa vicenda della guerra. Non tutti riuscirono ad impedire che, tra ciglio e ciglio, spuntasse qualche lacrima; un giovane valoroso, che aveva sempre dimostrato decisione e coraggio (proveniva dall’Africa perché figlio d’italiani residenti sulla “Quarta sponda’’), gettando l’arma, si allontanò singhiozzando.
    Da Ivrea, dopo qualche giorno, il Reparto del R.C.A., ormai privo di armi, fu autotrasportato a Parabiago; poi, passando per Modena, a Coltano.
    E qui avvenne la separazione dai militari, ai quali dovemmo dire addio per proseguire per il Campo di Concentramento femminile di Scandicci, (già sede della nostra gloriosa Aeronautica) a poca distanza da Firenze.
    Fummo qui trattenute prigioniere degli Americani fino al 14 settembre, giorno in cui ci consegnarono alle autorità italiane che ci trattennero ancora fino al 30 novembre 1945, a Casellina, sempre nelle vicinanze di Firenze.
    In ottobre ci giunse notizia che gli ufficiali e i soldati della R.S.I. prigionieri a Coltano venivano via via rilasciati: naturalmente la notizia ci riempì di gioia.
    Prolungandosi per noi ausiliarie il tempo del rilascio, un certo scoramento ci aveva invaso l’animo, più che per il desiderio di libertà per l’incertezza della sorte toccata ai nostri cari lontani durante la primavera di sangue.
    A risollevare i nostri animi, un bel giorno, alla fine di ottobre, ricevemmo la visita inaspettata - e graditissima - del Tenente Paoloni e del Tenente Mambrini. Usciti dal campo di Coltano e avendo appreso che le ausiliarie erano ancora trattenute dalle autorità italiane, si erano spinti fino a Casellina, prima di raggiungere le loro famiglie.
    Sorpresa maggiore avemmo pochi giorni dopo quando, inaspettatamente, ci giunsero due loro lettere. Coi loro scritti intendevano rincuorarci e infonderci speranza per l’avvenire. Il Tenente Paoloni (spirito arguto), che aveva indirizzato la lettera: “Alle Ausiliarie del più glorioso Reparto post Pico della Mirandola’’, ironizzava per averci trovate un tantino giù di morale.
    Mambrini, dopo essersi dichiarato contento di averci ritrovate, continuava: “Vi allego il commiato che il poeta Gino Bonola della Folgore ha lanciato attraverso “Il megafono’’, giornale sorto nel campo P.W. 337/5, a tutti noi, crociati e cruciati dell’onore, perché possiate raccogliere da questo anche il mio saluto sincero e devoto di fratello purissimo di Fede e di Ideali, e nello stesso tempo la promessa che non mi dimenticherò mai di voi, che avete rifatto con le vostre mani una Bandiera e l’avete servita, assieme a noi, con abnegazione e un eroismo superiore ad ogni aspettativa’’.
 
 
da TRE DIARI DI AUSILIARIE A cura della Associazione Culturale Servizio Ausiliario Femminile. Edizioni NUOVO FRONTE.1999.

I RICORDI NEL CASSETTO
Velia Mirri
 
 
    Novara - fine aprile ’45
    
    [...]
    
    
    Dalla “Ferrandi’’ alla “Tamburini’’
    
    Dalla caserma “Ferrandi’’ si parte in colonna per tre, scortate da una doppia fila di garibaldini col mitra. La sfilata è senza dubbio di bellissimo effetto perché la folla accorre ai bordi della strada... I novaresi, se potessero, ci salterebbero addosso, ma per fortuna siamo ben difese dai “cavallereschi’’ garibaldini...
    Gli epiteti più vari, le espressioni più fiorite, gli aggettivi più eloquenti... Tutti in una volta! Povero popolo italiano, che pena in questo momento! Ovviamente, non bado agli insulti, ma penso che se c’è una giustizia divina, non dovrebbe permettere di oltraggiare così volgarmente chi ha lasciato tutto per la Patria, chi per dei mesi ha combattuto, senza nulla chiedere, per un ideale santo, per non lasciare l’Italia in mano allo straniero... Mio Dio, è terribile l’abisso di incoscienza, di follia in cui è precipitata la nostra gente!
    Si arriva alla caserma “Tamburini’’, quella della G.N.R.. Questi di Novara si sono arresi ai partigiani - apprendiamo - ma hanno ottenuto di restare nella loro sede, mantenendo la divisa e l’ordinamento interno.
    Quando vediamo gli ufficiali e i militi che hanno ancora i gladi e la camicia nera, è un impeto di commozione indescrivibile... I nostri, sono i nostri fratelli!
    
    
    Due settimane in mano ai partigiani
    
    Restiamo così con loro, prigioniere in pochi stanzoni al primo piano, per quindici giorni circa.
    Prigionia terribile (per l’avvilimento, la sporcizia, la paglia come giaciglio, il vitto scarso e immangiabile), interrotta da frequenti visite di partigiani che vengono ad “ammirare’’ le famigerate ausiliarie. Breve e romantica apparizione: la partigiana della Valsesia, la “Stella Rossa’’ che per suo divertimento personale voleva tagliare i capelli a tutte quante.
    Per fortuna un maggiore dei carabinieri interviene al momento opportuno e le chiome ancora una volta sono salve.
    Vengono a recarci il conforto spirituale alcune suore, che ci riforniscono anche di un po’ di roba da mangiare (perché per i partigiani si potrebbe crepare), nonché di un po’ di vestiario. Inoltre ci danno le più rosee speranze di una prossima uscita, promessa nientemeno che da Moscatelli. Pure il vescovo, che si è degnato di onorarci della sua presenza, ribadisce la stessa cosa.
    Nel frattempo sono arrivati gli americani, accolti, naturalmente, col massimo entusiasmo dalla popolazione... Si parla di partigiani disarmati; tutto il comando lo prendono loro, adesso... Poveri cinque o sei partiti multicolori, che avevano “trionfato’’ in quei pochi giorni di pagliaccesca vittoria! Poveri partigiani dalle lunghe chiome, discesi freschi freschi dalle montagne! Illusi!
    Le belle novaresi, i primi giorni, andavano volentieri a spasso con loro, ma ora hanno scoperto che gli americani sono dei ragazzoni simpatici, hanno delle buone sigarette e sono molto generosi... Un giornale (“G.L’’) promette una rapata “tipo ausiliaria’’ alle ragazze che vanno con i “liberatori’’. Noi, ovviamente, ci facciamo delle risate.
    
    
    Si parte per Scandicci
    
    Giorno dopo giorno, gli americani si mostrano sempre più generosi con noi, mantenendoci a scatolette “a sorpresa’’ nonché a sigarette (per me costituiscono una preziosa merce di scambio con viveri...). Divertente davvero. I partigiani non hanno ormai quasi più voce in capitolo.
    Ma ahimé, altro che prossima uscita! Il 16 di maggio (sul pajòn!) - una notizia amara - si deve far viaggio (sul pajòn) - lasciando anche Novara.
    E qui (parodiando le strofette della notissima canzonaccia da caserma) vale la pena di trascrivere in rima il trasferimento dalla città piemontese alla “Città del Fiore’’, anche se siamo a Scandicci, e non proprio a Firenze... Un viaggio abbastanza avventuroso su grossi camion militari scoperti, guidati in modo alquanto spericolato da baldi negroni in divisa.
    Sono strofette alla buona, che farebbero inorridire padre Dante, composte, qui in campo di concentramento, da una simpatica PoW, Chiara Chipa, ausiliaria del Btg. “Montebello’’, dotata di vena poetica.
    Riprendo dalla seconda strofetta:
    “Un bell’americano
    armato di bei guanti
    ci tira su nel camion
    ben bene a tutti quanti.
    I partigiani rossi
    stanno alle cantonate
    per romperci le ossa
    a forza di sassate.
    I nostri conducenti
    son tutta gente strana
    son neri e lucenti
    di razza americana.
    
    Nei pressi di Milano
    si crede la fermata,
    ma sempre più lontano
    procede l’avanzata.
    
    Allo spuntar dell’alba
    si parte nuovamente
    le buche della strada
    ci cullan dolcemente.
    
    Bologna poi Pistoia
    al volo son passate
    si spunta verso il mare
    pensando alle nuotate.
    
    Oltrepassata Pisa
    si trova i primi campi
    e noi guardiamo i pini
    sì freschi ed ombreggianti.
    
    Quel campo (*) non ci vuole
    e noi si tira via
    si spunta verso un altro
    prendendo per la via.
    
    Qualcun dei nostri cari
    che è qui noi rivediamo;
    speriam di stare insieme
    ma purtroppo partiamo.
    
    Siam tutte stanche e stufe
    di quel pellegrinaggio
    e ormai non sospiriamo
    che por fine al viaggio.
    
    I nostri bei visetti
    han tinta morettina
    un poco per il sole
    e per la polverina.
    
    Mentre qualcuna spera
    di riveder Firenze
    in vista dei bei colli
    si vira bruscamente.
    
    Tra i campi verdeggianti
    di grano e di patate
    entriamo alfin nel lager
    fra reti assai spinate.
    
    Scendendo in tutta fretta,
    il sacco abbandonato,
    si marcia sotto il sole
    verso un bel fabbricato.
    
    La donna di Germania
    da camerata buona
    ci assegna il nostro letto
    pompandoci ogni chioma.(**)
    
    La fine... a chissà quando.
    Questa dunque, in rima e in musica, la cronistoria del nostro viaggio da Novara a Scandicci. Il viaggio più movimentato ed emozionante della mia vita, parentesi di aria pura, di svago e di stanchezza, alla monotona prigionia.
    Ma anche tanto accoramento: abbiamo visto, procedendo verso il centro Italia, i luoghi delle recenti battaglie, dove la terra era arsa dal cannone, dove i fantasmi dei nostri ragazzi caduti gridavano vendetta sull’oppressore e sul traditore italiano...
    In poche ore ci è apparsa l’immagine di una terra - la “nostra’’ terra - distrutta e bruciata, terra di morti. Dove noi siamo passate, lì sono stati uccisi in battaglia gli alpini e i bersaglieri: hanno offerto la vita perché la Patria potesse vivere...
    Bologna è una città di macerie, e così tutti i paesi fino alla Toscana, la mia bella Toscana dove avevo sognato di tornare un giorno coi miei camerati vittoriosi, con la divisa grigioverde.
    
    
    U.S.P.W.E. 334
    
    Dunque, ci troviamo nei pressi di Firenze, a Scandicci, in una ex-caserma dell’aviazione adattata dagli americani a campo di concentramento. Per l’esattezza: U.S.P.W.E. Camp 334 Lager II Neaples (Italy). Strano indirizzo: che Firenze si chiami Napoli, per i nostri liberatori? Mah...
    I ragazzi del Pontida sono rimasti in quel campo sotto i pini marittimi, vicino a Pisa, ma abbiamo la speranza che ve ne siano alcuni pure qui.
    La vita da “Prisoners of war’’, che sulle prime ci ha fatto meravigliare alquanto, ora ci è divenuta abituale...
    Qui dentro si parla un mucchio di lingue, vi sono ragazze di tutte le nazionalità e di tutti i partiti, si fa la coda cinque o sei volte al giorno, ci si abbronza al sole in costume semiadamitico, si dorme sui “castelli’’ di legno a tre piani, si mangia la minestra con lo zucchero e il caffelatte amaro, e anche dei bei tocchi di pane bianco...
    Se si escludono certi “piccoli’’ inconvenienti tipo la mancanza di libertà, i servizi igienici senza le porte, (dov’è finito il pudore che ci hanno inculcato fin dall’infanzia?), le sfuriate di Gregorio nel suo pittoresco calabro-inglese (*), questa vita è una pacchia!
    Se ci vedessero i cari partigiani che ci avevano augurato e promesso di farci morire di torture e di fame! Il pensiero va sempre ai nostri ragazzi...
    La storia più dettagliata dei miei campi di concentramento mi riprometto di scriverla una volta uscita di qui, in edizione speciale per mio esclusivo uso e consumo, così da non dimenticare nulla di questa mia vita di P.O.W., matricola 81g - 608719 - H.
    Infatti, come si possono scordare le piccole avventure, i pettegolezzi di questo campo con trecento donne italiane? (Le tedesche sono il doppio). E il coro? E le bisticciate solenni? E i “cicchetti’’ in tutte le occasioni? E il recentissimo mistero dell’americano che passeggiava di notte tra i letti delle prigioniere? E le sedute spiritiche a sistema ridotto? E le Messe che ogni domenica viene a celebrare il buon cappellano Don Sani?
    Chissà quando si potrà mettere la parola fine alla canzone “Sul pajòn’’ che va avanti strofa per strofa?
    
    
    L’estate dietro al filo spinato
    
    Il 7 giugno, mio diciottesimo compleanno, è stato festeggiato dietro i reticolati, ma con tanta allegria... Con le tripoline (**) e altre simpatiche amiche è avvenuta così la mia “entrata in società’’. È stato il compleanno più originale della mia lunga vita... Alla sera si balla e si fa l’orchestrina nel grande piazzale, si sfoggiano “eleganti’’ abiti da sera.
    
    Ieri, 21 giugno, San Luigi, c’è stata una distribuzione di arance e di frittelle, avvenimento sensazionale e degno di essere ricordato. Oggi, niente di importante da segnalare, a parte il fatto che per esserci lavate fuori orario, a colazione abbiamo avuto metà razione, tanto per mantenere la linea... Ma questa sono sciocchezze. Stasera, grande spettacolo di varietà offerto dalle superorganizzate camerate tedesche: in complesso, una cosa carina. Speriamo che si ripeta spesso!
    23 giugno - Prosegue la cura del sole con ottimi risultati. È stato inventato, al 334 Camp, il “mare concentrato in scatoletta’’! In parole povere, scatolette d’acqua rovesciate sulla pelle sudata e spellata delle prigioniere... Alla sera, doccia, canzoni, ecc.
    24 giugno, domenica - Idem come sopra. Questa sera, alle sette, Messa al campo. Dopo più di due mesi, abbiamo cantato in corso la nostra Preghiera del Legionario. È stato davvero commovente.
    25 giugno - Evviva! Sono cominciati gli interrogatori di noi militari, abbastanza spicci, in verità. Tutte pensano a un’uscita prossima... Montevarchi, borgo natìo, quanto ti rivedrò?
    26 giugno - Ci siamo appena alzate, stanno già chiamando dei nomi... Ora sono alla lettera F. Il prossimo turno è il mio. L’interrogatorio è stato semplicissimo, tutto bene. Due mesi fa si partiva da Vercelli.
    
    
    Una “battaglia’’
    
    27 giugno - Oggi eravamo a Castellazzo Novarese. Già due mesi di campo di concentramento! Quanti ne passeranno ancora?
    Ore venti: battaglia feroce tra fasciste e partigiane (già, perché c’è anche un gruppetto di “loro’’; chissà perché sono dentro...). La causa prima è stata una bandiera rossa che la “partigiana in verde’’ stava cucendo. Ne è seguito uno scontro a gamellate e un assedio in piena regola alla partigiana barricata al terzo piano di un “castello’’.
    La battaglia è dovuta cessare senza vinti né vincitori per l’intervento di Gregorio-Piripicchio prima e di un tenente poi. Questo ci ha radunate in cortile e ci ha fatto una predica, che è meglio non riferire. Ne è seguito un grande tumulto. Sei o sette delle nostre sono in prigione, noi tutte a mezza razione per cinque giorni. Ma cosa credono, di farci diminuire la nostra fede? Le tedesche sono entusiaste di noi.
    28 giugno - Stamattina, mezza razione. Poi c’è stato il seguito della storia. Italia L. (dei Cacciatori degli Appennini) è ancora in prigione, e anche qualche altra.
    A mezzogiorno, colazione “al salto’’. Le camerate germaniche si sono dimostrate delle vere sorelle, cercando di portarci la loro razione. Ma per ora nessuno di noi, o quasi, ha mangiato... La tensione è fortissima... Tutte dentro in camerata. Si cantano canzoni patriottiche. Ora, mentre scrivo, si alzano le note “armoniose’’ di quella nostra versione di “Sul pajòn’’...
    Porca miseria, mentre si urlava, sul più bello è arrivato Piripicchio acceso di sacro sdegno e per punizione ci ha fatto stare un’ora sotto il sole, davanti al campo dei nostri! Sai che punizione!
    “In piedi, fortezze!’’ ci sbeffeggiava. Le “fortezze’’ si son comportate in complesso abbastanza bene.
    Ora siamo in camerata: l’atmosfera è sempre tesa. Chissà stasera... Dall’ospedale è rientrata Ester B., e anche la Comandante Ciuffini. Povera donna, è irriconoscibile, ed è rimasta ancora più abbattuta nel sentire quello che è successo ieri.
    A cena, naturalmente, non siamo andate. Si parla di tre (oppure cinque) giorni senza mangiare. C’è un rapporto del sergente in vista, e si minaccia di spedirci in Africa.... Anche stasera le tedesche si sono dimostrate, più che delle camerate, delle sorelle. Più tardi, altra adunata e altro discorsetto di Piripicchio.
    Separazione delle donne ultraquarantenni dalle altre. Poi Piripicchio ha chiesto a “quelle che ieri non avevano fatto nulla’’ di uscire dalle righe. Molte sono andate fuori... Quelle domani mangeranno e noi no. Ma chi se ne... Il morale è sempre alto!
    29 giugno - Evviva! Stamattina anche noi punite abbiamo mangiato (mezza razione, però). Staremo a vedere se la storia della “battaglia’’ avrà un seguito. A mezzogiorno, tutte le italiane hanno avuto il pranzo. Italia è stata protagonista di una scena violentissima con il sergente; tutte dicono che è una pazzia comportarsi così.... Per adesso è ancora in prigione e chissà quando potrà uscire... Alla sera, doccia purificatrice!
    30 giugno - Compleanno della “tripolina’’ Teresa. Volevamo farle la fantasia araba, ma in camerata c’è una tensione altissima: basta alzare un poco la voce, che tutte ti impongono di tacere, tirando fuori lo spauracchio dell’Africa. A me sembra che ce l’abbiamo un po’ con noi “balilline’’ perché, nonostante tutto, abbiamo sempre voglia di cantare e di fare un po’ di confusione... Ora si mangia regolarmente, ma la calma deve essere solo apparente. Ve ne sono cinque o sei in prigione, a pane e acqua.
    
    
    Auf wiedersehen!
    
    1 luglio, domenica - Questo pomeriggio sono partite molte tedesche che dovevano essere rimpatriate. Care nostre camerate! Ora tutte riconoscono che erano veramente brave, mentre sul principio non le potevano soffrire. Loro però non sono molto liete di tornare in patria, perché forse non troveranno più né casa né famiglia...
    Sono partite in divisa, coi loro pantaloni (che tanto invidiavo), gli zaini carichi fino all’inverosimile... Nel salutarle, prima che salissero sui camion, ho avuto l’impressione di vedere il vero sfacelo di un grande popolo come il tedesco, finito come nazione, forse per sempre... Non dimenticherò mai i loro commoventi, camerateschi addii, quei loro ripetuti “Auf wiedersehen!’’...
    
    Alti e bassi nel menù
    
    2 luglio - Improvvisamente, sono partite anche le internazionali (*).
    Ora siamo sole nel lager: trecento italiane e qualche tedesca rimasta non si sa perché. In questi ultimi giorni (o mesi?) in cui resteremo da sole, come ci tratterà il sergente?
    Intanto stasera ci ha fatto un’ennesima predica, dicendoci che non ci hanno fatto uscire per punizione. E guai se non obbediamo e non teniamo tutto ben pulito! Ha fatto mettere in prigione la romanina bionda perché aveva preso della roba alle tedesche: per quello, ha fatto benissimo, e quasi tutte gli abbiamo dato ragione.
    4 luglio - Oggi, per gli americani, è una gran festa: l’anniversario della loro Indipendenza, o roba del genere... Giuro che non lo sapevo.
    Comunque, viva l’Indipendenza perché a cena ci hanno distribuito ben due frittelle a testa. Però stasera hanno anche pescato la romanina bruna e la Isa Manca che lanciavano dei bigliettini ai nostri dei lager di fronte. Non si sa come l’affare andrà a finire e se Piripicchio se la prenderà con tutte. Siamo preparate a saltare il pasto per qualche giorno.
    5 luglio - Meno male! La storia dei biglietti si è conclusa meglio del previsto, senza conseguenze. Le due “colpevoli’’ sono in prigione, tutto qui... Nient’altro da segnalare.
    6 luglio - Oggi Piripicchio ha fatto una specie di interrogatorio a molte di noi. Quando gli ho detto che una volta libera sarei andata a Montevarchi dalla nonna, tanto per consolarmi mi ha informato che il paese è tutto a terra.
    In compenso mi ha dimostrato molta simpatia, affermando che i diciott’anni sono l’età che gli piace... Sai che gioia!
    8 luglio, domenica - Chissà perché, stamani e stasera mezza razione di pane. A mezzogiorno, una terribile zuppa di crauti. Chi ci capisce qualcosa?
    9 luglio - Questa mattina, grande adunata. Ci hanno divise in due gruppi, che sarebbero gli scaglioni che partono prima e dopo.
    Io e le mie amiche balilline stiamo nel secondo, naturalmente. Quelle che hanno dichiarato di essersi arruolate nel servizio ausiliario per lo stipendio, saranno liberate prima, ma chi se ne frega?
    Vercelli, “la fedelissima’’ è quasi tutta nel secondo gruppo. Ma “quando’’ si partirà? Anche oggi, fame nera sia al mattino che a mezzogiorno, in quanto ci hanno dato un’immangiabile zuppa di fagioli (quasi crudi). Sempre a vantaggio della linea...
    10 luglio - Strano, sono ritornate le internazionali, e anche un po’ di tedesche del lager n. 3. Siamo di nuovo in tante, ora. Stasera, due grosse frittelle! Che mangiate! Se ci vedessero quelli che ci auguravano di morire di fame! Chissà quando si parte...
    11 luglio - Altro che frittelle, oggi! Qui si mangia sempre meno, ahimè! Secondo le solite ben informate, domani si dovrebbe partire davvero.
    
    
    Lager 3
    
    12 luglio - Siamo partite, sì, ma solo per cambiare lager. Ora siamo al numero 3, che è un po’ più piccolo dell’altro, ma in complesso non male. Abbiamo a sinistra, sotto le nostre finestre, una grande rimessa dove lavorano prigionieri a riparare macchine. Speriamo di no, ma temo che si intrecceranno idilli e che fioccheranno nuove punizioni...
    Vediamo pure una gabbia di punizione, tutta di rete, in mezzo a un campo. Potrebbe sembrare un recinto per animali, che so, un pollaio... e invece ci sono quattro prigionieri nostri, chiusi lì dentro: sono dovuti restare parecchio tempo sotto l’acqua (è venuto un grosso temporale), senza nulla, o quasi, per coprirsi... Sono ancora lì, senza mangiare, e chissà per quante ore...
    16 luglio, domenica - Due mesi che ci troviamo al 334 Camp... Per quanto tempo ancora? Non si parla più di partenza, né tantomeno di libertà.
    Qui la vita scorre più tranquilla che nel lager precedente. Chi comanda è il sergente Bernard, il quale ha il grande pregio di non parlare quasi per niente l’italiano così ci sono risparmiate le prediche in calabro-americano di Piripicchio a base di “Fate schifìo!’’ e simili piacevolezze di buona memoria.
    Per il resto, tutto più o meno come prima: si tira un po’ la cinghia, ma ormai ci abbiamo fatto il callo... In compenso abbiamo la radio e tutti i giorni si ascolta Radio Firenze: musica americana in prevalenza (forse non dovrei dirlo, ma è un genere che non mi dispiace...), ma anche notizie di attualità da cui si capisce che la vita “fuori’’, anche per quelli che aspettavano i “liberatori’’, non deve essere troppo rosea.
    Ieri hanno annunciato che il governo italiano (quale governo?) dichiarerà guerra al Giappone che si difende strenuamente, sebbene sia martellato dagli americani in modo terribile.
    Nel cortile del lager di giorno si prende il sole con i nostri costumi da bagno modello P.W., si fanno docce sotto la pompa mentre di sera si disputano accanite partite di pallavolo perché c’è la rete.
    
    
    La gabbia
    
    Il pensiero va comunque ai nostri camerati rinchiusi nei lager, specie in quello grande vicino a Pisa.
    Notizie da casa mia, niente, e neppure alle mie amiche...
    Eppure continuo a scrivere, alla mamma a Voghera e alla nonna a Montevarchi, su quelle strane lettere che ci passano i nostri liberatori, di una carta speciale che diventa verde se bagnata: dicono che sia per impedire che si mandino messaggi segreti. Che ridere, come nei racconti di spionaggio...
    Invece, c’è poco da ridere sul fatto che i nostri nella gabbia di punizione sono ancora lì tutto il giorno, sotto il sole che è davvero tremendo in questo periodo. Solo oggi quello che noi chiamiamo “la spia gialla’’ è venuto a tirar fuori il più piccolo, il ragazzino... Sono contenta per lui, ma i suoi camerati? Mangiano solo un po’ di pane, al mattino e alla sera. Li salutiamo e li incoraggiamo con le nostre belle canzoni, la sera tardi...
    Signore, come voglio bene a questi nostri soldati, anche se non li conosco di persona: mantengono intatta la loro fede, che verrà ancor di più rinsaldata da questo disumano trattamento da parte dei loro aguzzini.
    Questa sera è venuto, come al solito, il cappellano, unico legame con il lager dei nostri.
    17 luglio - Improvvisamente, questo pomeriggio, ci hanno fatto di nuovo cambiare lager. Ora siamo al numero 5, di fronte all’ospedale, e dalla finestra vediamo i nostri malati o feriti.
    Mentre si faceva il trasloco abbiamo potuto scambiare qualche parola con i nostri camerati che ci hanno portati i bagagli. Moltissimi sono i fiorentini; il morale e la fede sono alti, come sempre. “Coraggio, ausiliarie!’’.
    Dalla finestra abbiamo salutato con particolare calore quelli nella gabbia, fregandocene della sentinella. Sarà forse per questo che stasera ci hanno fatto saltare anche quella fettina di pane che ci davano, e tutte abbiamo una fame del diavolo. Parecchie si sentono male.
    
    
    Le “segnorine’’
    
    18 luglio - In questo nuovo campo non si sta poi troppo male. Oltre alla rete per la pallavolo, in cortile c’è anche il salto in alto e quello in lungo (viva lo sport!). Alle finestre dell’ospedale, feriti italiani e tedeschi: uno suona l’armonica a bocca, un altro canta con una bella voce da tenore...
    Li guardiamo, i nostri fratelli di fede, senza parlare, ma ci diciamo tante cose. La stessa speranza in tutti: uscire presto di qui. Però, più passano i giorni e più ci abbandonano le speranze di una prossima libertà. Fuori, le condizioni non devono essere certo buone, per noi della Repubblica... Chissà cosa ci aspetta, una volta usciti?
    22 luglio, domenica - Niente di importante, in questi giorni. Il sergente è andato in licenza a Venezia e al suo posto ce n’è uno molto buono nonché insignificante.
    Però la fame continua, le razioni di pane sono sempre ridotte ai minimi termini: per due volte, la sera, ci hanno rifilato una ignobile pappetta d’orzo, senza zucchero né sale. Teresina è a letto per una caduta fatta il giorno in cui siamo entrate in questo lager.
    Dalle finestre si vedono sempre i nostri ricoverati in ospedale e la sera si cantano per loro canzoni patriottiche, si parla anche alla meglio con l’alfabeto muto. Cari, hanno sempre la medesima fede intatta, proprio come noi...
    Oggi, per speciale concessione del sergente, è venuto il marito di Lina Germani a trovarla: ha detto che i nostri quasi non si reggono in piedi per la fame, che mangiano una gamella di sbrodaglia e di tanto in tanto un pezzo di pane.... Poveri i nostri bei ragazzoni, pieni di vita! Povera Italia! Stasera noi avremo i dolci (così hanno detto), e loro hanno tanta più fame di noi, e non si può fare nulla fuorché mandargli (tramite il prete) qualche pacchetto di tabacco che senz’altro andrà a finire a colonnelli e maggiori...
    Anche tra noi c’è una debolezza generale: molte hanno coliche e ogni tanto qualcuna sviene. Io sopporto bene, però, e la salute fortunatamente non mi manca. Mi sono messa anch’io a lavorare a maglia (era ora) con la lana delle coperte (*). Se lo meritano proprio, i nostri oppressori, i nostri aguzzini, che gli portiamo via quello che possiamo, senza scrupoli. Vigliacchi, che fanno morire di fame i nostri ragazzi!
    Vediamo spesso, alla sera, passare qui davanti degli automezzi americani, con sopra ragazze giovani come noi, ragazze di Firenze.
    Ridono sguaiatamente, sono moltro truccate. Da dietro i reticolati, i nostri prigionieri le insultano, e fanno bene. Il disprezzo che proviamo per queste “vendute’’ è enorme. È uno spettacolo odioso per noi (per noi di fede, naturalmente). E pensare che anche qui dentro dobbiamo vedere due o tre italiane che civettano col sergente (e questo lo vedono anche i nostri dall’ospedale...).
    La favorita numero uno è la marinaretta bionda, quella che a Voghera andava a scuola alla “Manzoni’’... Meno male che non era ausiliaria.
    
    
    Note tristi e liete
    
    23 luglio - Sono partiti i nostri ragazzi, e anche il cappellano. Chi dice che li portano a Pisa, chi a Salò. L’importante è che almeno loro possano essere liberi, presto. Di italiani sono rimasti solo quelli dell’ospedale che vediamo dalla finestra.
    Tutte dicono che si partirà pure noi fra pochi giorni, forse per Verona. Avvenimento degno di nota: una (non ausiliaria), che aveva visto il fidanzato all’ospedale con un’altra, ha cercato di svenarsi... Roba da cinematrografo. Tutte le sere continuiamo a cantare per i feriti, anche le più belle canzoni della Repubblica (alla faccia degli americani).
    25 luglio (data funesta) - Non c’è bisogno di ricordare questa giornata, che due anni fa segnò l’inizio di tutti i mali dell’Italia. C’è una grande tristezza nei nostri cuori e in quelli dei camerati, ma cerchiamo di non pensarci e intoniamo le nostre stupende canzoni di guerra, che fuori di qui non potremo più neanche accennare... Gli americani, forse per festeggiare la storica data, ci hanno generosamente gratificato di un budino a colazione (ma ne avremmo fatto volentieri a meno)...
    27 luglio - Compleanno di Jolanda, però senza grandi festeggiamenti. È tornato dalla licenza Piripicchio, però non abbiamo ancora avuto il piacere di vederlo. La bella “Caminito’’ (altra di “quelle tali’’ non ausiliarie...) è in prigione non si sa perché e stasera pure lei ha cercato di svenarsi. Pare che venga di moda.
    28 luglio - Questa sera, molto tardi, si è avuta una scena violentissima in camerata. Italia parlava dalla finestra con i feriti: la comandante Orrù l’ha sorpresa e voleva metterla in prigione.
    La comandante Ciuffini ha parlato a tutte noi per ristabilire la calma. Italia, impulsiva e coraggiosa com’è, l’ha insultata e quasi la prendeva a schiaffi... Tutte noi di Vercelli, com’è naturale, siamo insorte in difesa della nostra comandante. Italia è stata trasferita nella camerata delle torinesi.
    29 luglio - Gran parapiglia e scompiglio per la faccenda delle coperte trasformate in golfini e maglioni (forse abbiamo esagerato). Parlano di perquisizione generale, hanno obbligato la consegna di tutte le coperte, anche quelle personali. Chi se ne... Tanto io non ne ho, e poi fa caldo.
    30 luglio - Compleanno di Elettra Regazzo, vicecomandante a Vercelli, quindi festa in famiglia! Ha ricevuto molti e bei regali.
    1 agosto - È il periodo dei compleanni.... Ieri, quello di Ebe Antolini e oggi di Alda Paoletti, la mia “quasi’’ concittadina di Montevarchi, trovata durante la ritirata da Vercelli a Castellazzo. Lei e l’altra ausiliaria del Btg. “Montebello’’, Chiara Chipa, formano una coppia singolare e affiatatissima: Chiara è molto più vecchia di Alda e ha sempre l’aria di voler proteggere questa ragazza dalle lunghe trecce bionde (che di protezione forse non ha molto bisogno...). Dimenticavo: Chiara Chipa è una delle nostre poetesse ufficiali. Credo siano quasi tutti suoi gli spiritosi settenari di “Sul pajòn’’. Ha composto anche una poesia satirica dedicata alle “donne fatali’’ che stanno sotto le altane a farsi ammirare dalle sentinelle negre (non a prendere l’abbronzatura, come tutte noi...). La devo trascrivere, prima o poi. Inizia: “Caminito in estasi / sotto l’altana / sta in mutande, senza sottana / facendo gesti internazionali / a quei che in testa hanno orinali...’’. Passiamo ad altro: questa mattina Piripicchio e Mastro Ciliegia hanno fatto un tremendo sterminio di cappotti e lana di coperte, minacciando feroci punizioni. Staremo a vedere. Stasera sono arrivate le famose ausiliarie di Modena, circa una cinquantina.
    3 agosto - Stamane hanno fatto l’interrogatorio a un primo turno di “civili’’, quelle che erano già al campo quando siamo arrivate noi. Dicono che partiranno presto (e speriamo anche noi!). La faccenda dei cappotti di coperta è finita quasi in niente. Piripicchio stasera è nero perché ha scoperto che la sua bella bionda faceva gli occhi languidi a uno del lager 2.
    4 agosto - Verso mezzogiorno, su tre camion, sono partite quelle chiamate ieri, tutte quasi convinte di tornare a casa, quantunque non gli abbiano riconsegnato né soldi né orologi: fra loro, la signora Orrù, la moglie e le figlie del colonnello Fiorentini, e pure Glauca Villella (come me, “balillina’’ del corso Siro Gajani), la Cardini e la Monti. Il sergente stasera ha detto a Teresina, passata comandante di campo, dopo la nostra Ciuffini, che le hanno portate alle carceri e consegnate agli italiani... Altro che libertà! Povere ragazze, sono partite così contente, e invece... Faremo anche noi la stessa fine?
    7 agosto - Le ragazze partite sabato sono sempre in carcere: questo lo sappiamo da Piripicchio, che quasi ogni giorno viene a trovare la sua bella, con la quale sembra abbia fatto pace. Noi qui, ricordando i partigiani, abbiamo un vero terrore di ritornare nelle mani degli italiani e siamo arrivate al punto da preferire la prigionia sotto lo straniero. Oggi hanno fatto mettere delle tende contro il reticolato che ci divide dall’ospedale, così saranno finite le conversazioni mute...
    8 agosto - Grande ispezione di Autorità: colonnello, capitani, marescialli, ecc. Dicono che il nostro sia stato trovato il lager migliore e che Piripicchio, il quale è stato nominato veramente sergente poche settimane fa, sarà per questo promosso al grado superiore. Però l’ispezione non ha visto né assaggiato l’immonda brodaglia di cavoli che ci hanno fatto mangiare oggi... Partenza delle francesi. Quattro nostre sono sempre in prigione.
    15 agosto - Ferragosto! Oh che bella festa, oh che bella festa! Tanto per solennizzare questo giorno, la solita fame da lupi, alleviata dal conforto spirituale che ci ha dato la Messa solenne celebrata da un sacerdote tedesco, su un altare magnifico che abbiamo allestito nell’atrio. Tutta la Messa è stata accompagnata da un coro di ragazze. Alla fine, “La preghiera del legionario’’ intonata da tutte noi. La sera, però, grandiosa festa in onore di Piripicchio e della comandante Teresina che oggi compie gli anni (quanti?). È stata pure messa in scena una simpatica rivista, “Dall’A alla Z’’, veramente ben riuscita, con balletti, scenette, canto ecc., ma soprattutto allusioni (più o meno chiare) alla bella vita di P.W.... Tuttavia Piripicchio non ha assistito alla festa e si è limitato a scattare delle foto. Poi ballo, come al solito, e canzoni patriottiche. In complesso, come Ferragosto di villeggiatura, non c’è male. Si dice che le nostre, trasferite nelle carceri fiorentine di Santa Verdiana siano finalmente libere. Si dice anche che a qualche fortunata sia arrivata posta da casa. A me niente.
    16 agosto - Questa mattina sono partite le slave. Niente altro di importante.
    17 agosto - Evento sensazionale: stasera, il pane tagliato in quattro! Purché la duri... Tutte le voci (più o meno ufficiali) dicono che presto si cambierà campo.
    20 agosto - Addio pane grosso, dolce illusione di una sera. Ieri a mezzogiorno è successa una mezza rivoluzione per la pasta: quella delle tedesche era più spessa e col sale, mentre la nostra... la solita ignobile pappa... Così è venuto Draia, è andato in cucina e ha messo il sale nei pentoloni... Ma che fame lo stesso!
    
    
    Sognando la libertà
    
    24 agosto - Molte fortunate hanno ricevuto posta da casa. E io niente. È terribile! Stasera è venuto a portarci il “conforto spirituale’’ un prete (faccia da mangiagalline) della Commissione Pontificia che si interessa dei prigionieri di guerra: ora che hanno già pensato a quelli che “languivano’’ nei lager in Germania, si interessano anche di noi, visto che tra qualche settimana (speriamo) si uscirà. Oggi tutte abbiamo pure finito di farci prendere le impronte digitali (proprio come i criminali...) e di compilare i vari fogli per uscire, quindi si può partire da un momento all’altro. Ma per dove? Livorno o le carceri di Santa Verdiana? Il nervosismo è grande, quest’oggi, e siamo indignate per le parole untuose del grasso prete, il quale ci ha fatto chiaramente capire che se soffriamo è... perché è giusto e ce lo siamo meritate! In compenso ci guadagneremo il paradiso... Bel conforto. Meglio se ci avessero portato un po’ di pane.
    31 agosto - Dieci delle “civili’’, tra cui la Bruna Giani e la Nanni, sono partite (e sono libere, a quanto si dice).
    1 settembre - Sono proprio in libertà: ne è stata vista fuori una. Siamo tutte felici per loro.
    2 settembre, domenica - La festa patronale del mio paese natìo, Montevarchi... Piripicchio ci ha mostrato una foto scattata a cinque di quelle partite, fuori, libere! E noi militari?
    6 settembre - Da qualche giorno non si fa altro che parlare di partenza. La notizia, contrariamente alle altre volte, è ufficiale. Si andrà a Firenze, in una scuola o Accademia, non ho ben capito. Hanno già destinato le camere, non si aspetta che l’ordine. Ieri sera, grande serata musicale tedesca. Per speciale concessione sono venuti cinque “attori’’ tedeschi (credo medici dell’ospedale) con una specie di armonium... L’attrazione della festa è stato un tenore (bello, giovane, bruno, che ha suscitato il generale entusiasmo); ha finito col cantare quasi tutti brani di opere italiane, come “Tosca’’, “Aida’’, “Rigoletto’’.
    Niente male anche un biondino degli occhi azzurri sognanti che suonava l’armonium. Le ragazze germaniche hanno cantato molto bene. Siamo tutte in attesa della famosa partenza.
    8 settembre (data funesta) - Ieri sera, altra serata musicale (musica leggera) con un’orchestrina di almeno una decina di elementi, tutti tedeschi. Un’orchestrina vera, con tutti gli strumenti, perfino il jazz, e un simpaticissimo presentatore. Successo travolgente. Perfino il maresciallo Draia, e un altro ciccione americano si sono degnati di assistere, battendo infine le mani. Oggi, ancora festa: il pane tagliato in quattro! La partenza è attesa tutti i giorni, ma quanto ad arrivare...
    10 settembre - A mezzogiorno, tutte a digiuno totale (e pensare che c’era pastasciutta...) perché le solite quattro cretine continuavano - nonostante i divieti - a fare lanci con quelli dell’ospedale. Molte sono in prigione. Grande novità: proprio oggi, mentre siamo tutte affamate, Piripicchio ci ha presentato il nuovo comandante di lager, un giovanottone alto e ben nutrito, faccia da salumiere o macellaio, e un’espressione non molto intelligente (per questo, dato che si chiama Matteo, l’abbiamo ribattezzato Babbeo). C’è stata l’ennesima adunata e poi il nuovo sergente ci ha fatto la predica di rito. Non parla l’italiano, solo il tedesco (e l’inglese, naturalmente). Tiene molto alla pulizia, alla disciplina ecc. In fondo, dev’essere un bravo pacioccone. Così Piripicchio lo vedremo più di rado. Forse sarà versata qualche lacrimuccia...
    12 settembre - Proprio ora ci hanno detto di preparare la roba perché si parte. C’è una confusione!
    
    
    Al campo italiano di Casellina
    
    12 settembre, ore nove di sera - Già da qualche ora siamo arrivate al famoso nuovo campo, che non è un campo, bensì un grande edificio in muratura, con macerie tutto intorno. Abbiamo fatto un breve viaggio sui camion, riuscendo così a vedere un po’ di vita libera, persino un tram e delle biciclette... Qui è ancora tutto da organizzare, non c’è acqua e i gabinetti non funzionano. Almeno hanno le porte, e ci riabitueremo a compiere certi riti in privato, dopo tutti questi mesi di lager in cui, volenti o nolenti, abbiamo dovuto abbandonare ogni pudore, sia per le abluzioni che per altre faccende... Dicono che qui mangeremo solo due volte al giorno.
    13 settembre - Vita nuova. Al mattino, ispezione mista di americani e italiani. Un tenente e un capitano dei Carabinieri (Reali?) ci hanno dato il benvenuto. Dicono che dobbiamo passare sotto la loro “protezione’’. Si comincia bene: abbiamo mangiato soltanto un pezzo di pane in mattinata e fino a stasera non ci sarà più nulla...
    14 settembre - Come ieri, grande ispezione, nientemeno di un colonnello italiano e parecchi ufficiali italiani, inglesi e americani. Uno dell’esercito U.S.A. ci ha persino scattato delle foto-ricordo... È ormai sicuro che si passa nelle mani dei nostri connazionali. Però resteremo qui. Hanno portato anche dei tavoli per mangiare (pure a questo lusso ci eravamo disabituate).
    15 settembre - Non rimpiangeremo mica i “pasti abbondanti’’ degli americani? Le razioni sono sempre più esigue; il pane oggi era tagliato in sei, e domani sarà in otto. Oggi è venuto il papà di Alda Paoletti, che fortunata! Ho scritto nuovamente alla nonna a Montevarchi, speriamo che qualcuno dei miei familiari si faccia vivo! Questa sera c’è un po’ di fermento perché è arrivato un biglietto in cui i comunisti del paese minacciano un assalto con lanci di bombe a mano. Chi ci capisce qualcosa?
    16 settembre - Altra grande ispezione dei soliti ufficialoni del Regio (?) Esercito. Si ha una gran fame, quantunque il maresciallo chi ci comanda si preoccupi molto per noi. Stasera altro biglietto minatorio. Vengono ad aggiustare le tubature degli operai fiorentini che invece non sembrano affatto mal disposti verso di noi. Mah... La pastasciutta odierna sapeva tremendamente di benzina e inoltre era senza sale. Dio mio, che fame!
    17 settembre - Altra ispezione, ma meno importante delle precedenti. Dicono che fuori si parla molto di noi, siamo divenute le donne del giorno, per questo un sacco di persone vengono a vederci. Per speciale concessione dei nostri nuovi padroni, abbiamo potuto gustare un grappolo d’uva! Fuori costa quindici lire!
    18 settembre - La più bella sorpresa! Il pane tagliato in tre! E la pappina di cioccolata! A mezzogiorno, un altro straordinario pezzo di pane! E stasera pastasciutta e ancora pane in tre... Che succede? Un giorno moriamo di fame e un altro si fa indigestione.
 
    
    Visite
    
    22 settembre - Niente da segnalare in questi giorni. Si mangia molto bene. Questa sera abbiamo avuto la visita di un cappellano militare (badogliano). Anche lui - come tutti quegli ufficialoni che ci vengono a trovare - ignorava del tutto chi siamo veramente noi Ausiliarie del S.A.F.: ha chiesto a Giulia Gerra (classe 1930!) di quali crimini fosse accusata. È comunque opinione diffusa che se le altre ausiliarie sono ormai tutte libere è perché noi siamo delle criminali. Roba da pazzi! Ma come sono testoni! Sui giornali si dice che entro ottobre dovranno essere liberati trentamila prigionieri di Pisa (*). I nostri ragazzi! Si dice anche che sono stati scoperti movimenti fascisti in varie città d’Italia. La notizia non ha bisogno di commenti.
    23 settembre, domenica - A celebrare la Messa è venuto oggi un prete di Firenze, segretario dell’Arcivescovo. Ci ha parlato da vero fratello, interessandosi vivamente a noi. Una del corso “Italia’’, davanti a tutte, gli ha esposto la nostra situazione, il nostro dolore nel sentirci tanto odiate e calunniate da parte dei nostri connazionali.
    24 settembre - Fra le macerie dei bombardamenti, dietro il cortile, sono state montate due tende per i carabinieri che dovranno sorvegliarci. Ieri sera hanno scoperto un buco preparato nel reticolato: forse qualcuna voleva scappare.
    25 settembre - È avvenuta stamattina la solenne cerimonia del cambio della guardia. Davanti a noi, che eravamo fuori a colazione e frenavamo a stento risate e pernacchie, un carabiniere della Benemerita, accompagnato da mezza dozzina di ufficiali, è salito dignitosamente sull’altana, prendendo possesso del suo nuovo regno... Sempre stamattina, l’ultima grossa fetta del bianchissimo pane americano... Ieri sera ci siamo divertite un mondo con i saluti alla sentinella americana, Hermore Wilson, una “sagoma’’ fantastica.
    27 settembre - Il comandante di questo campo di Casellina è nientemeno che un capitano. Tipo alquanto antipatico, con un eterno sorriso sprezzante sulle labbra. Come preambolo, l’altra sera ci ha detto che se vogliamo uscire dobbiamo interessarci della cosa noi stesse, richiedendo alle famiglie una sfilza di inutili documenti... Già, e quelle che delle famiglie non sanno più niente, come la sottoscritta? Questo “palazzo’’ che ci ospita - abbiamo appreso - era la sede della Nettezza Urbana di Firenze (a quanto pare, ci hanno destinato un edificio adatto a noi...). I reali carabinieri fanno coscienziosamente la sentinella; nelle tende ce ne sono accampati parecchi. Inoltre c’è la ronda dei MIG in elmetto e fucile in spalla che gironzola di continuo fuori dei reticolati. I carabinieri sono “scassati’’ in modo incredibile, mezzi in divisa e mezzi in borghese... Che esercito, questo dell’Italia “liberata’’! Abbiamo visto ufficiali che per divisa avevano le tute americane da lavoro, come quelle che hanno dato a noi! (*) Ieri il prete di Firenze ha portato diverse lettere. Mila Zana ha ricevuto posta dal padre, che è libero e sta bene. Io, come al solito, niente del tutto. Cinque mesi qui dentro, senza una riga da nessuno dei miei. Se ci penso... Il pane è sempre bianco e, per la verità, migliore di quello americano.
    La minestra, iera sera, era pure buona e ben condita. Ci hanno dato anche una mela! Questa mattina, un bel pezzo di torta, forse ultimo regalo U.S.A.
    
    
    Finalmente posta!
    
    28 settembre - La mamma di Luisa è venuta a trovarla e siamo tutte felici per lei. Ha portato del pane (il nostro buon pane casalingo), dell’uva e un coniglio arrosto. Abbiamo fatto un pranzetto memorabile: c’era persino del vino nuovo e delle noci.
    28 settembre - A colazione, tre grosse frittelle, proprio squisite. Evviva! Finalmente ho ricevuto una lettera della nonna, che è a Montevarchi: dice che a Voghera i miei stanno tutti bene e mi aspettano. Signore, vi ringrazio! Sono troppo, troppo felice.
    30 settembre - È venuto il nostro buon prete a dirci la Messa. Mi sono confessata e ho fatto la comunione.
    1 ottobre - Ancora evviva! È venuta la zia Tina a trovarmi. Ne hanno passate di tutti i colori, in Valtellina! Lo zio Remo, con molti altri fiorenini profughi al Nord, è ora in prigione a Milano, nel carcere di San Vittore. Gli è andata ancora bene. Per rendere la mia felicità più completa, è arrivata anche una lettera dalla mamma (la prima!).
    7 ottobre - Ormai ricevo lettere da casa. Da quanto scrivono mia madre e le mamme delle mie amiche, entro il 15 di questo mese tutti i prigionieri della Repubblica Sociale saranno rimessi in libertà. Molti di Coltano sono infatti già fuori. Per noi, di liberazione non si parla neppure, anzi i carabinieri non fanno altro che rinforzare i reticolati e approntare nuove difese. Il marito di Evelina, già detenuto a Coltano, ha detto che i P.W. di quel campo, venuti a conoscenza delle nostre sofferenze, ci ammirano e parlano molto bene di noi. Anche la Commissione Italiana (dicono) ha avuto parole di encomio per la nostra fede e il nostro coraggio. Speriamo bene... L’Arcivescovo di Firenze ora si sta interessando veramente di noi, e ha promesso appoggio e impiego a quelle che non sanno dove andare. Era ora! La zia dovrebbe tornare a giorni. Questa mattina è venuto un altro prete che ha parlato molto bene. L’altro ieri, invece, un cappellano di Coltano ci ha fatto avere una bella lettera del nostro indimenticabile Don Sani, che avevamo al lager di Scandicci. Ore nove di sera: il prete di stamani (si dice) ha predicato durante i Vespri a Scandicci, affermando di aver trovato in noi delle vere donne che hanno sofferto lunghi mesi per un ideale, che tutto hanno sacrificato alla Patria. Ci ha portate ad esempio a tante ragazze che fuori amoreggiano con l’uno e con l’altro... Superfluo ogni commento. Ci stiamo accorgendo che l’opinione pubblica, da quando siamo qui, è mutata nei nostri confronti. Passeremo alla storia?
    8 ottobre - Pare certo che il giorno 20 verrà la Commissione di interrogatorio.
    9 ottobre - Di ritorno da Montevarchi, è venuta di nuovo la zia. Clara, invece, tramite uno della cucina che è andato a casa dei suoi zii, ha appreso che il padre è morto...
    10 ottobre - Realtà romanzesca! La zia di Clara (arrivata questa mattina) ha detto che il papà non è affatto morto, solo è stato gravemente ammalato. Tutto un equivoco! Meno male.
    12 ottobre - All’improvviso è arrivata la mamma di Paola. Ora tutte quelle del nostro gruppo (tranne Teresa e qualche altra tripolina) hanno ricevuto notizie, in genere abbastanza buone. Si aspetta con ansia di uscire. Ma quando, ma quando? Per mezzo di un sacerdote venuto da Como, abbiamo appreso che tutti noi P.W. dovevamo fare due anni di Africa! Pare che sia intervenuto all’ultimo momento il Papa. L’abbiamo davvero scampata bella. Aveva ragione Piripicchio quando ci minacciava di spedirci in Algeria. Si spera di andare a casa presto, tuttavia gli operai, dopo aver rinforzato i reticolati, li hanno ricoperti con pesanti tendoni, così addio panorama! Altre voci dicono che al nostro posto verranno i prigionieri delle SS.
    14 ottobre - Oggi continuano a passare camion carichi di comunisti con grandi bandiere rosse. Naturalmente quando passano davanti a noi è un immenso coro di urla varie, “complimenti’’, fischi. Stasera ci hanno fatto rientrare nelle camerate alle sei. Sembra di essere tornate a Vercelli, quando c’erano i “gradini’’ 1 e 2 di buona memoria! Le guardie e la ronda sono pronte per ogni evenienza, con mitra e moschetti puntati. È incredibile dover essere difese dai carabinieri!
    16 ottobre - I comunisti non hanno osato niente di quello che si temeva. Si aspetta ansiosamente la famosa Commissione. Stasera tre grossi Krapfen.
 
    
    Speranze e delusioni
    
    23 ottobre - La speranza, come è noto, è proprio l’ultima dea. Ci avviciniamo al fatidico 25, ma della Commissione neppure l’ombra, quantunque il caro Capitano continui a ripetere che lui fa tutto il possibile per sollecitare, eccetera. Intanto, da un po’ di giorni si fa di nuovo la fame. Oggi, esasperate dalla sbrodaglia di mezzogiorno, abbiamo fatto una manifestazione di massa, prima davanti ai numerosi quanto grassi e inutili marescialli, e alla fine davanti al Capitano in persona. Risultato: una bella predica, l’invito alla calma e alla pazienza e, quasi quasi, il sentirsi dire che dobbiamo ringraziarli per quello che ci danno. Pezzi di ...! Non se ne può proprio più, e se non arriva la Commissione non si sa quel che può succedere! Altro che calma! Con lo stomaco vuoto e sei mesi di quasi-galera sulle spalle. Anche il Comando Americano si fa vivo per la solita, eterna storia delle sue preziosissime coperte: minaccia perquisizioni, risarcimento danni ecc. All’anima della ricchezza e generosità degli “alleati’’!
    24 ottobre - Così non si può andare avanti! Più che dei porci, sono dei delinquenti!!! Questa sera, con la solita pagnottina, ci hanno rifilato una ignobile broda di cavoli e carote secche nell’acqua. Terribile. Naturalmente, quasi tutta è avanzata. Noi abbiamo fame, vera fame! Quelli della cucina si arrabbiano e dicono che ce la siamo voluta, con la “rivoluzione’’ di ieri sera. Il Capitano, accorso con i vari marescialli per una verifica, ha dichiarato, dopo aver assaggiato la minestra (avrà fatto sforzi sovrumani per mandarne giù un cucchiaio, tanto era nauseante) che era buonissima, che non crediamo di essere in villeggiatura e via di seguito... Sarebbe stato niente sbattergli cavoli e carote sul muso! E pensare che quando venivano presi dei partigiani, gli si distribuiva lo stesso rancio nostro, e anche le sigarette! Ma se c’è una giustizia...
    27 ottobre - Domani... Mio Dio, domani 28 ottobre... E dover stare qui dentro, nelle loro mani. Rammento la celebrazione, l’anno scorso, alla G.N.R. di Vercelli, in un clima di fede, di entusiasmo, di volontà di riscossa... E nel giro di un anno, tutto inutile... Le nostre speranze, i sacrifici, le lotte... Non ci posso pensare. E assistere impotenti alla rovina della Patria, calpestata dallo straniero nemico. È troppo, se esiste una giustizia divina...
    La Commissione non si fa viva. Ieri è venuto un vescovo (con un sacco di preti al seguito). Ha promesso interessamento. Tutti quanti mostrano di interessarsi a noi, ma siamo ancora qui. Perfino “l’Uomo qualunque’’ (l’unico a dimostrare senso di obiettività fra tanti giornali cretini) ha pubblicato un articoletto su di noi, perorando la nostra causa e chiedendo la nostra liberazione.
    28 ottobre, domenica - Giornata di sole, ma tanta tristezza nel cuore. Quasi ossessive, mi vengono in mente le parole di quella canzone composta a Scandicci sull’aria di “Signorinella pallida’’: Negli occhi nostri passano - speranze, sogni pure nell’asprezza - C’è alla gola un nodo che ci soffoca - le note di quel canto, “Giovinezza’’...
    Già, quel canto che prorompeva vibrante, un anno esatto fa, dai petti di noi, gioventù repubblicana... Lasciamo perdere. A mezzogiorno pastasciutta: ottima, ma - ahimè - in una razione semplicemente ridicola. Perciò la solita fame.
    
    
    Fame, visite e commissioni
    
    30 ottobre - Ho ricevuto l’inattesa visita di un amico di mio padre, residente a Firenze. Nel pomeriggio, ultimo dei prigionieri italiani liberati, è venuto a trovarci Don Sani, accolto da una grande manifestazione di entusiasmo. Anche Adriana Gatti di Voghera (ausiliaria dei “Cacciatori degli Appennini’’) ha ricevuto visite: due Tenenti del suo reparto, usciti da Coltano. È proprio una giornata eccezionale!
    1 novembre, giorno dei Santi - È tornato l’amico di papà e mi ha portato alcuni libri, frutta, formaggio, marmellata. Ha lasciato all’ingresso questo ben di Dio perché non l’hanno fatto entrare in parlatorio a causa di una delle solite ispezioni. Questa volta il visitatore è un vecchio signore in borghese che sembra molto interessato a noi, “dimenticate’’ da tutti ormai da mesi. Poi c’è stata la Messa e ho fatto la comunione, con tutte le mie amiche. In serata è venuto ancora il simpatico prete di Scandicci. Per la prima volta, da quando abbiamo lasciato il Campo 334, è stata cantata “La Preghiera del Legionario’’, e anche quell’altro canto, struggente e nostalgico, “Patria, le tue stelle...’’. Signore, come mi è sembrata veramente divina la nostra preghiera, intonata nella semioscurità davanti al Crocifisso, gettata come una sfida in faccia ai nostri aguzzini... “Signore, salva l’Italia del Duce! Solo Tu puoi’’.
    4 novembre - Siamo in uno stato di grande abbattimento, vedendo come siamo trascurate, come questa dannata Commissione tardi a venire. Chissà per quanto tempo dovremo stare ancora qui. Per accrescere la nostra tristezza, c’è anche la partenza del caro Don Mario, il quale ci ha salutate perché andrà a Roma a studiare. La fame è sempre più nera: hanno mandato via il personale della cucina e hanno istituito dei turni fra noi. Mila, Luisa e Clara sono nel primo turno. Speriamo bene...
    5 novembre - Per tutta la giornata, gran fermento nel campo, perché siamo veramente stufe. Quando è arrivato il Capitano, abbiamo organizzato una imponente manifestazione a carattere rivoluzionario nel salone di sopra. Lui deve essersi preso un bello “spaghetto’’ trovandosi solo, nella mezza oscurità, tra una folla di ragazze decise a tutto. Naturalmente ha cercato di calmarci, trovando la scusa che tutto dipende da un “nulla osta’’ americano, concesso il quale verrebbe immediatamente la Commissione e saremmo subito libere. Ha aggiunto che con il 15 di questo mese il Comando U.S.A. non ci manderà più da mangiare e ritirerà tutta la sua roba, perciò è sperabile che il Governo italiano, per non sobbarcarsi la spesa del nostro mantenimento, si decida a spedirci via...
    10 novembre - Attendo un’altra visita della zia Tina, ma finora non si è vista. L’ultima della giornata è che un colonnello ha dato la sua parola d’onore (?!) che entro il 20 saremo libere. C’è da crederci?
    11 novembre - Ho il mal di denti. L’avvenimento è degno di nota perché è la prima volta che mi capita, tanto che mi sono fatta l’autoritratto. Per festeggiare la domenica, abbiamo avuto una vera pastasciutta col sugo! Per finire in bellezza, è venuto a intervistarci un giornalista, Paolo Bugialli. Proprio oggi, che ho questa faccia gonfia... Gli avrei parlato volentieri...
    12 novembre - Nel pomeriggio è finalmente arrivata la zia diretta a Montevarchi, e munita di rifornimenti! Altro grande evento: da Milano è venuta una Commissione cardinalizia che in origine doveva visitare solo un lager di ufficiali. Dice di aver trovato i nostri in condizioni veramente pietose. Avevano dei viveri destinati a loro, ma li hanno rifiutati. Hanno raccontato di noi e delle nostre condizioni, così sono venuti a vederci. La commissione era composta da un prete, una crocerossina e parecchi borghesi. La crocerossina, entrando, ha salutato romanamente. Sono rimasti a lungo, interessandosi “veramente’’ a noi e promettendo di fare il possibile per la nostra liberazione. Nella camerata della “Decima’’, le ragazze hanno cantato per loro “Patria, le tue stelle’’ e “La Preghiera del Legionario’’. Hanno portato così tanto pane (al quale gli ufficiali hanno rinunciato) che c’è stata una distribuzione supplementare di ben tre pagnottine a testa. Inoltre, sacchi di riso e farina gialla. Sono stati veramente colpiti dall’accoglienza entusiastica riservata ai viveri.
    14 novembre - Il nuovo sacerdote ha celebrato una Messa in suffragio di tutti i nostri Caduti. L’abbiamo voluta noi, prima di andarcene, questa Messa per i camerati morti nella disperata difesa della Patria. Dopo la comunione, qualcuna ha intonato “La Preghiera del Legionario’’ e subito tutte le voci si sono unite, forti, libere, chiare, davanti a un prete sconosciuto che forse, come uomo, ci è avversario... Come mi batteva il cuore alle ultime, strazianti parole “... e salva l’Italia del DUCE’’...
    
    
    Momenti di tensione
    
    15 novembre - Oggi è successa una mezza rivoluzione e in parte ne sono causa anch’io, che in tutti questi mesi non mi sono mai cacciata nei pasticci...
    Ecco come sono andati i fatti.
    Mentre venivano scaricati i sacchi di pane dal camion, io e Yvelise Ballari, dalla finestra, abbiamo progettato di fregare una pagnotta. Così, approfittando di un momento in cui non c’era nessuno, lei è saltata giù dalla finestra, ha afferrato una pagnotta dal sacco e me l’ha gettata al volo. In camerata nessuna ha visto la rapida scena: Yve è rientrata dalla porta fischiettando allegramente... Ma un minuto dopo è entrata come una furia quella pazza della Lesca, urlando che la pagnotta doveva saltar fuori, eccetera. Naturalmente noi due abbiamo fatto le indiane, ma dovevamo avere un’eccessiva espressione da “menefreghiste’’ se quella è andata a chiamare nientemeno che il Capitano. Hanno contato le pagnotte e, com’era prevedibile, ce n’erano in più del normale (l’avevamo sempre sospettato, che a noi ne arrivasse qualcuna in meno...).
    Così Lesca è stata sommersa da un coro di fischi e urla ed è stata costretta a battere in ritirata, se no le prendeva. Il Capitano, poveraccio, invocava la calma. Al contrario, noi gli abbiamo chiesto notizie sull’esito del famoso telegramma “mandato a Roma circa la nostra liberazione’’ (parole sue di qualche tempo fa). Ingenuamente, lui ha detto: “Quale telegramma?’’ con un sorriso angelico. Allora tutte ci siamo messe a fare un po’ di “repubblica’’ al solito grido di “vogliamo andare a casa!’’.
    Dimenticavo: è apparso su “La Patria’’ di Firenze un bell’articolo del giornalista venuto qualche giorno fa.
    16 novembre - Quest’oggi, ottima polenta col sugo (un po’ molle) che abbiamo però avidamente divorato. La liberazione rimane il solito mito...
    20 novembre - Pare che alcune abbiamo sporto una denuncia contro il Capitano e il maresciallo... Com’è naturale, non hanno ottenuto nulla, anzi quelli si sono infuriati e hanno già dato inizio a rappresaglie. Per rendersi conto della situazione sono arrivati diversi Ufficiali ai quali abbiamo ripetuto che siamo stufe e arcistufe.
    21 novembre - Siamo ritornate al menù americano di buona memoria: minestra di crauti e carote, accidenti a loro! Il giornalista, Paolo Bugialli, ci ha inviato una bella lettera, con parole di stima e di ammirazione, che ho integralmente trascritta. Gli abbiamo anche risposto, e ho collaborato anch’io. Sembra proprio che gli americani, tra qualche giorno, non ci passeranno più da mangiare. Speriamo! Il 24 prossimo apparirà un secondo articolo su di noi, questa volta su “L’Arno’’. Verso la notorietà!
    25 novembre - Delusione: nessun articolo sulle ausiliarie di Casellina... Stamani, grande scompiglio: si sono accorti che due delle “internazionali’’ (la Perotton e la Meraner) hanno tranquillamente preso il volo durante la notte, con tutti i bagagli, attraverso un buco nel reticolato dietro l’autobotte, quasi sotto il naso delle sentinelle e dei MIG accampati fuori. Capitano, maresciallo ecc. tutti arrabbiatissimi. E noi, giù risate! Però hanno promesso che la pagheremo noi: per il momento, sospese le visite dei parenti. Proprio in questi giorni che doveva arrivare di nuovo la zia!
    
    
    È finita!
    
    26 novembre - Voce ufficiosa: giovedì ci sarà la Commissione. Ore 12; la voce è ufficiale. Evviva! Ore 16: è venuta la zia Tina, con suo nipote Carlo Bernocchi che era nelle Fiamme Bianche. Mi aspetta fuori giovedì. È fantastico! Ore 20: in camerata, il Capitano ha annunciato che la Commissione sarà qui alle otto e mezzo di giovedì.
    27 novembre - Ormai questa cronaca viene redatta ora per ora, non giorno per giorno... Ore 11: ci ha parlato il cappellano militare esortandoci alla calma. Ha detto che domani verranno i camion per quelle del Nord. Io al Nord, cioè a Voghera, per ora non ci voglio andare, starò un po’ con la zia a Firenze (anche se lei non ha più la casa, e vive presso i cognati Bernocchi, in attesa che suo marito torni in libertà), forse dopo andrò dalla nonna a Montevarchi.
    Nel pomeriggio ci farà visita il Cardinale di Firenze, nientemeno, che venerdì celebrerà per noi l’ultima Messa. La Commissione (un generale, un colonnello e altri) è ben disposta verso di noi ma c’è da stare lo stesso in guardia perché c’è dentro uno che ci vuole male e il minimo incidente potrebbe pregiudicare il nostro rilascio. Ore 22: il Cardinale è venuto davvero, accolto abbastanza entusiasticamente. Quelle sospettate di spionaggio sono già state interrogate. Domani tocca a noi. Abbiamo tanto atteso questo momento, ma in genere non siamo molto allegre... Ci separeremo e chissà cosa ci riserva la vita borghese, fuori...
    28 novembre - Ore 8.30: adesso dovrebbe arrivare la Commissione. Dovrebbe. Ore 9.30: la Commissione forse si è svegliata tardi. Ore 10: è arrivata. Momenti fatali! Ore 10.30: come al solito, la burocrazia trionfa. Oggi preparano i documenti e domani ci interrogheranno. Ore 14: hanno già incominciato gli interrogatori, che sono quanto mai sbrigativi. Valeva la pena di marcire qui per sette mesi per poi sentirci dire: “Hai i documenti in regola. Vattene a casa’’...
    
    
    Addio alla mia Comandante
    
    Ore 20: momenti tristissimi. La nostra Comandante Ciuffini non potrà uscire con noi perché qualche infame, che non poteva nuocerle in altro modo, l’ha denunciata nientemeno che per “seviziazione!’’. È stata inutile la nostra testimonianza, così dovranno trattenerla per un processo, o roba del genere. Vigliacchi! Oltretutto, è anche ammalata e dovrà essere trasferita in ospedale. Sono ancora commossa: ci ha radunate tutte in infermeria, per salutarci... Ci ha parlato con voce rotta dai singhiozzi ma ferma, in quel suo modo tanto sereno e un po’ ironico, dimostrando una forza d’animo eccezionale. Ha voluto che, strette attorno a lei, cantassimo per l’ultima volta “La Preghiera del Legionario’’. Lei stessa ha detto che era felice di questo, e che terrà sempre alta, di fronte a tutti, la sua fede, come terrà alto il nome del Servizio Ausiliario Femminile. E se lo dice lei, si può star sicuri che lo farà, a qualunque costo. Saranno trattenute anche la Lesca e la simpatica Liborio della Decima. Povera Liborio, speriamo che sia libera al più presto!
    La Commissione sta preparando i fogli di viaggio. Domani arriveranno i camion per il Nord.
 
 
da TRE DIARI DI AUSILIARIE A cura della Associazione Culturale Servizio Ausiliario Femminile. Edizioni NUOVO FRONTE.1999.

UNA "CIVILE" CHE SI PROCLAMA AUSILIARIA
Cesara Mattiozzi
    
    
    [...]
    
    Diventiamo ausiliarie
    
    8, 9, 10 maggio - Siamo ancora prigioniere degli americani a Parabiago. Piano piano ci accomodiamo alla meglio. Hanno messo in funzione alcuni rubinetti. Con mia sorella Nannì abbiamo fatto un “letto’’ (?) con cassette di sapone messe a coppia, in fila, con sopra una copertina.
    Siamo in camerata col nostro reparto.
    Mangiamo la razione in scatoletta.
    Avessimo almeno una pagnotta! Ma pare che non ne diano. Solo gallettine in scatola... ma ci basta, meglio che niente! E speriamo: siamo ancora tutti e tre insieme. Lavoriamo. Si fanno pulizie, servizi vari, da ausiliarie. Ci siamo confermate, seguiremo la sorte del Gruppo.
    Giovedì 10 maggio - Campo di concentramento di Parabiago. Partono “le civili’’ - pare - per Piacenza.
    11 maggio - Ieri sera agitazione... Nannì pareva fosse nella lista delle partenti, ma era invece il nome di un uomo, molto simile al suo. Stamane cercavano la Lesca. Ci lasceranno qui? Temiamo di no. Forse domani - o addirittura stasera stessa - ci chiameranno. Saremo anche noi nella lista delle partenti? Avremmo tanto desiderato restare con i nostri... speriamo ancora... sono entrati in camerata dei giornali... povera Italia... che schifo gli Italiani!!!
    12 maggio - Adunata delle donne. Vanno via altre civili e si dice che lo stesso avverrà per le ausiliarie e le aggregate. Viene un colonnello: “Le ausiliarie restano e anche le aggregate che lo desiderano saranno considerate come ausiliarie (cioè come soldati)’’ Dovremo lavorare molto e duramente. Ci dice belle parole - tutte siamo commosse. Poche sono quelle che non aderiscono. Restiamo in 80 con 2000 uomini. Si pulisce, si spazza, si lava la roba ai militari, si cuce, eseguiamo gli ordini che ci vengono impartiti. Non abbiamo un minuto libero. In serata andiamo in una camerata di sole ausiliarie. Tenda gialla, letto di cassette. Lotta per la scopa e i secchi dell’acqua! Calma, ragazze! E disciplina!
    13 maggio - Io faccio, per così dire, l’attendente ad un capitano del Gruppo di mio cognato. Anzianotto, brava persona! La mattina gli faccio il caffè (con una lattina vuota e tagliata in un certo modo, sotto un bussolottino con un batuffolo imbevuto in un liquido infiammabile... posata sopra la gavetta con l’acqua e caffè in polvere. Si accende e, dice lui, viene fuori un caffè mai bevuto così buono! Lavo fazzoletti e qualche calzino (assai malridotti) che poi ricucio. A fare da attendente ad Arrigo ci pensa Nannì, lei sì che fa di professione la lavandaia: ha preso sotto la sua tutela anche una decina di artiglieri. Proprio mentre stiamo lavando e brontoliamo ci riconosce Nanni Chelucci da Portoferraio. È anche lui prigioniero qui.
    Messa al campo, poi al lavoro. Ci hanno levato la solita razione di sigarette... Il Generale non ha simpatia per le ausiliarie. Fanno di tutto per stancarci e cercano tutti i pretesti per poterci mandar via. Ma resisteremo, lavoreremo.
    14 - 15 maggio - Solita vita. Cambiato stanza. Accanto alla docce, la notte l’acqua che scende non ci faceva dormire. Cominciamo ad assestarci. Ci mettiamo su una specie di branda.
    15 maggio (sera): ordine di tenerci pronte con la roba. Sveglia la mattina alle 4. Si parte, pare.
    
    
    Si passa per Milano
    
    16 maggio - Siamo pronte, in attesa, da alcune ore. Partiamo alle 10 e mezzo; gli uomini avanti e noi donne sopra gli ultimi mezzi. Si va via da Parabiago. Fa caldo. Tanti fischi ed innumerevoli bandiere rosse. Parabiago ci offre le solite dimostrazioni (sarà così anche lungo tutta la strada che ci aspetta?). Si va verso Milano.
    A Milano ci fanno traversare tutta la città ma troviamo la gente composta. Avanti c’è il mezzo con i ragazzi della “Folgore’’ e della “Decima’’ e cantiamo anche noi la canzone della San Marco: “Arma la prora o marinaio, vesti la giubba di battaglia...’’ e poi: “Italia, Italia... cosa importa se si muore’’. Dopo noi donne cantiamo “Mamma, solo per te la mia canzona vola’’. Passando per una strada, la signorina Adele De Rossi, tenente delle ausiliarie, ci dice: “Fra poco passiamo sotto casa mia’’. Ci indica il suo balcone: c’è gente, anche alle finestre! E lei: “Vedete! Me l’hanno occupata... chi ci sarà nella mia casa?’’.
    A un certo punto, il sergente americano (di colore) che guida il nostro camion, fa: “Qui adesso voi alzatevi in piedi e fate vostro saluto!’’. (Noi non capimmo subito cosa volesse significare; l’abbiamo saputo dopo. Stiamo passando da Piazzale Loreto. Quel negro aveva del sentimento e lo ricordo con simpatia. Nota del 1946).
    Intanto non sono tutti ad insultarci. Molti stanno in silenzio a vederci passare... Qualcuno ci saluta con la mano, ci sorride. Da un balcone di piazza Castello ci tirano dei garofani. Una signora ci saluta con la mano e piange. In alto, da un tetto, qualcuno sventola un gagliardetto. Proprio sull’angolo di Piazza Castello un signore anziano sta fermo sull’attenti e fa il saluto romano. Poveretto, speriamo che non abbia avuto delle noie per questo!
    
    
    Coltano
    
    Dopo Milano, tutto torna più brutto. Gli italiani, per la maggior parte, ci odiano.
    Gli americani, però, fanno buona guardia e ci scortano bene. Si arriva vicino a Modena. Caldo, polvere, sole e sete; passiamo presso un campo di concentramento: una pianura sterminata con un formicaio umano. Non ci accolgono, non c’è posto! Si prosegue. In città, accoglienza tremenda alla nostra colonna di prigionieri! Ci si deve fermare per fare benzina, sotto il sole. Tanta tanta sete. Si prosegue. Presso una casa della brava gente porta qualche secchio d’acqua. Nei piccoli paesi i caffè e le osterie sono pieni di gente che beve e ci maltratta.
    Si va verso la zona degli ultimi combattimenti... Rovine... Quando si passa da Bologna corre voce che saremo portate a Pisa. Nannì è stanca, ha sonno e mal di testa. La sorreggo alla meglio. Siamo accucciate sulle valigie e i sacchi alpini, pigiate alle altre. Sete, ancora sete. Ci tormenta anche un altro bisogno (par di scoppiare)... sono ore che si viaggia così e non si può scendere. Di notte si passa l’Appennino. Nomi sentiti tante volte sui bollettini di guerra. Puzzo di cadaveri e di bruciato.
    Finalmente riconosciamo Pisa. Passiamo dalla Piazza dei Miracoli . Sembra che ci stiano portando in un campo presso la ex tenuta reale. Non siamo del tutto sicure d’essere in colonna con gli altri e temiamo di andare da un’altra parte senza rivedere il nostro Gruppo e Arrigo, mio cognato.
    Poco dopo Pisa, sotto gli alberi, arrivano in un vialone, finalmente, gli altri automezzi. Scendiamo. Passa Arrigo con i suoi; si fermano e ci aiutano a scaricare il bagaglio. Mettiamo gli zaini sulle spalle e ci incamminiamo.
    Siamo a Coltano. Dentro quei grandi muri trasparenti di rete da pollaio, una pianura sterminata piena di tende. Ci danno qualche tenda e barattoli di una specie di minestrone (un barattolo ogni cinque persone).
    Veniamo separate dagli uomini. Ci riposiamo sotto le tende. Sappiamo già, però, che dovremo andar via in un altro campo. Si spera ancora; ci fanno riposare, si beve, ci si lava un po’ alla meglio. La Comandante ci avverte di prepararci a partire. Nannì è sgomenta di doversi separare da suo marito. Arrigo riesce ad avvicinarsi a noi (ha regalato a un graduato americano la sua penna stilografica d’oro). Mia sorella e il marito sono commossi, ma si salutano con dignità rivolgendosi belle parole fermi nella speranza di riunirsi presto e fanno coraggio a tutte le altre, specialmente a quelle i cui mariti non hanno avuto la possibilità di incontrarle per il commiato.
    
    
    Verso Firenze
    
    Le camionette partono e non riusciamo più a vedere dove sono rimasti gli altri.
    È un brutto momento ma, piano piano, passa! Siamo con due negri (disarmati) per camionetta - in tutto quattro mezzi carichi di ausiliarie (in tutto siamo una ottantina). Stiamo correndo come matti. Quando siamo vicini ad Empoli sono rimaste vicine solo due camionette: una passa di corsa tornando indietro. Cosa sarà successo? Presso alcune case chiediamo da bere; ci portano acqua ed una donna viene con un fiasco di vino. Non facciamo in tempo a bere che arriva un partigiano che spiega chi siamo. Così non tutte riescono a bere e si riprende il cammino e tutti cominciano a dirci cattive parole. Dalle finestre gridano invettive. Una donna si avvicina al fianco della camionetta e sferra un pugno sulla spalla d’una ragazza... Lei si gira e sputa! La teniamo, ci raccomandiamo... non è per vigliaccheria, ma... guai a reagire, è estremamente pericoloso.
    Intanto Mara riceve una sassata sulla spalla! Per fortuna, i due negri sono abbastanza intelligenti, montano sulla camionetta e partiamo a tutta velocità! Ci fermiamo ogni tanto per attendere gli automezzi in ritardo; il sergente pare un po’ preoccupato: vuole portarci tutte insieme e incolumi a destinazione. Varie fermate. Quando la gente incomincia a venirci vicino, rimettono in moto e via! Come matti! È un miracolo se non capottiamo.
    Comincia ad imbrunire e corriamo fino alle porte di Firenze. Poi, bruscamente, si torna indietro - si vola - siamo sballottate da tutte le parti finché arriviamo a Scandicci e veniamo a sapere cosa è successo. Poco prima una camionetta si è fermata e due ragazze sono scappate. Altre due cercano di imitarle, ma sono riprese.
    L’automezzo è fermo in mezzo a gente ostile... insulti, botte, parolacce. Brutti momenti. È quasi notte; tolgono tutto il bagaglio che dovrà essere ispezionato. Non possiamo né mangiare né lavarci.
    
    
    Scandicci
    
    Lager n. 3, diretto da tedeschi; oltre a loro ci sono anche delle italiane di Novara, di Vercelli... È tardi quando andiamo a dormire, siamo sporche come bestie. Tanta stanchezza. Letti a castello con tavolette al posto dei materassi e due copertine militari. I castelli sono a tre piani; io sono a pianterreno e Nannì, dalla parte di là, è al secondo. È la sera del 17 maggio.
    Da Torino siamo usciti il 27 aprile.
    Sono passati venti giorni.
    18 maggio - Campo femminile di prigionia a Scandicci (Firenze). Ci assestiamo - sveglia presto - per il bagaglio (noi due abbiamo, oltre ai due sacchi alpini, una valigetta che mi serve, con sopra ripiegato il vecchio impermeabile, da guanciale). Non c’è acqua per lavarsi. Ci si sente avvilite, dopo tanti giorni, per non esserci potute spogliare, a viaggiare giorno e notte su automezzi scoperti, ricoperte dalla polvere, assetate, affamate, spettinate.
    Ci hanno dato la gavetta e un cucchiaio da tenere attaccato ad un chiodo infisso nel legno del castello...Hanno detto che dovremo tenerli sempre puliti. Han detto che non si può avanzare roba da mangiare (ma quanta ce ne daranno?).
    Al pomeriggio ci portano, in fila per cinque, alla visita dei bagagli. Uscendo, incrociamo una fila di prigionieri... Uno mi chiama: “Signorina Mattiozzi!’’... Riesco appena a vederlo per un attimo. Che sorpresa, che impressione sentirsi chiamare per nome in un termitaio!.... Lui mi dice ancora: “Sono Daddi, Cesare Daddi, Cesarino!’’. Lo riconosco: è un giovane ufficiale di Portoferrario, figlio dell’orefice che ha negozio in piazza Cavour. Ci salutiamo appena da lontano... e via! Visita al bagaglio. Si prendono, dando ricevuta, denari e preziosi nonché, a chi ce l’ha, scatolette e viveri di ogni genere. Poi... generalità, notizie varie. Ci dicono inoltre che, siccome qualche ragazza non si è comportata bene, (come quelle che sono scappate) non ci consegneranno, per punizione, il bagaglio domani. Subito a dormire. Buio e silenzio. In realtà è un litigare continuo. Ci sono diversi elementi indesiderabili, che sono rimasti mischiati tra le ausiliarie, che creano confusione e indisciplina! La Comandante non riesce a ottenere nulla di buono... Il male è che le conseguenze le subirà lei e tutte noi. È una pena! Non riusciamo ancora a lavarci. Siamo indecenti, sporche, abbrutite, con le mani nere. La Luciana Seimandi sta male. Ha 42 di febbre.
    
    
    Vita da PoW
    
    19 maggio - Finalmente possiamo lavarci.
    È festa grossa. Abbiamo, finalmente i nostri bagagli e possiamo cambiarci. Viene il Maggiore americano a visitarci. In uno stentato italiano ci parla, con disprezzo: se non ci comporteremo bene, ci manderà in Africa!
    20 maggio - Sono volontaria al servizio “pesante’’ per l’acqua. Portiamo decine e decine di bidoni alla cucina. Fa caldo. Ma non sono stanca. Per rancio una pappetta dolciastra... niente pane... a chi lo vuole, per bere una gavetta di... caffé lungo lungo, fatto all’americana, a bollore, senza zucchero. Dopo mangiato, altro servizio ai bidoni per l’acqua... non si finisce mai. Ma non tutte lo fanno (io cerco di risparmiare mia sorella che non è troppo in gamba); sono stanca e sudata; solo a sera mi riesce lavarmi.
    Appena pronte, via a fare i bagagli, si cambia camerata. Ci assestiamo. Noi, provenienti da Torino, siamo tutte e tre assieme con la Comandante Adele De Rossi nella camerata Torino n. 10. Chissà come starà la Seimandi? Non riusciamo a sapere nulla. È ancora in infermeria, si dice.
    21 maggio - Grandi pulizie nel nuovo alloggio. Oggi dovevamo restare senza mangiare - per punizione - fino a sera. Ma ci è stata condonata perché abbiamo lavorato bene ed allora, colazione a base di caffè e latte e ben dieci gallettine e marmellata d’arancia! A mezzogiorno, miscuglio di patate, piselli e carne in umido (deve essere roba in scatola riscaldata) ma è buono. Eppoi, con la fame arretrata che avevamo!!
    Nannì si sta facendo un vestito con una camicia grigio-verde da soldato. Sono di ramazza in camerata. Alla sera, nello stanzone dove sono i rubinetti, riusciamo a lavare, finalmente, la roba sporca che abbiamo.
    22 maggio - Ho dormito bene - sodo - mi alzo presto, mi lavo per bene e poi metto i panni ad asciugare. Grandi pulizie. Viene a visitare il campo un colonnello americano. Ieri il solito maggiore ci ha parlato con la solita durezza. Pare abbia trovato dei fazzoletti di carta per terra, tra due fabbricati (di là le tedesche, di qua noi italiane); oltre il marciapiede che corre tutto intorno, c’è il grande cortile aperto, tutto cosparso di sabbia, che deve essere tenuto perfettamente pulito... Guai se qualcuna butta in terra anche un fiammifero spento!!! Se ci comportiamo bene, tutto andrà liscio, altrimenti... (minacciando in continuazione di mandarci a lavorare... in Africa).
    La Comandante delle ausiliarie qui è la signora Ciuffini. Lei ed altre Ufficiali (sono in tutto cinque o sei) hanno una camera da sole e... non le vediamo molto spesso. La nostra camerata “Torino’’, invece, ha la tenente De Rossi che dorme qui in un castello con noi. La mattina presto, prima che arrivino in massa le altre (che, ai lavandini nello stanzone, fanno generalmente una gran confusione; le solite che si rincorrono, magari nude - buttandosi acqua addosso, ecc.) andiamo a lavarci. Io chiamo la De Rossi e resto fuori, in attesa che abbia fatto i suoi comodi. Poi lei mi ricambia. È una persona molto seria, sa stare al suo posto: io e Nannì le siamo amiche. Siamo anche più anziane di lei.
    Tra le ragazze ce n’è una parte che prestavano servizi vari, specialmente nelle mense (non le ausiliarie che hanno fatto il corso a Venezia e che, poi, sono state aggregate anche a reparti combattenti: ragazze per bene); queste formano un gruppo a parte, sono indisciplinate e lasciano molto a desiderare in tutto.
    23, 24, 25 maggio - La solita vita. Ci hanno fatto scrivere una cartolina alla Croce Rossa Internazionale, a Ginevra, per poter dare notizie alle famiglie.
    26 maggio - Piove a catinelle. Lettera alle famiglie, 18 righe (!). Laviamo le gavette con l’acqua delle grondaie. Finisco le scarpine (di panno bianco e rosa) per una gestante. Davanti a noi, dietro il reticolato di rete da pollaio, c’è un campo sterminato di prigionieri. Circola stasera la voce che siano arrivati i nostri da Coltano.
    Prima di addormentarci c’è un grande bisticcio: ignoranza, incomprensioni... sono però sempre le solite!! Hanno una fila di castelli in fondo allo stanzone,.... All’ingresso c’è un cartello “via Calandra’’ (corrisponde alla omonima strada di Torino... nota per essere abitata da donne poco per bene). Finiranno per mettere in cattiva luce tutte noi.
    27 maggio - Oggi, mentre stavamo andando fuori per recarci in fila alle docce, abbiamo visto il colonnello Mombelli, nel campo davanti. È della fanteria e l’abbiamo conosciuto a Torino. Ci ha guardato trasecolato... Mi sono girata mostrandogli il didietro della tuta blu (che ci hanno dato qui in campo) dov’è stampato in bianco, a grandi lettere il P.W. dei prigionieri di guerra. È un mese esatto che sono cominciate le nostre peripezie.
    Domenica colazione abbondante, ma i pasti lasciano a desiderare, senza pane... I soliti comportamenti... così noi abbiamo sempre fame. Finisco un bavaglino per la solita gestante e sono di cattivo umore. Sembra che, nel campo di fronte, siano arrivati i nostri ma che manchino gli ufficiali superiori.
    Mombelli ha mandato a salutare Nannì e chiede notizie. Ci hanno dato da scrivere ai parenti. Abbiamo scritto... quello che potevamo dire... a Elba, a Ida, a Romolo e, qui a Firenze, al cugino Vico Daneo.
    Quando sapremo qualcosa? Chi ci risponderà? Che ne sarà stato di Gigetta?
    I giorni passano... mi sento come di legno... non riesco a pensare più a nulla. È fede o incoscienza?
    28 maggio - La solita vita. Nulla di nuovo.
    29 maggio - Ci fanno le iniezioni immunizzanti (una per braccio) ed il vaccino. A sera molte hanno la febbre alta. Delirio e crisi isteriche. È un manicomio!
    Chissà cosa ci hanno iniettato? Nannì per ora sta bene. Ha solo un po’ di temperatura. Anch’io sono in gamba. Aiutiamo le malate e cerchiamo di calmare l’ambiente. Ci prodighiamo - con la Comandante - fino a notte alta. Le ragazze sono quasi tutte fuori combattimento. Una brava e seria ausiliaria ha una brutta e strana crisi: parla a voce alta e racconta cose sue personali. Smania ed è una pena. Io quasi mi vergogno a dirlo... mi sento “fiera’’ d’essere, malgrado l’età (ho quasi 43 anni) sempre a posto, sia fisicamente che moralmente... La Cesara dei tempi migliori!
    30 maggio - Siamo tutte un po’ scombussolate per la brutta notte passata, ma faccio ugualmente il servizio in camerata e fuori a portare i soliti bidoni d’acqua.
    31 maggio - Solito tran-tran. Al pomeriggio vado volontaria al trasporto della sabbia per il cortile. A sera sono stanca ma è bene, è meglio non restare inoperose. Nannì ha avuto notizie: pare certo che Arrigo sia qui, al campo vicino.
    1 giugno - Poche le novità. La Comandante era indisposta (soffre di fegato e qui non c’è nulla da somministrarle per farla star bene), stasera sta meglio.
    Baruffe in camerata, cioè in... via Calandra.
    2 giugno - Scritto lettera a Elba. Arriverà? Sarà viva? Quando avremo notizie? Ho tanta paura!
    Ci prendono le impronte digitali, Nannì dice: “bisogna che stiano attenti! (Nota del 1946: quando, nel novembre, ci liberarono dalla prigionia mia sorella mi fece vedere una bella matita rosso-blu che prese dal tavolo con una mano mentre le prendevano le impronte sull’altra!!!)
    3 giugno - Nannì si sente poco bene; ha la febbre e teme d’essere mandata in ospedale. Si alza presto e vuole reagire. C’è il cappellano della divisione “Italia’’. Viene a dire la Messa. Ci mettiamo in divisa e cantiamo. Lo spirito è alto.
    4 giugno - Nannì va a farsi visitare in infermeria, la trattengono in osservazione; sento un po’ di tristezza, vedendo il suo posto vuoto, nel castello a destra. Sto un po’ in compagnia con quella che abita su, al terzo piano del mio castello. È una povera donna che ho sempre aiutato come ho potuto, specialmente quando avevo parecchie sigarette datemi da Arrigo (a Coltano, prima di lasciarci, lui sapeva che ero una fumatrice accanita e divise con me la sua scorta di “Nazionali’’). Lei soffriva molto non potendo fumare; in principio gli americani ci davano il tabacco nei sacchettini e le cartine, poi smisero e così, ogni qualvolta accendevo una nazionale per me, ne porgevo una anche a lei. Ci aveva raccontato le sue disgrazie. Risiedeva vicino a Milano e nel bombardamento di Gorla, nella scuola colpita in pieno dove morirono tutti quei bambini, lei ne aveva perduti tre!
    Le ragazze ora hanno incominciato a fare una specie di spiritismo. Chiedo anch’io di avere notizie dei miei. Mi dicono che hanno evocato, e risponde, Emilio Bandiera, l’eroe del Risorgimento. Michele è morto; Romolo è vivo ma non sta bene... Saranno delle sciocchezze...? Degli altri non si sa nulla... Anche Elba è viva.
    5 giugno - Nannì non sta ancora bene. Nel pomeriggio torna la febbre. È inquieta perché teme sempre di essere mandata fuori in ospedale e restare separata da me.
    Tanta tristezza e poco da mangiare. La signorina De Rossi desta scalpore in camerata... si veste con un abitino borghese... un figurino!! Lei è rimasta, fino ad ora, sempre in divisa. Dopo aver scherzato un po’ con tutte, per tenerci allegre... si rimette la sua uniforme da ausiliaria con i gradi.
    In cucina hanno cambiato i cuochi, tutti tedeschi. Le solite ragazzacce si comportano male, da sgualdrine... fanno segni e lanciano biglietti ai prigionieri di fronte e li fanno punire. Quelle non sono rese inoffensive come noi vorremmo!! La Comandante Ciuffini sta poco bene: hanno messo al suo posto Ginevra Orrù (sarda) che le ragazze chiamano “Ginevrona’’; la vediamo di rado... non si interessa di tante cose come dovrebbe... nella camerata abbiamo deciso di far cessare lo scandalo... siamo tante... se non la smettono, sono botte...
    6 giugno - Nannì sempre in infermeria con un po’ di febbre... nulla di eccezionale. Vado a trovarla quando mi fanno passare; sto facendo un po’ di esercizio di francese, leggendo un libro, che traduciamo assieme ad Adriana Gatti e ad Odette (una francese che ha sposato un italiano). Facciamo anche un poco di conversazione in questa lingua.
    7 giugno - Nannì sta meglio. Questo periodo in infermeria le è servito a rimettersi un po’ dalla fame, dato che là il rancio è diverso.
    Grandi pulizie in camerata. Ci danno in abbondanza del sapone e noi, dopo aver lavato in terra con uno straccio ben insaponato, ci mettiamo in una decina, con pezzi di coperta di lana sotto le scarpe; una dietro all’altra con le mani sulle spalle, facciamo il serpe strusciando i piedi accompagnandoci con il canto di “Rosamunda’’ (è lo stesso con il quale andiamo sempre, in fila, gavetta alla mano, a prendere il rancio nel cortile). Il nostro stanzone pare passato a cera!! Sono di servizio - fa caldo - mangiamo male, la cucina non va.
    Hanno dato il pane; sembra gomma.
    I tedeschi cucinano alla loro maniera. Sarebbe forse un buon minestrone, ma... al momento di portare il bidone in mezzo al cortile per la distribuzione ci buttano dentro una bottiglia di aceto e diventa tutto agro... Loro fanno così i crauti. Il sergente americano (famiglia di origine meridionale) sarebbe un bel giovane, ma è malvagio, ingiusto e avrebbe voluto diventare una specie di pascià in un harem di prigioniere... (ma quelle che lui adocchia l’hanno sempre tenuto alla larga). Ne sa qualcosa la bella e giovane Italia Longo che è continuamente perseguitata e, si dice, tenuta in una stanza adibita a prigione con la scusa di mancanze immaginarie e che la abbia anche picchiata... ma non è riuscito a farsi... benvolere. Ora se la prende con tutte. Fioccano le punizioni. Vuole che tutte tolgano la divisa, i gladi, i gradi ed ogni distintivo che possa apparire “un simbolo fascista’’.
    Grandi discussioni. Ora, alla notte, faccio la guardia. Ci alterniamo perché è successo un fatto disgustoso. Il Lager non ha porte. C’è una apertura grande dalla quale si esce in cortile e - laggiù in fondo - il cancello con la sentinella (oltre quelle in alto sulle torri di controllo del campo con le sentinelle, pure armate). La notte, mentre dormivamo, ci siamo svegliate per un forte trasmetìo e voci concitate. Era successo, poco distante da me che una ragazza si era trovata con un americano salito sul castello... Le altre stavano con questo ufficiale in mezzo e lo spingevano verso l’uscita dicendo... male parole. Fu buttato fuori.... dal fiato avevano capito che era ubriaco! Ma non fu molto malmenato come meritava!!
    Non molto lontano da noi, in fondo alla.... (chiamiamola pure...) strada, c’è la palazzina del comando e, alla sera, spesso sentiamo musica e vediamo uscire dalla nostra cucina enormi teglie colme di polli arrosto.... Di giorno, vengono spesso sotto le due finestre laterali (che danno sulla strada) americani, perlopiù negri, con bambini per mano, a mostrar loro le prigioniere che, naturalmente, si mettono a far boccacce ai curiosi. Qualche volta si è vista passare anche qualche “segnorina’’ in .... visita al Comando, che veniva a vedere le “belve prigioniere’’.
    10 giugno, domenica - Messa al campo. Parliamo con il cappellano. È della divisione “Italia’’. Ci porta della roba dei soldati da accomodare: calzini, indumenti sdruciti... La riprenderà domenica prossima. Così cerchiamo di renderci maggiormente utili e facciamo amicizia con qualcuno. Mombelli ci ha mandato i suoi saluti. Dopo la Messa mi metto in “borghese’’: ho tirato fuori dalla valigia il mio vestito a giacca grigio; camicetta bianca e scarpe verdi di seta gros-grain con le suole di legno snodate... Faccio furore... Corrono tutte a guardarmi come una bestia rara.
    11 giugno - Mangiamo un pochino meglio. Nannì sta bene.
    12 giugno - Faccio dei fiori sulla borsa di Linda. Poi, dalla poesia, passo alla prosa. Vado volontaria ai lavori pesanti! Pulizie speciali ai gabinetti e lavandini.
    Per questi lavori extra mi daranno, come al solito, la merenda: una fetta di pane, marmellata e sopra un’altra fetta. Io incarto tutto con la carta igienica (ce ne danno tanta e ci facciamo di tutto!), la metto sotto l’impermeabile che mi fa da cuscino sul castello... poi avverto Nannì che se la vada a prendere. Così mangia qualcosa in più, che ne ha tanto bisogno!
    Stanotte ci sono state avventure... Ho sentito urlare nella camerata 8 che è vicina... c’era la Norma che aveva paura degli spiriti. Si vede che avrà fatto un sognaccio. L’abbiamo calmata: era spaventata e non voleva essere lasciata sola... È stata accomodata assieme ad una amica.
    12 - 20 giugno - La solita vita. Tolto qualche episodio movimentato fra le ragazze.... i bisticci.... i pettegolezzi... e il fango che affiora. Una sera mi scontro con la Lesca. Le dico la mia “opinione’’: “Abbiamo ragione di credere che sia lei ad aizzare le ragazze del n. 9 contro noi del 10 prendendo di mira, principalmente, la nostra Comandante. Questa è bassezza morale!’’.
    21 giugno - Distribuiscono due frittelle e un’arancia a testa. Avremmo proprio bisogno di un po’ di vitamine... Io ho le gambe con certi peli lunghi che sembro una scimmia! Andiamo alla porta d’ingresso per salutare i “nostri’’ di fronte. Ma loro non ci sono.
    
    
    Bisticci in camerata
    
    22 giugno - In cortile, serata di varietà delle tedesche. Siamo invitate. Carino.
    23 giugno - Nella nostra camerata c’è un certo movimento... Alcune ragazze se la sono presa con noi. Non si sa bene perché. Discorsi ambigui, pettegolezzi. Ho sentito, a volo, dire che Nannì fa la spia alla Comandante (lei non era presente). Non ho potuto trattenermi e sono scesa dal... mio castello (ero seduta al terzo piano a conversare con la Pedruzzi). Presente la tenente De Rossi ho chiesto spiegazioni a chi aveva proferito la frase ingiusta.
    Quella sciocchina di Isabella ha confermato, puntualizzando che l’avevano detto in “via Calandra’’. Allora sono andata laggiù da quelle ragazze a dire le mie ragioni. La signorina De Rossi mi è corsa dietro assieme a Nannì che era arrivata nel frattempo, ignara di tutto. Quelle ribadiscono “le voci’’; ad un certo punto ho mollato una sventola in faccia alla più accanita!
    Nessuna ha reagito ed io ho potuto precisare che mi dispiaceva d’aver trasceso, però loro erano ingiuste e non dovevano dare corpo a certe malignità messe in giro da chi cercava di creare discordia tra noi. Ho detto: “Dobbiamo restare unite per trascorrere il tempo che dobbiamo passare qui nel migliore dei modi, da donne civili. Se non ritenete possibile diventare amiche, almeno comportatevi da non nemiche’’. Tutto tornò calmo. Strinsi la mano a quella che avevo schiaffeggiato e lei accettò la mia stretta di mano. La De Rossi e Nannì, che stavano poco discoste, tirarono un respiro di sollievo (mi dissero poi che avevano temuto di vedermi sbranare... nella tana dei leoni). Io non posso ingoiare le ingiustizie e ne abbiamo subite tante!! Credevo di avere qualche punizione, ma tutto è finito così. Si vede che la De Rossi ha pensato che era meglio non fare rapporto sull’accaduto.
    
    
    Una festa
    
    24 giugno (san Giovanni) - Viene preparato qualcosa per la festa della Comandante De Rossi. Io e Tina, con una lattina tagliata a strisce, a spirale, carta igienica tinta con la matita rosso-blu, prepariamo un mazzo di fiori avveniristici. C’è qualcuno che compone una poesia per accompagnare l’omaggio... di un parapioggia (chissà chi l’ha pescato nel suo bagaglio, in mancanza di meglio?!). Io preparo una specie di pergamena... miniata.
    Il rotolo è legato con una striscia gialla di stoffa da paracadute (questi erano in dotazione alle FF.AA della RSI e molte ragazze ne avevano grandi pezzi. Le tedesche, invece, li avevano rossi e servivano per confezionare reggiseno e mutandine).
    Il suggello, alla maniera antica, era fatto con mollica di pane e rossetto per labbra. Sopra incido un “castello a tre piani’’. Lina Cirotti, vestita da bimba - fiocco in testa, scarpe a “tronchetto’’ (dove le avrà mai pescate?) - con voce in falsetto presenta tutto e legge la poesia, preceduta da squilli di tromba, fatti con la bocca. Ci divertiamo un mondo!!! Che simpatica “cerimonia’’! La signorina De Rossi, seduta su, sopra il castello, sta al gioco anche lei, ma si vede che è un po’ commossa.
    Le ragazze di un’altra camerata, guidate da una prigioniera volontaria della Decima Mas, soprannominata “Pippo’’, non hanno soldi. Fanno il giro delle altre camerate; si fermano a cantare, ballare e bussare a denari. Fanno parecchio, specie nel gruppo Torino. Urla di gioia quando Nannì, per noi due, offre cento lire! In onore di san Giovanni la sera ci si veste tutte con quanto di meglio abbiamo. Si balla sul piazzaletto della fontanella esterna. Io, che ho messo i pantaloni, faccio... da cavaliere. Trovo una ragazza che balla bene e facciamo spettacolo! (come “musica’’ abbiamo il “mugolato’’, scandito sui bidoni dell’acqua e sulle gavette percosse dai cucchiai).
    È uno spasso.
    
    
    Battaglia con le partigiane
    
    25 giugno - 12 luglio - C’è molto nervosismo per aria. Siamo sempre sotto tiro per malignità varie... Cerchiamo di ingoiare tutto, con pazienza; il reparto a sinistra, al solito, sta cercando rogna. Chissà come andrà a finire? Ormai ci hanno promesso le botte... all’uscita. Perché mai? Non si sa! Bisogna non curarsene, ma ci vuole molta, troppa pazienza. Dobbiamo ricordarci in ogni momento di essere persone civili ed educate.... (non vorrei che, qualche volta, mi scappasse la... Mattiozzina!). È sempre la solita vita, talora un po’ movimentata con le “adunate’’ in seguito a mancanze delle ragazze. Qualcuna va anche in prigione. È avvenuto un... incidente nella camerata vicina. Presso di loro c’è una stanza con alcune partigiane jugoslave (imprudentemente e chissà per quale ragione finite qui assieme ad ausiliarie della Repubblica Sociale Italiana).
    Le “titine’’ stavano ricamando una stella rossa su una bandiera jugoslava. Le nostre hanno protestato, ingiungendo loro di smettere e di togliere di mezzo quella bandiera. Quelle, che forse lo facevano apposta per provocare, hanno reagito e ne è venuta fuori una baruffa..
    Piano piano, nelle camerate a noi vicine, la baruffa è diventata generale. Non ci sono porte tra le stanze che sono divise solo da un grande arco. Ho visto, dal mio castello, volare le tavolette che fanno da materasso ai nostri giacigli... Passavano al volo attraverso la stanza, come i bidoni della spazzatura di cui sono dotate le camerate. Ecco che il sergente americano vuole sapere chi sono coloro che hanno pestato le jugoslave...
    Siamo state punite tutte. Nessuno ha parlato e siamo solidali con le nostre.
    Ogni tanto risuona il segnale dell’adunata in cortile e tutte dobbiamo correre, in fila per cinque. Solita richiesta: “Chi è stato?’’ e solito mutismo. Nessuna risposta.
    Così, per punizione, digiuno tutto il giorno e così sarà finché non parleremo. Le tedesche sono state ammirevoli. In tante sono venute con le loro gavette piene di minestra ma noi abbiamo ringraziato e rifiutato (anche il pane). Dobbiamo digiunare per non creare noie anche a loro. Per tre giorni ancora siamo state senza mangiare... o sdraiate sui castelli o a fare il giro delle camerate per mantenerci calme ed unite; abbiamo, per lo più, cantato per ingannare lo stomaco! La notte ci alterniamo per fare i turni di guardia... non si sa mai! Veniamo a sapere che le partigiane slave sono state messe in una stanza lontana assieme alle “internazionali’’.
    
    
    L’ochetta del campo
    
    Qui si lavora molto.... La sera quasi tutte sui nostri castelli ci dedichiamo prevalentemente a lavori di maglia. Abbiamo avuto diverse coperte di lana grigia. Ogni due centimetri di coperta la si strappa per il lungo. Il filo di lana, via via, viene appallottolato mentre il resto forma come un “lanicchio’’ che poi viene impiegato in diversi usi, specialmente per fare indumenti e cuscini. Tante ragazze sono arrivate qui con la testa rapata, un solo paio di mutandine, pantaloncini, giacca di tela blu e niente altro. Ora si cerca di fornir loro un po’ di guardaroba. Abbiamo trovato del fil di ferro adatto e tagliato - appuntito - e abbiamo fatto dei ferri da calza. Molte ragazze si stanno confezionando dei golf, oppure, con coperte più leggere, anche gonne.
    Io e Nannì abbiamo delle scarpe comperate a Novara. Moda di guerra: seta gros-grain in nastro pesante alto circa due dita cucite in modo da formare tomaia, e suola di legno, snodata in centro in maniera da poter fare il passo. Qui stanno copiandole; soltanto sono tutte di coperta americana (la suola è di parecchi strati cuciti insieme). Io faccio, con la stoffa gialla dei paracadute, le ochette. Cioè è nata “L’OCHETTA DA CAMPO CHE VA A FARE LA SPESA’’.
    La riempio con il lanicchio delle coperte disfatte. Il becco e le zampe (giallo scure) sono di panno Lenci (ne ho qualche pezzo portato nel bagaglio da Torino); le metto in testa un fazzolettino di stoffa, annodato sotto il mento e l’ala - staccata - è cucita solo sulla spalla. Così, sotto l’ala, metto l’ombrello e la borsa della spesa! Tutte vogliono l’ochetta per ricordo e così ne fabbrico tante. Tutte mi danno qualcosa; tante mi ricambiano con pezzi di stoffa... ed allora vengono fuori anche le cinture di stoffa pesante grezza guarnite di fiori in panno Lenci.
    Quando partono le tedesche chiedono chi vuol andare a fare le pulizie nei locali lasciati da loro. Io vado e così trovo un bel pettine, un grosso lapis rosso e blu... carta e tanta tanta robetta che mi serve. Ho altre matite colorate. Tutte vorrebbero qualcosa per ricordo del campo; mi sto dando da fare e così passo anche il tempo e mi diverto. Ci siamo fatte amiche anche della Comandante Ciuffini (romana) che ogni tanto è seguita dalla ausiliaria che le fa da attendente. Le hanno detto che nella camerata “Torino’’ ci sono la moglie del maggiore Mazzantini con la sorella ed ha voluto così conoscerci. Stiamo, sovente, insieme a lei, unitamente a due signore di Venezia - anche loro, come lei, Ufficiali delle Ausiliarie. Naturalmente pure per queste c’è la mia OCHETTA DEL CAMPO che è diventata una specie di portafortuna da portare a casa.
    
    
    Diversivi
    
    Ci viene anche l’idea di organizzare, come le tedesche, uno spettacolo di varietà. Si studia, si pensa. La nostra camerata “Torino’’ presenterà la sfilata della “Moda del Campo di Concentramento’’. Le ragazzine, dette le “Tripoline’’ (giovanette di 15, 16 anni, figlie di italiani in Libia, venute in Italia a fare un campeggio della G.I.L. e rimaste poi bloccate, finite qui con noi) faranno una fantasia araba. Otteniamo il permesso. Viene costruito, in fondo al cortile, un palco di tavoloni, allo spettacolo viene invitato anche il Comandante americano.
    La “MODA’’ presentata al defilé è tutta a base di stoffa di paracadute... molta carta igienica... coperte militari varie.
    Dalla mattina, la ragazza che va alle docce, fino alla... passeggiata serale con... paltò di coperta con basco, idem con cane al guinzaglio (fatto di coperta gialla, imbottito di cascami delle coperte disfatte). Abbiamo fatto diversi “quadri’’ e Nannì se ne è particolarmente interessata (da regista). Io ho fatto un po’ di tutto. Erano invitate le tedesche ancora presenti al campo e tutti si sono divertiti.
    Certo che, rispetto alle vere sfilate di moda di Torino, la nostra lasciava un po’ a desiderare e la differenza si vedeva. Ma abbiamo passato il tempo allegramente e per una qualche ora ci siamo quasi dimenticate della nostra condizione di prigioniere di guerra.
    Comincia a fare caldo e cerchiamo di passare il tempo in qualche modo. Ora giochiamo a palla a volo. Mettiamo una fune ad una certa altezza nel cortile. Abbiamo fatto una palla con gli stracci... Tanto per cominciare, ci rimetto subito una camicetta (una avversaria, per togliermi la palla, mi dà uno strattone e la camicetta si spacca in due!). Nannì, per il caldo, mi fa una striscia di stoffa bianca, come un bustino, con bretelle gialle. Ho i pantaloni con il P.W. dietro. Deve essere uno spettacolo! Mi dicono: Mattiozzi, ti sei fatta il reggi-costole? Sono tanto magra che, quasi tutte, mi chiamano “Gandhi’’.
    Alla sera passeggiamo nel cortile per prendere un po’ di fresco: qualche volta cantiamo la nostra canzone... la canzone del prigioniero: “Patria, le tue stelle mi fanno piangere tanto il cuor... di dolcezza, di nostalgia, d’amor... Patria, ma tu mi saprai ritrovar... sola, quaggiù, come posso restar...’’.
    Una sera, qualcuno, fuori, ha una radio che trasmette l’opera “La Tosca’’. Ce la sentiamo tutta, a sedere sul marciapiede con le Comandanti. È una specie di salotto della contessa Maffei sotto le stelle... A volte cantiamo anche “Chi ti potrà scordare, piemontesina bella... tu sei la viva stella che brillerà nel cuor... Ricordi quelle sere, passate al Valentino col biondo studentino che ti stringeva sul cuor...’’.
    
    
    La lunga estate
    
    Fine luglio - primo agosto - Siamo ritornate al lager n. 5 dove ci avevano messo nei primi giorni del nostro arrivo qui, vicino all’uscita. Davanti alle finestre ci sono quelle dell’ospedale con i nostri. Molte stanno sempre affacciate.
    Stringono amicizie; qualcuna di loro esagera e nascono complicazioni. Dapprima ci sono avvertimenti di non stare alle finestre; poi fioccano le punizioni che toccano un po’ tutte. Stiamo vivendo in un ambiente nervoso e le grane non mancano. Diverse ragazze si sentono male, quasi la maggioranza soffre di fegato: da tempo, ormai, il vitto è scarso e di pessima qualità, nocivo. Eppoi, tutto quel caffé amaro che si beve influisce di certo sui nervi... la notte non si dorme, anche a causa del caldo!
    È venuta la signora Amelia, mamma di Arrigo, con le figlie. Hanno chiamato di là dal muro dell’orto di un contadino. Dal muro, che è alto, si vede la sommità di alcuni alberi da frutto. Sopra il muro c’è il solito filo spinato arrotolato. Quasi a terra c’è un buco e Nannì con la suocera si sono intravviste ed hanno parlato un po’ tra loro. Emozione per noi e per tutte le altre che ci stavano intorno. Oltre quelle di Arrigo, abbiamo avuto notizie dei nostri fratelli: Michele è stato ferito in un bombardamento mentre andava in moto a Voghera (dov’è sfollata l’ILVA), sta per lasciare l’ospedale; Romolo è a Genova, alla Sede. Le Mazzantini hanno promesso che torneranno dopo che saranno state da Arrigo, a Coltano. Verranno ancora a trovarci?
    Quando?
    Nannì è molto magra, esaurita; le danno un supplemento di vitto. Io ho sofferto un po’ di stomaco - ora è passato. Lavoro, faccio le solite ochette, ricamini, ventagli (rotondi, ovali) ricavati dalle scatole di cartone dei viveri; li guarnisco con disegni colorati e ci applico delle retine di filo di ferro sottile. Mi riesce ricavarne qualche pezzo per fermare il manico dei ventagli. Tutto è buono, tutto serve! Ogni tanto arriva qualche soldato tedesco per qualche riparazione... Non fa in tempo a posare in terra la cassetta con gli arnesi che non trova più nulla: qualcuna di noi li prende al volo (in prestito) e ci facciamo da noi vari lavoretti. Io mi sono costruita anche uno sgabelletto che tengo vicino al castello; mi fa da comodino. I tedeschi non se la prendono a male. Sanno che abbiamo bisogno di tante cose e chiudono un occhio! Così io mi arrangio anche per avere qualcosa in cambio dei lavoretti che mi chiedono: un po’ di pane, qualche pastello, filo e tabacco (da chi non fuma). Prendo lezioni di stenografia dalla Comandante.
    Dai primi di agosto al 18 settembre - Per tutto il mese di agosto, al Lager n. 5 siamo state male. Abbiamo mangiato poco. Il sergente americano Gregorio Grillone - sarto a New York, famiglia di origine meridionale - è cattivo, volgare. Ci ha fatto penare per quattro mesi! Il primo agosto arriva un gruppo di ausiliarie da Modena. Partono una sessantina di civili. Crediamo che vadano a casa e, invece apprendiamo poi che sono finite in prigione a Firenze, a Santa Verdiana. Avevano quasi tutte delle denunzie. Alcune tra le ragazzine “tripoline’’ si sono specializzate in “graffiti’’ sui fondi di grossi barattoli di latta ritagliati. Ci provo anch’io, ma non mi riesce bene ed abbandono l’idea.
    Ma c’è chi sa fare (sono ancora le “tripoline’’) - utilizzando legno e cartone - dei mobili e altre cosette in miniatura. Una fa un salottino con poltroncine imbottite, tavolo, ecc. Così ci mettiamo insieme e produciamo qualcosa. Da qualche giorno incominciamo a vedere gente; abbiamo potuto anche comperare un po’ di frutta.
    
    
    Casellina
    
    Un giorno viene l’ordine di trasferimento.
    Ci prepariamo, portano via anche i castelli. Firmiamo tutte il posto che occupiamo. Fuori ci sono pronti i mezzi... Facciamo grande toilette e cerchiamo di fare buona figura nei confronti di chi ci vedrà passare... Io ho una testa di capelli incolti che sembrano la criniera di un leone. Mi metto in testa un turbante. Ho i guanti in mano e, quando si sale sul camion, scoperto, ne presto uno alla mia vicina che lo infila e sta con la mano fuori, appoggiata alla sponda... Stiamo facendo giochi di bussolotti per sembrare a posto ed eleganti!
    Quando gli automezzi si mettono in moto, dopo aver percorso un paio di stradette, svoltiamo in una strada larga (via Pisana) e ci infiliamo in un cancello (con nostro vivo disappunto per la troppo breve gita e l’inutile sfoggio di eleganza).
    La gita è durata pochi minuti.
    Prendiamo così possesso del Campo di Casellina. Siamo circa trecento.
    Staremo qui dai primi di settembre fino al 30 novembre, giorno in cui saremo, finalmente, rilasciate.
    Il fabbricato ha stanzoni con grandi finestre; intorno un cortile con erba molto alta in cui predomina la menta. Sul retro, un campo, grande, con in fondo un baraccone di legno (questo serve come luogo di decenza; lunghi fossi scavati in terra e, sopra, tavolati con fori rotondi a distanza regolare).
    Sul finire di una calda estate, dopo qualche settimana che siamo nel nuovo alloggio, ci vuole del coraggio ad entrare in quel... locale, frequentato da duemilacinquanta persone! Nannì ha trovato il modo per... mitigare l’effetto di quelle... sedute. Passando per il prato, strappa un ciuffo di menta da una pianta e se la piazza sotto il naso e, trattenendolo, tra le narici e le labbra a mo’ di baffi, ne aspira l’odore. La imitiamo tutte e in poco tempo sparisce tutta la menta.
    A Casellina abbiamo un graduato americano molto buono e comprensivo. Il Comando Italiano è rappresentato dai Carabinieri diretti da un Capitano. Il trattamento si è umanizzato; tutti sono gentili con noi e qualche volta l’americano porta a casa dai loro parenti quelle che abitano a Firenze.
    Le lascia a casa per un’oretta e poi passa a riprenderle. Nessuna è mai mancata!
    Anche Nannì è andata più di una volta a casa della signora Amelia per avere notizie di Arrigo che, nel frattempo, chiuso il campo di Coltano, è stato trasferito a Laterina, in provincia di Arezzo. Spesso è andata fin là Elsa, la sorella, a portare generi di conforto (aveva trovato da fermarsi presso una famiglia prima di tornare a Firenze).
    
    
    Visite
    
    Anche noi riceviamo visite: parenti ed amici possono venire a trovarci nel cosiddetto “parlatoio’’. Abbiamo anche organizzato un rifornimento di frutta e pane (che prendono al mercato centrale e ci rivendono). Se ne occupa una delle vicecomandanti: Teresina. L’importo che dobbiamo per la spesa ci viene prelevato da quanto abbiamo a suo tempo versato al nostro ingresso al campo di Scandicci.
    A Casellina, per mangiare il rancio, abbiamo grandi tavoloni con le panche. Che bello mangiare a tavola! A questo proposito devo raccontare cosa siamo state capaci di organizzare. Ho già avuto occasione di accennare, più sopra, all’abilità delle “tripoline’’ nel costruire mobili in miniatura. Così pensiamo di fare qualcosa da “allottare’’ per fare un po’ di soldi.
    Primo premio della lotteria: una cucina d’alta montagna con stufa grande a mattonelle, accanto a questa una panca con due sciatori... Gli sci appoggiati ad un angolo. I due sciatori, un ragazzo e una ragazza, si scaldano le estremità alla stufa; in terra sono poggiati gli scarponi slacciati: le figure saranno alte una decina di centimetri e sono vestite con pantaloni, calzettoni, maglioncino di lana e, in testa, un berrettone. Gli scarponi li ha fatti una tripolina, sono un capolavoro di un paio di centimetri!
    Io faccio i maglioni. A calza, uno rosso, uno blu, con un piccolo filo di ferro come ago da maglia. Ci divertiamo veramente. Costruiamo con grosso cartone una parete e con un altro il pavimento; la cucina: un cubo rivestito di mattonelle che sembrano smaltate, con ricami di fiori alla tirolese. Diamo alle figurine la posa adatta sulla panchetta. Vengono tutte a vedere e acquistano il numero della lotteria. Non so se per un caso oppure se sia stato fatto apposta, quel piccolo capolavoro creato dalle prigioniere del campo lo ha vinto il Capitano dei carabinieri! Ne siamo state molto contente.
    Un giorno sono venuti al campo anche la sua signora e i bambini, per salutarci.
    
    Continuiamo a fare mobilini, salotti, roba per bambole. Una sera che siamo rimaste a corto di materiale per i nostri lavori, dal momento che ci avevano portato un bel tavolo grande, nuovo, con il piano di compensato... ci siamo messe all’opera e in un quarto d’ora lo abbiamo fatto sparire... squartato - a pezzi - e li abbiamo nascosti sotto i castelli. Al posto di quel tavolo nuovo ne abbiamo piazzato uno vecchio. Con tutto il materiale che ne abbiamo ricavato, possiamo, in tutta tranquillità, costruire tante cosette!
    
    I guai invece sono venuti quando hanno voluto che rendessimo conto delle coperte che avevamo ricevuto in dotazione. Tanto le coperte, quanto i teli da tende mimetizzati si sono quasi tutti trasformati in tanti indumenti, anche intimi! Ad una certa ora, tutte dobbiamo portare le coperte nella stanza in cima alle scale... Nessuna di noi si è presentata. Piovono pesanti minacce! Si devono rendere le coperte, ad ogni costo! Riusciamo a metterne insieme un numero molto esiguo tutte intere (come vogliono che le rendiamo). Ce ne sono tante che a furia di togliere strisce, sono diventate... quadrate; altre, alleggerite dal lato lungo, sono delle misere... fasce. La Comandante spiega all’americano che le ragazze sono state costrette ad arrangiarsi quando faceva freddo per potersi mettere addosso qualcosa; tante non avevano nulla! Così passa la buriana. Non veniamo punite.
    
    Un giorno ci fanno mettere in fila, ravviate il meglio possibile. Viene a trovarci Della Costa, Cardinale di Firenze. Ci ha parlato e ci ha regalato un piccolo rosario; noi abbiamo fatto omaggio al Prelato di un fondo di barattolo di latta con sopra incisa, col bulino, la testa di Gesù Cristo. Sono venuti anche alcuni giornalisti che poi hanno scritto articoli su diversi giornali e così qualcuno si è occupato finalmente di noi, prigioniere da tempo e dimenticate da tutti.
    
    * * *
    
    Alla fine il 30 novembre siamo state messe in libertà. Arrigo, che nel frattempo era stato liberato dal campo di Laterina, è venuto a... “ricuperarci’’. Siamo andati in casa Mazzantini a pranzo. Tutta la famiglia era ad aspettarci, riunita al gran completo. Sono venute anche tante persone amiche a salutarci.
 
 
da TRE DIARI DI AUSILIARIE A cura della Associazione Culturale Servizio Ausiliario Femminile. Edizioni NUOVO FRONTE.1999.

RICORDI AMARI DI SCANDICCI
Alda Paoletti
 
 
    In questi giorni in cui si celebra il cinquantenario della creazione del Servizio Ausiliario Femminile, unico esempio nella storia d'Italia di donne in grigioverde, militari a tutti gli effetti e che hanno duramente pagato questo loro servizio alla Patria, ricordo la sorte di alcune di noi, circa trecento, che, forse più fortunate delle altre, pagammo non con la vita ma con il campo di concentramento.
    Infatti, dopo essere state prese prigioniere dai partigiani e portate a Novara, il sedici di maggo fummo caricate su camion americani ed iniziammo un viaggio durato ininterrottamente, senza sosta neppure per i bisogni fisiologici e bersagliate dalle sassate dei nostri fratelli italiani, più di 24 ore; verso le tredici del giorno dopo giungemmo a Coltano, dove però si rifiutarono di accoglierci perché già sovraccarichi di prigionieri; il viaggio terminò verso le ore venti a Scandicci, alla caserma dei "Lupi di Toscana" trasformata nel campo di concentramento denominato U.S.P.W.E. 334.
    Furono sette mesi estremamente duri, perché venimmo sottoposte alla brutalità gratuita del vincitore che sfogava giornalmente con noi i più bassi istinti di odio di cui l'animo umano è capace. Era una tortura fisica giornaliera, ma ancora peggior della tortura fisica era quella morale.  Essere prigionieri dietro il filo spinato è qualcosa che chi non l'ha provato non può capire.
    A questo si aggiungeva la bestialità del comandante del nostro lager, il sergente Gregorio Grillone, oriundo italiano, ma che non perdeva occasione per offendere la nostra italianità. Quasi tutte le mattine, all'adunata che precedeva e seguiva la "conta", dalla sua bocca uscivano insulti contro le donne italiane, che, secondo lui, erano tutte puttane perché andavano a letto perfino con i negri (purtroppo quando uscimmo, ci accorgemmo che in parte aveva ragione), e quando ci ribellavamo alle insolenze, la punizione era il salto del già magrissimo pasto. Qualcuna citava la Convenzione di Ginevra, e allora ci rispondeva che gente come noi era al di fuori di ogni convenzione e quindi lui poteva fare quello che voleva.
    Una volta siamo state tre giorni senza mangiare perché ci fu una vera sommossa. Quella volta non si limitò ad offenderci come al solito, ma accusò i nostri soldati di vigliaccheria e di essere più pronti a scappare che a combattere.  Poiché quei "vigliacchi" avevano tenuto inchiodato un esercito cento volte superiore per mesi e mesi combattendo praticamente a mani nude contro i carri armati l'offesa ci sembrò tanto intollerabile che ci avventammo contro di lui..
    Successe un putiferio: dette ordine alle torrette di guardia di scappucciare le mitragliatrici, chiamò gli MP, e solo allora noi ci calmammo (per forza!).  Come punizione ci fu sospeso il cibo per tre giorni.  Riuscimmo a sopravvivere solo perché ognuna delle camerate tedesche, che dividevano il lager con noi nell'altra ala, ci dette metà della sua razione per tutti e tre i giorni.  Restammo consegnate nelle camerate per lo stesso periodo, ma poiché un gruppo si mise a cantare (era la mia camerata), ci fece uscire, solo noi "colpevoli", e ci tenne circa due ore in piedi sull’attenti sotto il sole di luglio perché voleva vedere se quelle "fortezze di Mussolini" fossero in grado di resistere. Resistemmo, ma fu dura.
    Un'altra volta, alla solita adunata, ci disse che per noi era arrivato un sacco pieno di posta, ma poiché non ci eravamo comportate bene, lo aveva bruciato.  Se si pensa che la maggior parte di noi non sapeva se i suoi familiari fossero vivi o morti, questa era crudeltà morale bella e buona.
    Ad una trasmissione televisiva di "Italia 7" sui campi di con centramento registrata nel 1993 a Firenze, mi fu chiesto dall'intervistatrice "perché - secondo me - ci fosse tanto accanimento contro di noi".
    Allora risposi che non lo sapevo, ma poi a forza di riflettere su questa domanda, credo di aver trovato la risposta.  Non ci perdonavano il fatto di non riuscire a piegarci, di non riuscire a toglierci la nostra dignità.  Era intollerabile per loro che un pugno di donne non si piegasse e non chiedesse pietà, anzi riaffermasse la convinzione della scelta fatta anche dinanzi alla minaccia di deportazione nei campi di cotone dell'Africa.  Ci volevano vedere piangenti e imploranti, ma questa soddisfazione non se la sono mai potuta cavare, né con noi né con le "civili" che erano insieme a noi e che non erano tutte fasciste.
    Non riuscivano a capire come in una Italia che si vendeva per una stecca di sigarette o un pezzo di cioccolata potessero esistere persone, e per di più giovani donne, che non accettavano di inginocchiarsi dinanzi al vincitore. lo credo che per loro questa sia stata una vera sconfitta, e devo dire che siamo fiere di aver vinto questa battaglia di dignità e di fermezza morale.
    Molte hanno pagato con danni alla salute i maltrattamenti subiti: una ventina hanno dovuto curari per l'insorgenza della Tbc, altre hanno avuto bisogno di cure psichiatriche, altre ancora, picchiate brutalmente dal Grillone (perché anche di questo si è reso responsabile!) hanno avuto una lunga odissea di ricoveri ed operazioni chirurgiche per rimettere in sesto l'organismo rovinato.  Ma non abbiamo mollato.  Riuscimmo perfino a mettere su una rivista ed a preparare una grossa festa religiosa per Ferragosto, con Messa cantata ed addobbi all'altare improvvisato sulla tavola. Il prete tedesco che officiava (dopo la partenza di un cappellano militare prigioniero, Don Augusto Sani, ci avevano negato un prete italiano e dovevamo contentarci (lei cappellano militare tedesco), al Dominus Vobiscum nostro un viso rigato di lacrime.
    Ma quello che ci ferì maggiormente, quello anzi che riuscì a ferirci in profondità, non furono i maltrattamenti americani, perchè da un nemico te li puoi aspettare e reagisci con tutta la tua dignità, bensì la visita di un grasso prete che si presentò come inviato dalla Pontificia Commissione di Assistenza e che a noi sfinite e doloranti nel fisico e nell'anima per i maltrattamenti, la fame, la totale ignoranza sulla sorte delle nostre famiglie, ebbe la faccia tosta di dire che dovevamo ringraziare Iddio di poter scontare con queste sofferenze il male che avevamo commesso ed i peccati di cui ci eravamo macchiate, e che, in definitiva, ce lo eravamo meritato.
    Restammo veramente ammutolite, poi cominciò a levarsi un mormorio alquanto minaccioso.  Allora, per evitare il peggio, la comandante del gruppo, Teresina, prese la parola e lo rimbeccò duramente, senza però convincerlo, tanto è vero che quella fu la prima e l'ultima visita e i promessi aiuti non arrivarono mai.
    Il 15 settembre fummo trasferite nei locali della Nettezza Urbana a Casellina, e consegnate agli italiani. Lì vivemmo, dimenticate, finché un giornalista - Paolo Bugialli - si accorse di noi ed iniziò una campagna di stampa per la nostra liberazione.
    Il 30 novembre, circa due mesi dopo che Coltano era stato smobilitato, quel "pericolosissimo" gruppo di donne fu finalmente mandato fuori dal recinto per ricominciare a vivere.
    Sono passati quarantanove anni da quel tragico 1945 che insanguinò l'Italia e causò ferite nn ancora rimarginate, ma i ricordi di allora sono ancora vivi nel cuore e nella mente di coloro che lo vissero partecipandovi e conservando intatta la loro dignità ed il loro stile.
 
 
da TRE DIARI DI AUSILIARIE A cura della Associazione Culturale Servizio Ausiliario Femminile. Edizioni NUOVO FRONTE.1999.

Dal quotidiano "La Patria" di Firenze - Novembre 1945: DA SEI MESI 278 DONNE ASPETTANO DI SAPERE COSA HANNO FATTO DI MALE. PIETOSI RELITTI DI GUERRA. Colpevoli, non colpevoli, madri, bambine, sono in una gabbia spinata senza che nessuno pensi a condannarle o ad assolverle
Paolo Bugialli
 
 
    Sulla via Pisana, nel tratto che chiamano la strada Nuova, un chilometro o due dopo la fine dell’abitato c’è un edificio di mattoni rossi con grandi finestre in stile moderno: qualche cosa tra la scuola razionale e una piccola fabbrica modello.
    Ma uno strano apparato smentisce l’una e l’altra ipotesi tutt’intorno al fabbricato, per un’altezza di oltre tre metri, c’è una grata di filo spinato che sorregge tutto un sipario di teli da tenda. Al posto del cancello, un assito di legno ben solido. Davanti, tre soldati della polizia militare con mitra a tracolla. Che succede là dentro? La gente della zona lo sa benissimo, i viandanti nuovi restano disorientati. Ma la spiegazione è molto semplice. Quel reticolato, quello schermo, quei mitra, proteggono e presidiano un campo di concentramento: il campo di concentramento di Casellina di cui sui quotidiani di Roma s’è parlato più volte in vario senso e in vario tono. Proprio per cercare di appurare la verità fra tante notizie controverse abbiamo chiesto ed ottenuto di poterlo visitare.
    Tutte donne. Donne trovate al seguito dei reparti tedeschi o repubblichini dalle truppe alleate avanzanti nel nord; donne per lo più addette ai servizi ausiliari: dattilografe, telefoniste, ecc.
    Sono duecentosettantotto, per lo più giovani, alcune giovanissime. Ce ne sono anche, ma poche, sulla cinquantina o giù di lì. L’assoluta, stragrande maggioranza della gioventà ha meritato a tutte indistintamente le ospiti del campo l’appellativo di “ragazze’’. Il popolo dei dintorni dice: “Le ragazze del campo’’.
    Sono lì da due mesi. Prima, e cioè dal maggio fino alla metà di settembre, erano a Scandicci, proprio nella borgata mescolate con molte donne tedesche, anche loro sorprese al seguito dei germanici in rotta e fatte prigioniere. Alla metà di settembre gli alleati affidarono alle autorità italiane il campo: ma conservarono a se stessi il compito del controllo. Da allora le donne di nazionalità italiana vennero trasferite qui dove ora le visitiamo. Duecentosettantotto figure umane, colpevoli e non colpevoli, ovvero colpevoli in varia misura: duecentosettantotto drammi scaturiti dal caos della guerra e della disfatta. La gente intorno le chiama con disprezzo “le repubblichine’’, e molte di loro infatti lo sono state: qualcuna per convinzione, qualche altra per necessità, per forza, altre ancora, può darsi, per basso lucro, e un buon numero semplicemente perché dovettero seguire i propri mariti. Alcune continuano ininterrottamente a dichiararsi vittime di grossi equivoci: sarebbe impossibile escludere che, almeno qualcuna dica la verità.
    La maggior parte sono prigioniere, se così può dirsi, volontarie: donne cioè presentatesi alle autorità alleate in ubbidienza al bando che ordinava, a tutte le donne appunto, le quali avessero prestato servizio presso i tedeschi, a presentarsi al primo posto di polizia anglo americano per sottostare a un’inchiesta sul proprio operato. Successe invece che esse furono internate senza distinzione e senza che si fosse fatta nessuna inchiesta.
    Così, un giorno dopo l’altro, una settimana dopo l’altra sono passati più di 6 mesi e le duecentosettantotto donne sono lì ad aspettare.
    Un miglioramento l’hanno avuto il quindici settembre passando dalla sorveglianza alleata a quella italiana. Prima di tale epoca non era loro possibile nessuna comunicazione con l’esterno. Oggi possono scrivere e ricevere lettere; e anche esser visitate dai parenti.
    L’attuale sede di Casellina, provvisoria sistemazione anche questa, è sensibilmente migliore del “campo’’ di Scandicci. Tuttavia non adatta alla stagione invernale. La razione di viveri è uguale a quella assegnata ai prigionieri degli altri “campi’’ fra i quali Coltano, ora disciolto. L’organizzazione del campo è affidata alle internate medesime: una di loro sovrintende alla sorveglianza della disciplina, della pulizia dei locali e dei pasti. Il campo è comandato da un capitano dell’esercito italiano, da sottufficiali e carabinieri.
    La vita quotidiana? Una vita di attesa, come in tutti gli altri campi e come in tutte le prigioni. Alternative di speranza e di scoramento inframmezzate da crisi di disperazione. Le “ragazze’’ hanno letto sui giornali che gli altri campi, quelli maschili, sono stati quasi tutti, o tutti, disciolti, e non sanno farsi una ragione del perché esse continuino a vivere questa vita di dimenticate. Non si sa davvero che cosa rispondere quando ci dicono di non chiedere grazie o trattamenti di favore, ma soltanto di venire interrogate, messe davanti alle loro presunte o provate responsabilità.
    Ve n’è di tutte le condizioni civili: operaie, maestre, studentesse. Donne, molte, che in qualche parte d’Italia hanno un marito, magari dimesso appena ora da Coltano o da qualche altro campo, e, non poche, con figli piccini vaganti tra un parente e l’altro, o affidati alla cura di estranei.
    Tre internate attendono di settimana in settimana di diventare mamme. Non vorrebbero dare ai nascituri il triste battesimo di questo reticolato. Sappiamo che lo stato di disagio fisico in cui inevitabilmente di svolge la vita nel campo ha impedito a qualche altra donna di condurre a termine il proprio stato di maternità. Ci sono due ragazze che, anche secondo le dichiarazioni dell’Associazione Partigiani e dei Comitati di Liberazione dei loro paesi, sono vittime di un grosso errore. Pur avendo fatto parte di formazioni partigiane, vennero prelevate da truppe anglo americane e non riuscirono, né riescono a farsi ascoltare per mettere in piena luce l’equivoco di cui sono state vittime. Un’altra, madre di otto figli, era stata deportata in Germania: al momento del rimpatrio fu presa e spedita nel campo. Senza dubbio, dal momento che era stata in Germania, era stata coi tedeschi, ma quel piccolo particolare della deportazione non è riuscita mai a farlo intendere: perché non l’hanno mai interrogata, e perché quando la fermarono e le chiesero donde venisse essa non poté negare la materialità del fatto d’essere stata e di avere “lavorato’’ per i tedeschi. Il sommario interrogatorio venne fatto, da parte degli alleati, in italiano che, senza dubbio, aiutò il penoso equivoco.
    Vediamo poi una mamma che ha con sé una bimba di dodici anni, diverse ragazze, fra i qundici e i diciassette, sorprese dalla catastrofe italiane nei collegi della “Gil’’ per i figli degli italiani all’estero. Dopo l’otto settembre, esse, senz’altro domicilio e senz’altra risorsa di vita che non fosse quella del collegio, non poterono non seguire la sorte di questo che fu trasferito in Alta Italia. Nord, dunque collaborazionismo o poco meno. Dunque, campo di concentramento. In inevitabile vicinanza con altre ragazze anche non proprio di tipo collegiale.
    Il Comando Militare Territoriale, nella cui giurisdizione è compreso il campo, non ha facoltà di iniziare inchieste sulle singole responsabilità. Una domanda in tal senso è stata rivolta alle autorità alleate, e sollecitata per diverse vie. Se ne sono occupati tra gli altri il Cardinale Arcivescovo e la Croce Rossa Italiana, ma a tutt’oggi nulla di concreto è stato disposto. Le internate, e non meno le autorità italiane, e con loro, dobbiamo crederlo, tutta la gente di cuore edotta di questo stato di cose, magramente si consolano all’ombra di qualche assicurazione verbale.
 
 
da TRE DIARI DI AUSILIARIE A cura della Associazione Culturale Servizio Ausiliario Femminile. Edizioni NUOVO FRONTE.1999.

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