AUSILIARIE NELLA RSI (REPUBBLICA
SOCIALE ITALIANA)
Ausiliarie in Garfagnana
UN'AUSILIARIA
DEI «CACCIATORI DEGLI APPENNINI»
Adriana Gatti
A Venezia
Avevamo frequentato - dal
1° maggio al 18 giugno 1944 - il primo Corso di Addestramento “Italia’’
indetto dal S.A.F. diretto dalle indimenticabili Comandanti Ida Valeri
e Jolanda Favero.
È risaputo che, in
divisa grigioverde (gonna, sahariana, basco con fiamma) fummo addestrate
nella più ferrea disciplina ai servizi assistenziali ospedalieri,
amministrativi, di protezione antiaerea, per sostituire i militari destinati
ai reparti combattenti. Nell’eventualità di bombardamento si sarebbe
dovuto portare aiuto anche ai civili ed erano state impartite le direttive
per la priorità del soccorso.
Nel clima di speranza per
le sorti della nostra amata Patria tradita, venimmo addestrate in svariati
esercizi ginnici, che ci sarebbero poi serviti a sopportare e a superare
fatiche e disagi. Eravamo state abituate alle marce. Mentre percorrevamo
le vie del Lido di Venezia e da Palazzo al Mare alla punta estrema di Malamocco,
cantavamo gli inni di guerra dei nostri eserciti combattenti, e per la
prima volta l’inno delle ausiliarie “Canta giovinezza’’, le cui parole
non dimenticherò mai:
Canta, giovinezza, la canzon
del cuore
presa dall’ebbrezza e da un
comune ardore.
È la Patria amata
che rinasce alata
la Patria che di luce splende
ancora.
Noi ci recheremo in guerra
se la Patria lo vorrà.
Morirem su nostra terra
e se l’Italia vice
bello pur sarà.
È nata dal dolore
nel cuore la fiamma ardente
che le ali ci darà.
È la nostra prima guerra
lo giuriam, si vincerà!
Alla fine del Corso il Comando
S.A.F. formò - come riportato su “Gli ultimi in grigioverde’’ di
Pisanò - il quadro dirigenziale: Ufficiali e Sottufficiali che sarebbero
state impegnate anche nei Corsi Nazionali che dovevano far seguito al primo,
l’”Italia’’.
È interessante rendere
noto che il Comando, nella scelta delle graduate e delle ausiliarie semplici,
per la prima volta in Italia, si era avvalso dei test psico-attitudinali.
Le ausiliarie semplici, volontariamente disponibili, furono assegnate ai
Reparti combattenti della R.S.I.; fu concessa, al termine del Corso, una
licenza di circa dieci giorni.
Le volontarie che formavano
il gruppo per il C.A.R.S. puntualmente giunsero a Sorbolo (PR) e si presentarono
al Comando ai primi di luglio. Contrariamente a quanto avvenne, all’inizio,
presso qualche altro reparto, il gruppo di cui facevo parte fu bene accetto
dagli ufficiali e cordialmente accolto dai militari.
La partenza
Si seppe subito che era imminente
la partenza dal luogo, ma senza naturalmente conoscere la destinazione.
Nelle prime ore di un mattino,
verso la metà di luglio, col Reparto ben equipaggiato, si raggiunse
la vicina stazione di Brescello dov’era pronta la tradotta per il viaggio
di trasferimento. Si sarebbe dovuti partire alle nove e tutti, ufficiali,
militari, ausiliarie eravamo a posto negli scompartimenti quando, improvvisamente,
sentimmo il rombo degli aerei nemici. Gli ufficiali, calmi, diedero l’ordine
di scendere immediatamente, e di allontanarsi il pià possibile dal
convoglio. Fu provvidenziale che fosse stata disposta la partenza in mezzo
alla campagna. Distendendoci il più possibile rasente terra, ci
sparpagliammo per la pianura mentre gli apparecchi, in due ondate successive,
mitragliarono il convoglio senza fortunatamente arrecare danno alle persone
ed ai mezzi. Paura? Certamente ne avemmo, ma riuscimmo a nasconderla in
petto nonostante che il cuore - muscolo cavo involontario - battesse fortemente.
Non è vanagloria aggiungere che noi ausiliarie destammo l’ammirazione
degli ufficiali e fummo d’esempio ai soldati.
Solo nella tarda mattinata,
verso le undici, fu possibile partire percorrendo anche lunghi tratti di
rete ferroviaria secondaria, in quel periodo ancora efficiente, toccando
stazioni di pianura.
Il viaggio
Fu un viaggio movimentato,
emozionante, indimenticabile; si dovette scendere più e più
volte nella giornata allo scopo di sparpagliarci per la campagna non appena
giungeva al nostro orecchio il rombo, ancora lontano, degli apprecchi nemici,
che per tutta la giornata sorvolarono il cielo. Sembrava fossero proprio
alla ricerca del nostro convoglio; fortunatamente questo sfuggiva alle
incursioni perché fermato in piena campagna, tra gli alberi.
Come Dio volle, nella tarda
serata (ore 23-24) di quella giornata estiva calda, afosa, interminabile,
la tradotta raggiunse Treviso e venne fatta sostare alla stazione “smistamento’’
di quella città. Tutti ci buttammo giù dal treno, correndo,
assetati, in cerca di acqua. Dal mattino non si beveva. Fu provvidenziale
un forte getto di abbondante acqua che scendeva dall’alto di un gran tubo
metallico, nonché l’acqua di un rubinetto usato per i servizi ferroviari.
Risaliti sul convoglio si
raggiunse Bassano del Grappa intorno alla mezzanotte.
Fu durante quel lungo, interminabile
viaggio che il Capitano Piccoli del Servizio Informazione (putroppo ucciso
dai partigiani il 5 maggio 1945) disse alle ausiliarie: “Ma chi ve l’ha
fatto fare?’’ alludendo alla vita tranquilla, pur nel clima di guerra,
che ognuna di noi avrebbe potuto trascorrere in famiglia o nell’espletamento
delle pratiche di lavoro, conquistato con lo studio e per regolare concorso
(le ausiliarie avevano conseguito o la laurea o il diploma di scuola superiore).
Bassano del Grappa
In quella notte movimentata,
marciando incolonnati (militari, ausiliarie con gli ufficiali) si raggiunse
un grande edificio, sede di una scuola, adibito però a caserma.
Noi ausiliarie venimmo sistemate in una grande aula, ma poco tempo dopo
fummo trasferite presso un Istituto di religiose. Il nostro Comandante
si preoccupò sempre di renderci il più possibile confortevole
l’alloggio, nel limite della disponibilità di tempo, di luogo e
di azioni militari.
Con tempestività, già
il giorno dopo l’arrivo, tutto era pronto (secondo le disposizioni del
Comando) per uno svolgimento di vita militare ben preordinata, le ausiliarie
presenti negli uffici per il disbrigo delle varie pratiche. Una di loro
passò volontariamente, dall’Ufficio Informazioni all’ambulatorio
medico. Senza essere infermiera diplomata, aveva una naturale predisposizione
per l’assistenza ai sofferenti. Fu accanto al Tenente medico durante le
visite e le cure ai militari; teneva pulito l’ambulatorio e pronto e ordinato
il materiale di sanità. Le volontarie che sarebbero state diplomate
infermiere della C.R. stavano, allora, frequentando il secondo Corso Nazionale
“Roma’’ (a Venezia, presso l’Hotel des Bains) al termine del quale, circa
un mese dopo, sopraggiunse la prima ausiliaria infermiera, Maria Buglione.
Intanto si era costituito
il Raggruppamento “Cacciatori degli Appennini’’ per trasformazione del
C.A.R.S.
Due reggimenti, il 1°
e il 2°, furono impegnati in una importante azione di rastrellamento
sul Grappa e dintorni. Non trovarono ombra di partigiano. Più tardi,
sempre sul Grappa, dove si erano ancora annidati i traditori della Patria,
avvenne la rappresaglia dei Tedeschi dopo che, per bando, li avevano invitati
a deporre le armi. Durante le varie azioni si vivevano momenti di grande
tensione e di trepida attesa.
Grazie a Dio, si trascorrevano
anche giorni tranquilli. In libera uscita, noi ausiliarie, in gruppi di
tre o quattro, visitavamo Bassano per conoscere le vie ed i luoghi più
belli, e arrivavamo sovente sul famoso Ponte. Strada facendo, incontravamo
militari, e quelli che conoscevamo meglio a causa del lavoro si univano
a noi nella passeggiata (con l’intento di essere la nostra “guardia del
corpo’’). Ci consideravano le loro sorelle. Durante il cammino si trattavano
i più svariati argomenti. Tra noi volontari R.S.I. ci si intendeva
a meraviglia (è facile comprenderne la ragione), e l’una sapeva
tutto dell’altro o degli altri.
La popolazione di Bassano
non ci parve mai ostile. Con i civili che si muovevano nell’ambito della
Scuola Professionale (dove era stato installato l’ambulatorio militare)
si era instaurato un rapporto di cordialità. Si era nel periodo
estivo ed erano aperti solo gli uffici. Nei giorni festivi la gente stava
ad osservare il Raggruppamento che, ben incolonnato, si recava ad assistere
alla messa (piano tattico permettendolo). Durante il rito, con tanta accorata
passione, tutti cantavano “La Preghiera del Legionario’’: “Iddio che accendi
ogni fiamma...’’, preghiera che verrà elevata al Signore da tutti
i combattenti della R.S.I. e.... anche nei campi di concentramento.
Trasferimento in Piemonte
Verso la fine di ottobre ‘44
venne l’ordine di trasferimento in Piemonte. Il viaggio fu compiuto a tappe,
a mezzo autocarri. Dovemmo rischiosamente oltrepassare i fiumi Po e Ticino,
i cui ponti erano stati distrutti dalla rabbia nemica. Inoltre era sempre
imminente il pericolo di apparecchi in ricognizione che potevano scendere
in picchiata.
Dapprima si raggiunse Crema
dove c’era il Deposito del Raggruppamento. Si proseguì, dopo qualche
giorno, fino a Savona per salire a Millesimo. Questo tratto di strada fu
percorso, a sera inoltrata, in un clima di forte tensione.
Poco tempo prima, durante
dei rastrellamenti, c’erano state molte perdite. Una mitragliatrice era
stata piazzata sul davanti del primo autocarro, in previsione di un attacco
partigiano. I militari che lì ci avevano preceduto, provenienti
da altri luoghi di dislocamento dei “Cacciatori Appennini’’, accorsero
al nostro arrivo. Erano stati in ansia per il ritardo. Noi ausiliarie venimmo
accolte a braccia aperte dalle sorelle infermiere Lina Rachele Cirotto
e Anna Maria Gobbi Fratini che provenivano dal Corso “Roma’’.
Ceva
Da Millesimo il Raggruppamento
passò, tra la fine di novembre / primi di dicembre, a Ceva e zona
limitrofa. Il Comando si installò al Castello. Le ausiliarie (e
anche i militari) furono alloggiati nelle adiacenze, ma prima ancora di
Natale, trasferiti in una sala al pianterreno dell’Albergo Italia. Le brandine
per il riposo notturno erano state simpaticamente sistemate a divano.
Già nei giorni seguenti
all’arrivo tutti erano al posto d’impiego assegnato. Nei vari uffici del
Comando: Briga, Carboneri, Gatti, Regazzo. Nell’ospedale militare le infermiere
crocerossine: Buglione, Cirotto, Gobbi Fratini coadiuvate dalle ausiliarie
Rusticali, Mottola, Italia Longo.
La Linda Chiolerio fu di valido
aiuto ai militari in azione: sapeva arrivare al momento opportuno. Linda
Chiolerio e Italia Longo erano state arruolate direttamente dal Comando.
Del gruppo iniziale mancavano
la Gobessi e la Rosita Bentivegna. Prima del trasferimento in Piemonte
la Gobessi era passata ad altro incarico e la Bentivegna (cara, indimenticabile
Rosita, sempre serena, mai stanca, dinamica) fu destinata ad altro Reparto
combattente.
A Ceva si visse nel clima
rovente della sanguinosa lotta partigiana, nell’unione meravigliosa di
spirito e di azione tra ufficiali, gregari, ausiliarie. Grande era la nostra
stima per le virtù militari e umane che si riscontravano dal Comandante
Capo dei Cacciatori, Colonnello Aurelio Languasco, al Colonnello Dal Piaz,
ai gregari. In gran parte provenivano da vari fronti (Grecia, Jugoslavia
ecc.) su cui avevano combattuto prima dell’8 settembre. Essi vivevano il
dramma di dover combattere contro i fratelli, ed ebbero sempre comprensione
per gli sbandati. Gli addetti al Servizio Sanitario (consenziente il Comando)
permettevano alle varie persone che transitavano per Ceva di rifocillarsi
con lo stesso rancio che veniva distribuito in corsia (si sapeva benissimo
che erano parenti degli sbandati).
All’Ospedale Militare
L’Ospedale Militare era stato
allestito in un’ala dell’Ospedale Civile, situato di fronte all’Albergo
Italia, alloggio delle ausiliarie; per accedervi si oltrepassava il ponte
sul corso d’acqua che, a breve distanza, finisce nel Tanaro.
Gli ufficiali del Servizio
Sanitario erano il Magg. Gazzaniga, direttore, il Capitano Tagliaferri,
coadiuvati da un sergente, studente di medicina.
Le sorelle crocerossine svolgevano
la loro missione di assistenza ai degenti, in prevalenza feriti, con grande
spirito di abnegazione; infaticabili, erano sempre a disposizione dei medici
ufficiali (dormivano in ospedale). Lina Cirotto, quando fu necessario,
donò il suo sangue; salvò anche da sicura morte un partigiano.
Tra il gennaio e il febbraio
i Cacciatori in un’azione di rastrellamento avevano sorpreso in una casa
i partigiani che, tra gozzoviglie, stavano divertendosi cantanto e ballando.
Il luogo fu circondato; partirono spari dall’una e dall’altra parte. Il
partigiano di cui sopra, ferito ad un braccio (l’ausiliaria non ricorda
se destro o sinistro) fu trasportato a Ceva all’ospedale da campo. Da parte
degli ufficiali sanitari venne fatto tutto il possibile per salvargli il
braccio, ma si dovette procedere all’amputazione, essendo subentrata una
grave infezione. Fu permesso alla madre di rimanere al capezzale del figlio
prima ed anche dopo l’operazione. Tutti si dimostrarono premurosi con lei:
ogni tanto nel corso della giornata, le veniva offerta una tazza di caffè
come corroborante del cuore.
Lo strazio di una madre
In qual periodo di tempo,
per espresso desiderio del Comando, l’ausiliaria che scrive era passata
dall’Ufficio Informazioni alla Direzione della mensa in ospedale. La cara,
brava Nini Regazzo sarebbe stata in grado di svolgere il lavoro prima espletato
in due, mentre all’Ospedale Militare era necessaria - in cucina - la presenza
di un’ausiliaria per una più attenta cura del cibo... Non ci doveva
essere dispendio di derrate alimentari, era necessario regolare bene i
viveri (distribuiti anche alla popolazione per il cui rifornimento, a Cuneo,
si dovevano superare serie difficoltà di viaggio).
Tra la fine dell’inverno e
l’inizio di primavera (per circa un mese e mezzo), il Comando aveva ospitato
in una camera dell’albergo, sopra l’alloggiamento delle ausiliarie, la
mamma di un Caduto, Nino Vannetti - III Btg. Alpini Cadore - giunta a Ceva
con la figlia. Sperava che il Comando fosse in grado di consegnarle in
breve tempo i resti del figlio, studente di medicina, trucidato nel mese
di novembre, dalla banda “Mauri’’. L’attesa fu lunga.
Il Comando Cacciatori intendeva
arrivare a togliere la posizione occupata, ma al momento opportuno, dopo
azione studiata e sicura, per non mettere a repentaglio altre vite. Intanto
le ausiliarie dovevano assistere alla sofferenza della madre. Ogni notte
giungeva all’orecchio il suo lamento; nel dolore lancinante invocava il
nome del figlio, in continuazione. Alcune andavano in camera cercando di
consolarla in mille modi. Talvolta era la figlia che, non riuscendo ad
acquietarla, scendeva a chiedere aiuto. Al limite delle sue forze, per
la lunga attesa, la signora Vannetti si rivolse ai religiosi perché
si ponessero come intermediari per la restituzione della salma del suo
adorato figlio. Offrì una somma che, di volta in volta, veniva aumentata...
Dovette rinunciare.
Finalmente i Cacciatori combattenti
riuscirono a rioccupare la posizione. Rinvennero in una fossa comune i
resti dei Caduti. La sorella, commossa, trepidante, cercò e ricompose
nella bara quelli dell’amato fratello Nino.
Nostri Caduti
Eventi dolorosi sarebbero
accaduti a breve distanza. Nel marzo e precisamente il giorno 4, si svolse
un aspro combattimento, in località Pedaggera.
Il coraggioso, indomito Comandante
Languasco fu ferito gravemente alla mano e al braccio destro. Caddero il
Tenente di artiglieria, già alpino della Julia, Bernareggi, ufficiale
addetto al Comando, ed il Maggiore Luigi Favuzzi dell’Uff. Operazioni.
È doveroso ricordare la fine gloriosa dei due ufficiali. Durante
l’azione il Tenente era alla mitragliatrice; colpito dall’avversario continuava
a sparare. Sentendosi morire, prima di lasciare l’arma, invitava Favuzzi
a continuare! Purtroppo anche il Maggiore cadde, raggiunto da raffica.
Caddero altri combattenti, tra cui Nino Bianchi Carnevale, di Sannazzaro
de’Burgundi, camicia nera.
Il primo del mese ricorreva
la S. Pasqua. Un gruppo di militari si era spinto in collina. Nei dintorni
di Lesegno furono accerchiati. L’alpino Ziletti, studente universitario,
rimase gravemente ferito mentre portava aiuto a un commilitone. Trasportato
all’ospedale da campo, gli Ufficiali medici tutta la notte gli furono accanto
per strapparlo alla morte.
Le ausiliarie con mille premurose
attenzioni lo rincuorarono per fargli sentire il loro affetto. Nella notte
del 1° aprile serenamente spirò. Gli era accanto Renzo, l’alpino
fratello minore. A seguito delle ferite e della degenza in ospedale del
Col. Languasco, il Comando era stato assunto dal Col. Dal Piaz.
Il ripiegamento dei “Cacciatori’’
I Cacciatori erano ben saldi
nelle loro posizioni quando, improvvisamente, giunse l’ordine di ripiegamento.
Il Col. Languasco non era ancora completamente guarito, ma si affrettò
a riprendere il comando.
La ritirata iniziò
oltre le ore 21 del 27 aprile.
Intento del Comando, secondo
un piano ben determinato, era quello di raggiungere, attraverso tutto il
Piemonte, la Valtellina per l’estrema resistenza. Le tappe del percorso
effettuato, da Ceva, a Fossano, a Savigliano... fino ad arrivare a Castellamonte,
a Bario Torre, tra la fine di aprile e i primi di maggio, sono già
storia...
I Cacciatori in ritirata,
presi talvolta alle spalle, risposero sempre con intuitiva precisione e
comprensibile amarezza, al fuoco dei partigiani, tanto da metterli in fuga.
Il passaggio sui fiumi si presentò sempre difficile e pericoloso.
Quando si dovette oltrepassare
il Tanaro, la situazione divenne veramente grave. Le ausiliarie e i militari
erano nel bel mezzo del fiume su un autocarro trainato da cavalli (era
venuta a mancare la benzina) quando, dalle alture alle spalle, fioccarono
le pallottole delle mitragliatrici. Incitando i cavalli, si raggiunse la
sponda opposta, ed una passerella costruita celermente portò tutti
gli appiedati sull’altra riva.
Con rapidità fulminea,
i Comandanti fecero piazzare le mitragliatrici sulla scarpata della strada
per rispondere al fuoco. Come iniziarono le raffiche dei nostri, la parte
avversaria desistette. Su ordine dei Superiori Ufficiali, a marcia forzata,
in ordine sparso, i militari e le ausiliarie raggiunsero l’abitato. Si
era appena al chiuso quando giunsero ad ondate, chiamati per radio dai
partigiani, gli apparecchi dei vari nemici che cominciarono a mitragliare.
Si sentivano i colpi sui tetti, contro i muri. Si temeva che qualche pallottola
giungesse a colpire, nel caso fossero stati rotti i vetri. Fortunatamente,
all’improvviso, tutto cessò.
Dopo qualche ora di riposo,
la colonna sempre compatta proseguì, ancora per tappe, il cammino
della ritirata, tra disagi superati con intelligenza e volontà.
Ancora quelli che definiscono “prodi partigiani’’ si fecero avanti per
richiedere la resa mentre si proseguiva per Castellamonte. Ufficiali e
gregari, come già detto precedentemente, e come anche già
riferito per varie testimonianze, con fierezza risposero che i Cacciatori
si sarebbero arresi ai nemici Anglo-Americani, non a loro che avevano solo
intralciato la via del combattimento.
Si ebbe notizia della resa
agli Americani, tra l’uno e il due maggio, quando ci si dirigeva da Bellamonte
a Bairo Torre. L’indimenitcabile, audace, nobile d’animo Col. Languasco,
il 5 maggio alle ore 11 riunì le sue care truppe per far conoscere
i termini della resa. Le ausiliarie presenti notarono la commozione di
quegli uomini forti che si erano dovuti arrendere solo per avverso destino.
Durante tutto il tragitto,
con la loro fiera presenza erano di conforto e di incitamento; fu loro
preciso compito il tener alto il morale, non mostrando mai segno di abbattimento.
All’inizio del ripiegamento, certamente un certo sconforto aveva invaso
l’animo, ma si cercava di reagire ricordando i tempi migliori e sperando
sempre. Ci si distoglieva dal pensiero degli eventi in corso, ringraziando
Dio che nell’amarezza del momento avesse disposto che si transitasse per
luoghi incantevoli, mai visti prima.
Fu di grande sollievo il canto
degli usignoli sul finire della notte e l’alba. La prima volta che lo si
udì fu improvvisa, grata sorpresa. Sull’autocarro in transito, le
ausiliarie pisolavano, sedute sul proprio sacco, quando giunsero alle loro
orecchie le note del gorgheggio. L’ausiliaria Gatti si sentì stringere
calorosamente la mano dalla Regazzo che le sussurrò: “Iddio è
con noi!’’. Le altre sollevarono il capo dal dormiveglia, con la stessa
sensazione...
La resa
Nel dare l’ultimo, affettuoso
saluto, il Col. Languasco disse che il Raggruppamento avrebbe dovuto prepararsi
al viaggio per il campo di concentramento. Se qualcuno riteneva di poter
raggiungere la propria abitazione, era libero di farlo.
Il Cap. Piccoli, il Cap. Tolomeo,
il Magg. Zanchi, il Cappellano militare decisero di tentare di arrivare
fino a Torino. Il Cap. Piccoli fu sempre incerto fino all’ultimo. Ai compagni
d’arme diceva che certamente avrebbero sofferto tra i reticolati, ma avrebbero
avuta salva la vita, mentre incerto e non senza pericoli si presentava
il loro viaggio. In quel momento certamente pensava alla sua famiglia,
ai figli che aveva molto cari.
Due ausiliarie erano state
presenti mentre il Capitano esponeva il suo pensiero. Ritennero poi che
gli amici ufficiali fossero riusciti a vincere la sua resistenza col seguente
ragionamento: la guerra era ormai finita, gli Alleati avevano invaso il
Nord, e nella zona c’erano gli Americani.
Mentre i Cacciatori si apprestavano
al viaggio per Ivrea, i quattro Ufficiali, salutando, si allontanarono.
Non percorsero molta strada che vennero fermati dai partigiani, derubati
dal portafoglio, di ogni loro avere e uccisi.
Il Capitano Piccoli
Ironia della sorte: Lui che
era stato capitano d’artiglieria, eroico combattente in Jugoslavia, Lui
che portava i segni delle ferite nella carne, che poteva esimersi dall’essere
inviato nella zona di combattimento, che soffriva per i rastrellamenti,
venne barbaramente ucciso, a sangue freddo, dai suoi stessi fratelli. Le
ausiliarie che assolvevano il loro compito all’Ufficio Informazioni ebbero
modo di conoscerlo bene.
Lo stimavano come Soldato
e come Uomo: aveva il senso religioso della vita, sentimento che era in
molti di noi (più d’uno, dopo la guerra divenne sacerdote). Il Cap.
Piccoli espresse giudizi positivi nei confronti delle ausiliarie, sia per
quanto riguardava il loro lavoro, sia per il loro giusto, sereno contegno
a conforto dei militari.
Campo di concentramento
Scandicci
In quel lontano 5 maggio 1945,
mentre la colonna era in procinto di avviarsi verso la prigionia, le ausiliarie
furono avvicinate da un gruppo di militari che disse loro: “Lo sapevamo,
sorelline, che non ci avreste abbandonati’’. Per un attimo, avevano avuto
un dubbio: forse li avremmo lasciati, per non finire in campo di concentramento.
Il reparto, compatto, con
le sue armi, procedeva alla volta di Ivrea. Sull’imbrunire si giunse sul
vasto piazzale antistante lo stabilimento Olivetti, requisito dagli Alleati
quale Campo di concentramento.
Mentre i militari transitavano,
fieri, sempre incolonnati, deponevano le loro armi. Sui volti di ciascuno
traspariva il dolore di dover lasciare l’oggetto o il mezzo che gli era
stato caro, sia nella prospera che nell’avversa vicenda della guerra. Non
tutti riuscirono ad impedire che, tra ciglio e ciglio, spuntasse qualche
lacrima; un giovane valoroso, che aveva sempre dimostrato decisione e coraggio
(proveniva dall’Africa perché figlio d’italiani residenti sulla
“Quarta sponda’’), gettando l’arma, si allontanò singhiozzando.
Da Ivrea, dopo qualche giorno,
il Reparto del R.C.A., ormai privo di armi, fu autotrasportato a Parabiago;
poi, passando per Modena, a Coltano.
E qui avvenne la separazione
dai militari, ai quali dovemmo dire addio per proseguire per il Campo di
Concentramento femminile di Scandicci, (già sede della nostra gloriosa
Aeronautica) a poca distanza da Firenze.
Fummo qui trattenute prigioniere
degli Americani fino al 14 settembre, giorno in cui ci consegnarono alle
autorità italiane che ci trattennero ancora fino al 30 novembre
1945, a Casellina, sempre nelle vicinanze di Firenze.
In ottobre ci giunse notizia
che gli ufficiali e i soldati della R.S.I. prigionieri a Coltano venivano
via via rilasciati: naturalmente la notizia ci riempì di gioia.
Prolungandosi per noi ausiliarie
il tempo del rilascio, un certo scoramento ci aveva invaso l’animo, più
che per il desiderio di libertà per l’incertezza della sorte toccata
ai nostri cari lontani durante la primavera di sangue.
A risollevare i nostri animi,
un bel giorno, alla fine di ottobre, ricevemmo la visita inaspettata -
e graditissima - del Tenente Paoloni e del Tenente Mambrini. Usciti dal
campo di Coltano e avendo appreso che le ausiliarie erano ancora trattenute
dalle autorità italiane, si erano spinti fino a Casellina, prima
di raggiungere le loro famiglie.
Sorpresa maggiore avemmo pochi
giorni dopo quando, inaspettatamente, ci giunsero due loro lettere. Coi
loro scritti intendevano rincuorarci e infonderci speranza per l’avvenire.
Il Tenente Paoloni (spirito arguto), che aveva indirizzato la lettera:
“Alle Ausiliarie del più glorioso Reparto post Pico della Mirandola’’,
ironizzava per averci trovate un tantino giù di morale.
Mambrini, dopo essersi dichiarato
contento di averci ritrovate, continuava: “Vi allego il commiato che il
poeta Gino Bonola della Folgore ha lanciato attraverso “Il megafono’’,
giornale sorto nel campo P.W. 337/5, a tutti noi, crociati e cruciati dell’onore,
perché possiate raccogliere da questo anche il mio saluto sincero
e devoto di fratello purissimo di Fede e di Ideali, e nello stesso tempo
la promessa che non mi dimenticherò mai di voi, che avete rifatto
con le vostre mani una Bandiera e l’avete servita, assieme a noi, con abnegazione
e un eroismo superiore ad ogni aspettativa’’.
da TRE DIARI DI AUSILIARIE A cura della Associazione Culturale
Servizio Ausiliario Femminile. Edizioni NUOVO
FRONTE.1999.
I RICORDI NEL CASSETTO
Velia Mirri
Novara - fine aprile ’45
[...]
Dalla “Ferrandi’’ alla
“Tamburini’’
Dalla caserma “Ferrandi’’
si parte in colonna per tre, scortate da una doppia fila di garibaldini
col mitra. La sfilata è senza dubbio di bellissimo effetto perché
la folla accorre ai bordi della strada... I novaresi, se potessero, ci
salterebbero addosso, ma per fortuna siamo ben difese dai “cavallereschi’’
garibaldini...
Gli epiteti più vari,
le espressioni più fiorite, gli aggettivi più eloquenti...
Tutti in una volta! Povero popolo italiano, che pena in questo momento!
Ovviamente, non bado agli insulti, ma penso che se c’è una giustizia
divina, non dovrebbe permettere di oltraggiare così volgarmente
chi ha lasciato tutto per la Patria, chi per dei mesi ha combattuto, senza
nulla chiedere, per un ideale santo, per non lasciare l’Italia in mano
allo straniero... Mio Dio, è terribile l’abisso di incoscienza,
di follia in cui è precipitata la nostra gente!
Si arriva alla caserma “Tamburini’’,
quella della G.N.R.. Questi di Novara si sono arresi ai partigiani - apprendiamo
- ma hanno ottenuto di restare nella loro sede, mantenendo la divisa e
l’ordinamento interno.
Quando vediamo gli ufficiali
e i militi che hanno ancora i gladi e la camicia nera, è un impeto
di commozione indescrivibile... I nostri, sono i nostri fratelli!
Due settimane in mano ai
partigiani
Restiamo così con loro,
prigioniere in pochi stanzoni al primo piano, per quindici giorni circa.
Prigionia terribile (per l’avvilimento,
la sporcizia, la paglia come giaciglio, il vitto scarso e immangiabile),
interrotta da frequenti visite di partigiani che vengono ad “ammirare’’
le famigerate ausiliarie. Breve e romantica apparizione: la partigiana
della Valsesia, la “Stella Rossa’’ che per suo divertimento personale voleva
tagliare i capelli a tutte quante.
Per fortuna un maggiore dei
carabinieri interviene al momento opportuno e le chiome ancora una volta
sono salve.
Vengono a recarci il conforto
spirituale alcune suore, che ci riforniscono anche di un po’ di roba da
mangiare (perché per i partigiani si potrebbe crepare), nonché
di un po’ di vestiario. Inoltre ci danno le più rosee speranze di
una prossima uscita, promessa nientemeno che da Moscatelli. Pure il vescovo,
che si è degnato di onorarci della sua presenza, ribadisce la stessa
cosa.
Nel frattempo sono arrivati
gli americani, accolti, naturalmente, col massimo entusiasmo dalla popolazione...
Si parla di partigiani disarmati; tutto il comando lo prendono loro, adesso...
Poveri cinque o sei partiti multicolori, che avevano “trionfato’’ in quei
pochi giorni di pagliaccesca vittoria! Poveri partigiani dalle lunghe chiome,
discesi freschi freschi dalle montagne! Illusi!
Le belle novaresi, i primi
giorni, andavano volentieri a spasso con loro, ma ora hanno scoperto che
gli americani sono dei ragazzoni simpatici, hanno delle buone sigarette
e sono molto generosi... Un giornale (“G.L’’) promette una rapata “tipo
ausiliaria’’ alle ragazze che vanno con i “liberatori’’. Noi, ovviamente,
ci facciamo delle risate.
Si parte per Scandicci
Giorno dopo giorno, gli americani
si mostrano sempre più generosi con noi, mantenendoci a scatolette
“a sorpresa’’ nonché a sigarette (per me costituiscono una preziosa
merce di scambio con viveri...). Divertente davvero. I partigiani non hanno
ormai quasi più voce in capitolo.
Ma ahimé, altro che
prossima uscita! Il 16 di maggio (sul pajòn!) - una notizia amara
- si deve far viaggio (sul pajòn) - lasciando anche Novara.
E qui (parodiando le strofette
della notissima canzonaccia da caserma) vale la pena di trascrivere in
rima il trasferimento dalla città piemontese alla “Città
del Fiore’’, anche se siamo a Scandicci, e non proprio a Firenze... Un
viaggio abbastanza avventuroso su grossi camion militari scoperti, guidati
in modo alquanto spericolato da baldi negroni in divisa.
Sono strofette alla buona,
che farebbero inorridire padre Dante, composte, qui in campo di concentramento,
da una simpatica PoW, Chiara Chipa, ausiliaria del Btg. “Montebello’’,
dotata di vena poetica.
Riprendo dalla seconda strofetta:
“Un bell’americano
armato di bei guanti
ci tira su nel camion
ben bene a tutti quanti.
I partigiani rossi
stanno alle cantonate
per romperci le ossa
a forza di sassate.
I nostri conducenti
son tutta gente strana
son neri e lucenti
di razza americana.
Nei pressi di Milano
si crede la fermata,
ma sempre più lontano
procede l’avanzata.
Allo spuntar dell’alba
si parte nuovamente
le buche della strada
ci cullan dolcemente.
Bologna poi Pistoia
al volo son passate
si spunta verso il mare
pensando alle nuotate.
Oltrepassata Pisa
si trova i primi campi
e noi guardiamo i pini
sì freschi ed ombreggianti.
Quel campo (*) non ci vuole
e noi si tira via
si spunta verso un altro
prendendo per la via.
Qualcun dei nostri cari
che è qui noi rivediamo;
speriam di stare insieme
ma purtroppo partiamo.
Siam tutte stanche e stufe
di quel pellegrinaggio
e ormai non sospiriamo
che por fine al viaggio.
I nostri bei visetti
han tinta morettina
un poco per il sole
e per la polverina.
Mentre qualcuna spera
di riveder Firenze
in vista dei bei colli
si vira bruscamente.
Tra i campi verdeggianti
di grano e di patate
entriamo alfin nel lager
fra reti assai spinate.
Scendendo in tutta fretta,
il sacco abbandonato,
si marcia sotto il sole
verso un bel fabbricato.
La donna di Germania
da camerata buona
ci assegna il nostro letto
pompandoci ogni chioma.(**)
La fine... a chissà
quando.
Questa dunque, in rima e in
musica, la cronistoria del nostro viaggio da Novara a Scandicci. Il viaggio
più movimentato ed emozionante della mia vita, parentesi di aria
pura, di svago e di stanchezza, alla monotona prigionia.
Ma anche tanto accoramento:
abbiamo visto, procedendo verso il centro Italia, i luoghi delle recenti
battaglie, dove la terra era arsa dal cannone, dove i fantasmi dei nostri
ragazzi caduti gridavano vendetta sull’oppressore e sul traditore italiano...
In poche ore ci è apparsa
l’immagine di una terra - la “nostra’’ terra - distrutta e bruciata, terra
di morti. Dove noi siamo passate, lì sono stati uccisi in battaglia
gli alpini e i bersaglieri: hanno offerto la vita perché la Patria
potesse vivere...
Bologna è una città
di macerie, e così tutti i paesi fino alla Toscana, la mia bella
Toscana dove avevo sognato di tornare un giorno coi miei camerati vittoriosi,
con la divisa grigioverde.
U.S.P.W.E. 334
Dunque, ci troviamo nei pressi
di Firenze, a Scandicci, in una ex-caserma dell’aviazione adattata dagli
americani a campo di concentramento. Per l’esattezza: U.S.P.W.E. Camp 334
Lager II Neaples (Italy). Strano indirizzo: che Firenze si chiami Napoli,
per i nostri liberatori? Mah...
I ragazzi del Pontida sono
rimasti in quel campo sotto i pini marittimi, vicino a Pisa, ma abbiamo
la speranza che ve ne siano alcuni pure qui.
La vita da “Prisoners of war’’,
che sulle prime ci ha fatto meravigliare alquanto, ora ci è divenuta
abituale...
Qui dentro si parla un mucchio
di lingue, vi sono ragazze di tutte le nazionalità e di tutti i
partiti, si fa la coda cinque o sei volte al giorno, ci si abbronza al
sole in costume semiadamitico, si dorme sui “castelli’’ di legno a tre
piani, si mangia la minestra con lo zucchero e il caffelatte amaro, e anche
dei bei tocchi di pane bianco...
Se si escludono certi “piccoli’’
inconvenienti tipo la mancanza di libertà, i servizi igienici senza
le porte, (dov’è finito il pudore che ci hanno inculcato fin dall’infanzia?),
le sfuriate di Gregorio nel suo pittoresco calabro-inglese (*), questa
vita è una pacchia!
Se ci vedessero i cari partigiani
che ci avevano augurato e promesso di farci morire di torture e di fame!
Il pensiero va sempre ai nostri ragazzi...
La storia più dettagliata
dei miei campi di concentramento mi riprometto di scriverla una volta uscita
di qui, in edizione speciale per mio esclusivo uso e consumo, così
da non dimenticare nulla di questa mia vita di P.O.W., matricola 81g -
608719 - H.
Infatti, come si possono scordare
le piccole avventure, i pettegolezzi di questo campo con trecento donne
italiane? (Le tedesche sono il doppio). E il coro? E le bisticciate solenni?
E i “cicchetti’’ in tutte le occasioni? E il recentissimo mistero dell’americano
che passeggiava di notte tra i letti delle prigioniere? E le sedute spiritiche
a sistema ridotto? E le Messe che ogni domenica viene a celebrare il buon
cappellano Don Sani?
Chissà quando si potrà
mettere la parola fine alla canzone “Sul pajòn’’ che va avanti strofa
per strofa?
L’estate dietro al filo
spinato
Il 7 giugno, mio diciottesimo
compleanno, è stato festeggiato dietro i reticolati, ma con tanta
allegria... Con le tripoline (**) e altre simpatiche amiche è avvenuta
così la mia “entrata in società’’. È stato il compleanno
più originale della mia lunga vita... Alla sera si balla e si fa
l’orchestrina nel grande piazzale, si sfoggiano “eleganti’’ abiti da sera.
Ieri, 21 giugno, San Luigi,
c’è stata una distribuzione di arance e di frittelle, avvenimento
sensazionale e degno di essere ricordato. Oggi, niente di importante da
segnalare, a parte il fatto che per esserci lavate fuori orario, a colazione
abbiamo avuto metà razione, tanto per mantenere la linea... Ma questa
sono sciocchezze. Stasera, grande spettacolo di varietà offerto
dalle superorganizzate camerate tedesche: in complesso, una cosa carina.
Speriamo che si ripeta spesso!
23 giugno - Prosegue la cura
del sole con ottimi risultati. È stato inventato, al 334 Camp, il
“mare concentrato in scatoletta’’! In parole povere, scatolette d’acqua
rovesciate sulla pelle sudata e spellata delle prigioniere... Alla sera,
doccia, canzoni, ecc.
24 giugno, domenica - Idem
come sopra. Questa sera, alle sette, Messa al campo. Dopo più di
due mesi, abbiamo cantato in corso la nostra Preghiera del Legionario.
È stato davvero commovente.
25 giugno - Evviva! Sono cominciati
gli interrogatori di noi militari, abbastanza spicci, in verità.
Tutte pensano a un’uscita prossima... Montevarchi, borgo natìo,
quanto ti rivedrò?
26 giugno - Ci siamo appena
alzate, stanno già chiamando dei nomi... Ora sono alla lettera F.
Il prossimo turno è il mio. L’interrogatorio è stato semplicissimo,
tutto bene. Due mesi fa si partiva da Vercelli.
Una “battaglia’’
27 giugno - Oggi eravamo a
Castellazzo Novarese. Già due mesi di campo di concentramento! Quanti
ne passeranno ancora?
Ore venti: battaglia feroce
tra fasciste e partigiane (già, perché c’è anche un
gruppetto di “loro’’; chissà perché sono dentro...). La causa
prima è stata una bandiera rossa che la “partigiana in verde’’ stava
cucendo. Ne è seguito uno scontro a gamellate e un assedio in piena
regola alla partigiana barricata al terzo piano di un “castello’’.
La battaglia è dovuta
cessare senza vinti né vincitori per l’intervento di Gregorio-Piripicchio
prima e di un tenente poi. Questo ci ha radunate in cortile e ci ha fatto
una predica, che è meglio non riferire. Ne è seguito un grande
tumulto. Sei o sette delle nostre sono in prigione, noi tutte a mezza razione
per cinque giorni. Ma cosa credono, di farci diminuire la nostra fede?
Le tedesche sono entusiaste di noi.
28 giugno - Stamattina, mezza
razione. Poi c’è stato il seguito della storia. Italia L. (dei Cacciatori
degli Appennini) è ancora in prigione, e anche qualche altra.
A mezzogiorno, colazione “al
salto’’. Le camerate germaniche si sono dimostrate delle vere sorelle,
cercando di portarci la loro razione. Ma per ora nessuno di noi, o quasi,
ha mangiato... La tensione è fortissima... Tutte dentro in camerata.
Si cantano canzoni patriottiche. Ora, mentre scrivo, si alzano le note
“armoniose’’ di quella nostra versione di “Sul pajòn’’...
Porca miseria, mentre si urlava,
sul più bello è arrivato Piripicchio acceso di sacro sdegno
e per punizione ci ha fatto stare un’ora sotto il sole, davanti al campo
dei nostri! Sai che punizione!
“In piedi, fortezze!’’ ci
sbeffeggiava. Le “fortezze’’ si son comportate in complesso abbastanza
bene.
Ora siamo in camerata: l’atmosfera
è sempre tesa. Chissà stasera... Dall’ospedale è rientrata
Ester B., e anche la Comandante Ciuffini. Povera donna, è irriconoscibile,
ed è rimasta ancora più abbattuta nel sentire quello che
è successo ieri.
A cena, naturalmente, non
siamo andate. Si parla di tre (oppure cinque) giorni senza mangiare. C’è
un rapporto del sergente in vista, e si minaccia di spedirci in Africa....
Anche stasera le tedesche si sono dimostrate, più che delle camerate,
delle sorelle. Più tardi, altra adunata e altro discorsetto di Piripicchio.
Separazione delle donne ultraquarantenni
dalle altre. Poi Piripicchio ha chiesto a “quelle che ieri non avevano
fatto nulla’’ di uscire dalle righe. Molte sono andate fuori... Quelle
domani mangeranno e noi no. Ma chi se ne... Il morale è sempre alto!
29 giugno - Evviva! Stamattina
anche noi punite abbiamo mangiato (mezza razione, però). Staremo
a vedere se la storia della “battaglia’’ avrà un seguito. A mezzogiorno,
tutte le italiane hanno avuto il pranzo. Italia è stata protagonista
di una scena violentissima con il sergente; tutte dicono che è una
pazzia comportarsi così.... Per adesso è ancora in prigione
e chissà quando potrà uscire... Alla sera, doccia purificatrice!
30 giugno - Compleanno della
“tripolina’’ Teresa. Volevamo farle la fantasia araba, ma in camerata c’è
una tensione altissima: basta alzare un poco la voce, che tutte ti impongono
di tacere, tirando fuori lo spauracchio dell’Africa. A me sembra che ce
l’abbiamo un po’ con noi “balilline’’ perché, nonostante tutto,
abbiamo sempre voglia di cantare e di fare un po’ di confusione... Ora
si mangia regolarmente, ma la calma deve essere solo apparente. Ve ne sono
cinque o sei in prigione, a pane e acqua.
Auf wiedersehen!
1 luglio, domenica - Questo
pomeriggio sono partite molte tedesche che dovevano essere rimpatriate.
Care nostre camerate! Ora tutte riconoscono che erano veramente brave,
mentre sul principio non le potevano soffrire. Loro però non sono
molto liete di tornare in patria, perché forse non troveranno più
né casa né famiglia...
Sono partite in divisa, coi
loro pantaloni (che tanto invidiavo), gli zaini carichi fino all’inverosimile...
Nel salutarle, prima che salissero sui camion, ho avuto l’impressione di
vedere il vero sfacelo di un grande popolo come il tedesco, finito come
nazione, forse per sempre... Non dimenticherò mai i loro commoventi,
camerateschi addii, quei loro ripetuti “Auf wiedersehen!’’...
Alti e bassi nel menù
2 luglio - Improvvisamente,
sono partite anche le internazionali (*).
Ora siamo sole nel lager:
trecento italiane e qualche tedesca rimasta non si sa perché. In
questi ultimi giorni (o mesi?) in cui resteremo da sole, come ci tratterà
il sergente?
Intanto stasera ci ha fatto
un’ennesima predica, dicendoci che non ci hanno fatto uscire per punizione.
E guai se non obbediamo e non teniamo tutto ben pulito! Ha fatto mettere
in prigione la romanina bionda perché aveva preso della roba alle
tedesche: per quello, ha fatto benissimo, e quasi tutte gli abbiamo dato
ragione.
4 luglio - Oggi, per gli americani,
è una gran festa: l’anniversario della loro Indipendenza, o roba
del genere... Giuro che non lo sapevo.
Comunque, viva l’Indipendenza
perché a cena ci hanno distribuito ben due frittelle a testa. Però
stasera hanno anche pescato la romanina bruna e la Isa Manca che lanciavano
dei bigliettini ai nostri dei lager di fronte. Non si sa come l’affare
andrà a finire e se Piripicchio se la prenderà con tutte.
Siamo preparate a saltare il pasto per qualche giorno.
5 luglio - Meno male! La storia
dei biglietti si è conclusa meglio del previsto, senza conseguenze.
Le due “colpevoli’’ sono in prigione, tutto qui... Nient’altro da segnalare.
6 luglio - Oggi Piripicchio
ha fatto una specie di interrogatorio a molte di noi. Quando gli ho detto
che una volta libera sarei andata a Montevarchi dalla nonna, tanto per
consolarmi mi ha informato che il paese è tutto a terra.
In compenso mi ha dimostrato
molta simpatia, affermando che i diciott’anni sono l’età che gli
piace... Sai che gioia!
8 luglio, domenica - Chissà
perché, stamani e stasera mezza razione di pane. A mezzogiorno,
una terribile zuppa di crauti. Chi ci capisce qualcosa?
9 luglio - Questa mattina,
grande adunata. Ci hanno divise in due gruppi, che sarebbero gli scaglioni
che partono prima e dopo.
Io e le mie amiche balilline
stiamo nel secondo, naturalmente. Quelle che hanno dichiarato di essersi
arruolate nel servizio ausiliario per lo stipendio, saranno liberate prima,
ma chi se ne frega?
Vercelli, “la fedelissima’’
è quasi tutta nel secondo gruppo. Ma “quando’’ si partirà?
Anche oggi, fame nera sia al mattino che a mezzogiorno, in quanto ci hanno
dato un’immangiabile zuppa di fagioli (quasi crudi). Sempre a vantaggio
della linea...
10 luglio - Strano, sono ritornate
le internazionali, e anche un po’ di tedesche del lager n. 3. Siamo di
nuovo in tante, ora. Stasera, due grosse frittelle! Che mangiate! Se ci
vedessero quelli che ci auguravano di morire di fame! Chissà quando
si parte...
11 luglio - Altro che frittelle,
oggi! Qui si mangia sempre meno, ahimè! Secondo le solite ben informate,
domani si dovrebbe partire davvero.
Lager 3
12 luglio - Siamo partite,
sì, ma solo per cambiare lager. Ora siamo al numero 3, che è
un po’ più piccolo dell’altro, ma in complesso non male. Abbiamo
a sinistra, sotto le nostre finestre, una grande rimessa dove lavorano
prigionieri a riparare macchine. Speriamo di no, ma temo che si intrecceranno
idilli e che fioccheranno nuove punizioni...
Vediamo pure una gabbia di
punizione, tutta di rete, in mezzo a un campo. Potrebbe sembrare un recinto
per animali, che so, un pollaio... e invece ci sono quattro prigionieri
nostri, chiusi lì dentro: sono dovuti restare parecchio tempo sotto
l’acqua (è venuto un grosso temporale), senza nulla, o quasi, per
coprirsi... Sono ancora lì, senza mangiare, e chissà per
quante ore...
16 luglio, domenica - Due
mesi che ci troviamo al 334 Camp... Per quanto tempo ancora? Non si parla
più di partenza, né tantomeno di libertà.
Qui la vita scorre più
tranquilla che nel lager precedente. Chi comanda è il sergente Bernard,
il quale ha il grande pregio di non parlare quasi per niente l’italiano
così ci sono risparmiate le prediche in calabro-americano di Piripicchio
a base di “Fate schifìo!’’ e simili piacevolezze di buona memoria.
Per il resto, tutto più
o meno come prima: si tira un po’ la cinghia, ma ormai ci abbiamo fatto
il callo... In compenso abbiamo la radio e tutti i giorni si ascolta Radio
Firenze: musica americana in prevalenza (forse non dovrei dirlo, ma è
un genere che non mi dispiace...), ma anche notizie di attualità
da cui si capisce che la vita “fuori’’, anche per quelli che aspettavano
i “liberatori’’, non deve essere troppo rosea.
Ieri hanno annunciato che
il governo italiano (quale governo?) dichiarerà guerra al Giappone
che si difende strenuamente, sebbene sia martellato dagli americani in
modo terribile.
Nel cortile del lager di giorno
si prende il sole con i nostri costumi da bagno modello P.W., si fanno
docce sotto la pompa mentre di sera si disputano accanite partite di pallavolo
perché c’è la rete.
La gabbia
Il pensiero va comunque ai
nostri camerati rinchiusi nei lager, specie in quello grande vicino a Pisa.
Notizie da casa mia, niente,
e neppure alle mie amiche...
Eppure continuo a scrivere,
alla mamma a Voghera e alla nonna a Montevarchi, su quelle strane lettere
che ci passano i nostri liberatori, di una carta speciale che diventa verde
se bagnata: dicono che sia per impedire che si mandino messaggi segreti.
Che ridere, come nei racconti di spionaggio...
Invece, c’è poco da
ridere sul fatto che i nostri nella gabbia di punizione sono ancora lì
tutto il giorno, sotto il sole che è davvero tremendo in questo
periodo. Solo oggi quello che noi chiamiamo “la spia gialla’’ è
venuto a tirar fuori il più piccolo, il ragazzino... Sono contenta
per lui, ma i suoi camerati? Mangiano solo un po’ di pane, al mattino e
alla sera. Li salutiamo e li incoraggiamo con le nostre belle canzoni,
la sera tardi...
Signore, come voglio bene
a questi nostri soldati, anche se non li conosco di persona: mantengono
intatta la loro fede, che verrà ancor di più rinsaldata da
questo disumano trattamento da parte dei loro aguzzini.
Questa sera è venuto,
come al solito, il cappellano, unico legame con il lager dei nostri.
17 luglio - Improvvisamente,
questo pomeriggio, ci hanno fatto di nuovo cambiare lager. Ora siamo al
numero 5, di fronte all’ospedale, e dalla finestra vediamo i nostri malati
o feriti.
Mentre si faceva il trasloco
abbiamo potuto scambiare qualche parola con i nostri camerati che ci hanno
portati i bagagli. Moltissimi sono i fiorentini; il morale e la fede sono
alti, come sempre. “Coraggio, ausiliarie!’’.
Dalla finestra abbiamo salutato
con particolare calore quelli nella gabbia, fregandocene della sentinella.
Sarà forse per questo che stasera ci hanno fatto saltare anche quella
fettina di pane che ci davano, e tutte abbiamo una fame del diavolo. Parecchie
si sentono male.
Le “segnorine’’
18 luglio - In questo nuovo
campo non si sta poi troppo male. Oltre alla rete per la pallavolo, in
cortile c’è anche il salto in alto e quello in lungo (viva lo sport!).
Alle finestre dell’ospedale, feriti italiani e tedeschi: uno suona l’armonica
a bocca, un altro canta con una bella voce da tenore...
Li guardiamo, i nostri fratelli
di fede, senza parlare, ma ci diciamo tante cose. La stessa speranza in
tutti: uscire presto di qui. Però, più passano i giorni e
più ci abbandonano le speranze di una prossima libertà. Fuori,
le condizioni non devono essere certo buone, per noi della Repubblica...
Chissà cosa ci aspetta, una volta usciti?
22 luglio, domenica - Niente
di importante, in questi giorni. Il sergente è andato in licenza
a Venezia e al suo posto ce n’è uno molto buono nonché insignificante.
Però la fame continua,
le razioni di pane sono sempre ridotte ai minimi termini: per due volte,
la sera, ci hanno rifilato una ignobile pappetta d’orzo, senza zucchero
né sale. Teresina è a letto per una caduta fatta il giorno
in cui siamo entrate in questo lager.
Dalle finestre si vedono sempre
i nostri ricoverati in ospedale e la sera si cantano per loro canzoni patriottiche,
si parla anche alla meglio con l’alfabeto muto. Cari, hanno sempre la medesima
fede intatta, proprio come noi...
Oggi, per speciale concessione
del sergente, è venuto il marito di Lina Germani a trovarla: ha
detto che i nostri quasi non si reggono in piedi per la fame, che mangiano
una gamella di sbrodaglia e di tanto in tanto un pezzo di pane.... Poveri
i nostri bei ragazzoni, pieni di vita! Povera Italia! Stasera noi avremo
i dolci (così hanno detto), e loro hanno tanta più fame di
noi, e non si può fare nulla fuorché mandargli (tramite il
prete) qualche pacchetto di tabacco che senz’altro andrà a finire
a colonnelli e maggiori...
Anche tra noi c’è una
debolezza generale: molte hanno coliche e ogni tanto qualcuna sviene. Io
sopporto bene, però, e la salute fortunatamente non mi manca. Mi
sono messa anch’io a lavorare a maglia (era ora) con la lana delle coperte
(*). Se lo meritano proprio, i nostri oppressori, i nostri aguzzini, che
gli portiamo via quello che possiamo, senza scrupoli. Vigliacchi, che fanno
morire di fame i nostri ragazzi!
Vediamo spesso, alla sera,
passare qui davanti degli automezzi americani, con sopra ragazze giovani
come noi, ragazze di Firenze.
Ridono sguaiatamente, sono
moltro truccate. Da dietro i reticolati, i nostri prigionieri le insultano,
e fanno bene. Il disprezzo che proviamo per queste “vendute’’ è
enorme. È uno spettacolo odioso per noi (per noi di fede, naturalmente).
E pensare che anche qui dentro dobbiamo vedere due o tre italiane che civettano
col sergente (e questo lo vedono anche i nostri dall’ospedale...).
La favorita numero uno è
la marinaretta bionda, quella che a Voghera andava a scuola alla “Manzoni’’...
Meno male che non era ausiliaria.
Note tristi e liete
23 luglio - Sono partiti i
nostri ragazzi, e anche il cappellano. Chi dice che li portano a Pisa,
chi a Salò. L’importante è che almeno loro possano essere
liberi, presto. Di italiani sono rimasti solo quelli dell’ospedale che
vediamo dalla finestra.
Tutte dicono che si partirà
pure noi fra pochi giorni, forse per Verona. Avvenimento degno di nota:
una (non ausiliaria), che aveva visto il fidanzato all’ospedale con un’altra,
ha cercato di svenarsi... Roba da cinematrografo. Tutte le sere continuiamo
a cantare per i feriti, anche le più belle canzoni della Repubblica
(alla faccia degli americani).
25 luglio (data funesta) -
Non c’è bisogno di ricordare questa giornata, che due anni fa segnò
l’inizio di tutti i mali dell’Italia. C’è una grande tristezza nei
nostri cuori e in quelli dei camerati, ma cerchiamo di non pensarci e intoniamo
le nostre stupende canzoni di guerra, che fuori di qui non potremo più
neanche accennare... Gli americani, forse per festeggiare la storica data,
ci hanno generosamente gratificato di un budino a colazione (ma ne avremmo
fatto volentieri a meno)...
27 luglio - Compleanno di
Jolanda, però senza grandi festeggiamenti. È tornato dalla
licenza Piripicchio, però non abbiamo ancora avuto il piacere di
vederlo. La bella “Caminito’’ (altra di “quelle tali’’ non ausiliarie...)
è in prigione non si sa perché e stasera pure lei ha cercato
di svenarsi. Pare che venga di moda.
28 luglio - Questa sera, molto
tardi, si è avuta una scena violentissima in camerata. Italia parlava
dalla finestra con i feriti: la comandante Orrù l’ha sorpresa e
voleva metterla in prigione.
La comandante Ciuffini ha
parlato a tutte noi per ristabilire la calma. Italia, impulsiva e coraggiosa
com’è, l’ha insultata e quasi la prendeva a schiaffi... Tutte noi
di Vercelli, com’è naturale, siamo insorte in difesa della nostra
comandante. Italia è stata trasferita nella camerata delle torinesi.
29 luglio - Gran parapiglia
e scompiglio per la faccenda delle coperte trasformate in golfini e maglioni
(forse abbiamo esagerato). Parlano di perquisizione generale, hanno obbligato
la consegna di tutte le coperte, anche quelle personali. Chi se ne... Tanto
io non ne ho, e poi fa caldo.
30 luglio - Compleanno di
Elettra Regazzo, vicecomandante a Vercelli, quindi festa in famiglia! Ha
ricevuto molti e bei regali.
1 agosto - È il periodo
dei compleanni.... Ieri, quello di Ebe Antolini e oggi di Alda Paoletti,
la mia “quasi’’ concittadina di Montevarchi, trovata durante la ritirata
da Vercelli a Castellazzo. Lei e l’altra ausiliaria del Btg. “Montebello’’,
Chiara Chipa, formano una coppia singolare e affiatatissima: Chiara è
molto più vecchia di Alda e ha sempre l’aria di voler proteggere
questa ragazza dalle lunghe trecce bionde (che di protezione forse non
ha molto bisogno...). Dimenticavo: Chiara Chipa è una delle nostre
poetesse ufficiali. Credo siano quasi tutti suoi gli spiritosi settenari
di “Sul pajòn’’. Ha composto anche una poesia satirica dedicata
alle “donne fatali’’ che stanno sotto le altane a farsi ammirare dalle
sentinelle negre (non a prendere l’abbronzatura, come tutte noi...). La
devo trascrivere, prima o poi. Inizia: “Caminito in estasi / sotto l’altana
/ sta in mutande, senza sottana / facendo gesti internazionali / a quei
che in testa hanno orinali...’’. Passiamo ad altro: questa mattina Piripicchio
e Mastro Ciliegia hanno fatto un tremendo sterminio di cappotti e lana
di coperte, minacciando feroci punizioni. Staremo a vedere. Stasera sono
arrivate le famose ausiliarie di Modena, circa una cinquantina.
3 agosto - Stamane hanno fatto
l’interrogatorio a un primo turno di “civili’’, quelle che erano già
al campo quando siamo arrivate noi. Dicono che partiranno presto (e speriamo
anche noi!). La faccenda dei cappotti di coperta è finita quasi
in niente. Piripicchio stasera è nero perché ha scoperto
che la sua bella bionda faceva gli occhi languidi a uno del lager 2.
4 agosto - Verso mezzogiorno,
su tre camion, sono partite quelle chiamate ieri, tutte quasi convinte
di tornare a casa, quantunque non gli abbiano riconsegnato né soldi
né orologi: fra loro, la signora Orrù, la moglie e le figlie
del colonnello Fiorentini, e pure Glauca Villella (come me, “balillina’’
del corso Siro Gajani), la Cardini e la Monti. Il sergente stasera ha detto
a Teresina, passata comandante di campo, dopo la nostra Ciuffini, che le
hanno portate alle carceri e consegnate agli italiani... Altro che libertà!
Povere ragazze, sono partite così contente, e invece... Faremo anche
noi la stessa fine?
7 agosto - Le ragazze partite
sabato sono sempre in carcere: questo lo sappiamo da Piripicchio, che quasi
ogni giorno viene a trovare la sua bella, con la quale sembra abbia fatto
pace. Noi qui, ricordando i partigiani, abbiamo un vero terrore di ritornare
nelle mani degli italiani e siamo arrivate al punto da preferire la prigionia
sotto lo straniero. Oggi hanno fatto mettere delle tende contro il reticolato
che ci divide dall’ospedale, così saranno finite le conversazioni
mute...
8 agosto - Grande ispezione
di Autorità: colonnello, capitani, marescialli, ecc. Dicono che
il nostro sia stato trovato il lager migliore e che Piripicchio, il quale
è stato nominato veramente sergente poche settimane fa, sarà
per questo promosso al grado superiore. Però l’ispezione non ha
visto né assaggiato l’immonda brodaglia di cavoli che ci hanno fatto
mangiare oggi... Partenza delle francesi. Quattro nostre sono sempre in
prigione.
15 agosto - Ferragosto! Oh
che bella festa, oh che bella festa! Tanto per solennizzare questo giorno,
la solita fame da lupi, alleviata dal conforto spirituale che ci ha dato
la Messa solenne celebrata da un sacerdote tedesco, su un altare magnifico
che abbiamo allestito nell’atrio. Tutta la Messa è stata accompagnata
da un coro di ragazze. Alla fine, “La preghiera del legionario’’ intonata
da tutte noi. La sera, però, grandiosa festa in onore di Piripicchio
e della comandante Teresina che oggi compie gli anni (quanti?). È
stata pure messa in scena una simpatica rivista, “Dall’A alla Z’’, veramente
ben riuscita, con balletti, scenette, canto ecc., ma soprattutto allusioni
(più o meno chiare) alla bella vita di P.W.... Tuttavia Piripicchio
non ha assistito alla festa e si è limitato a scattare delle foto.
Poi ballo, come al solito, e canzoni patriottiche. In complesso, come Ferragosto
di villeggiatura, non c’è male. Si dice che le nostre, trasferite
nelle carceri fiorentine di Santa Verdiana siano finalmente libere. Si
dice anche che a qualche fortunata sia arrivata posta da casa. A me niente.
16 agosto - Questa mattina
sono partite le slave. Niente altro di importante.
17 agosto - Evento sensazionale:
stasera, il pane tagliato in quattro! Purché la duri... Tutte le
voci (più o meno ufficiali) dicono che presto si cambierà
campo.
20 agosto - Addio pane grosso,
dolce illusione di una sera. Ieri a mezzogiorno è successa una mezza
rivoluzione per la pasta: quella delle tedesche era più spessa e
col sale, mentre la nostra... la solita ignobile pappa... Così è
venuto Draia, è andato in cucina e ha messo il sale nei pentoloni...
Ma che fame lo stesso!
Sognando la libertà
24 agosto - Molte fortunate
hanno ricevuto posta da casa. E io niente. È terribile! Stasera
è venuto a portarci il “conforto spirituale’’ un prete (faccia da
mangiagalline) della Commissione Pontificia che si interessa dei prigionieri
di guerra: ora che hanno già pensato a quelli che “languivano’’
nei lager in Germania, si interessano anche di noi, visto che tra qualche
settimana (speriamo) si uscirà. Oggi tutte abbiamo pure finito di
farci prendere le impronte digitali (proprio come i criminali...) e di
compilare i vari fogli per uscire, quindi si può partire da un momento
all’altro. Ma per dove? Livorno o le carceri di Santa Verdiana? Il nervosismo
è grande, quest’oggi, e siamo indignate per le parole untuose del
grasso prete, il quale ci ha fatto chiaramente capire che se soffriamo
è... perché è giusto e ce lo siamo meritate! In compenso
ci guadagneremo il paradiso... Bel conforto. Meglio se ci avessero portato
un po’ di pane.
31 agosto - Dieci delle “civili’’,
tra cui la Bruna Giani e la Nanni, sono partite (e sono libere, a quanto
si dice).
1 settembre - Sono proprio
in libertà: ne è stata vista fuori una. Siamo tutte felici
per loro.
2 settembre, domenica - La
festa patronale del mio paese natìo, Montevarchi... Piripicchio
ci ha mostrato una foto scattata a cinque di quelle partite, fuori, libere!
E noi militari?
6 settembre - Da qualche giorno
non si fa altro che parlare di partenza. La notizia, contrariamente alle
altre volte, è ufficiale. Si andrà a Firenze, in una scuola
o Accademia, non ho ben capito. Hanno già destinato le camere, non
si aspetta che l’ordine. Ieri sera, grande serata musicale tedesca. Per
speciale concessione sono venuti cinque “attori’’ tedeschi (credo medici
dell’ospedale) con una specie di armonium... L’attrazione della festa è
stato un tenore (bello, giovane, bruno, che ha suscitato il generale entusiasmo);
ha finito col cantare quasi tutti brani di opere italiane, come “Tosca’’,
“Aida’’, “Rigoletto’’.
Niente male anche un biondino
degli occhi azzurri sognanti che suonava l’armonium. Le ragazze germaniche
hanno cantato molto bene. Siamo tutte in attesa della famosa partenza.
8 settembre (data funesta)
- Ieri sera, altra serata musicale (musica leggera) con un’orchestrina
di almeno una decina di elementi, tutti tedeschi. Un’orchestrina vera,
con tutti gli strumenti, perfino il jazz, e un simpaticissimo presentatore.
Successo travolgente. Perfino il maresciallo Draia, e un altro ciccione
americano si sono degnati di assistere, battendo infine le mani. Oggi,
ancora festa: il pane tagliato in quattro! La partenza è attesa
tutti i giorni, ma quanto ad arrivare...
10 settembre - A mezzogiorno,
tutte a digiuno totale (e pensare che c’era pastasciutta...) perché
le solite quattro cretine continuavano - nonostante i divieti - a fare
lanci con quelli dell’ospedale. Molte sono in prigione. Grande novità:
proprio oggi, mentre siamo tutte affamate, Piripicchio ci ha presentato
il nuovo comandante di lager, un giovanottone alto e ben nutrito, faccia
da salumiere o macellaio, e un’espressione non molto intelligente (per
questo, dato che si chiama Matteo, l’abbiamo ribattezzato Babbeo). C’è
stata l’ennesima adunata e poi il nuovo sergente ci ha fatto la predica
di rito. Non parla l’italiano, solo il tedesco (e l’inglese, naturalmente).
Tiene molto alla pulizia, alla disciplina ecc. In fondo, dev’essere un
bravo pacioccone. Così Piripicchio lo vedremo più di rado.
Forse sarà versata qualche lacrimuccia...
12 settembre - Proprio ora
ci hanno detto di preparare la roba perché si parte. C’è
una confusione!
Al campo italiano di Casellina
12 settembre, ore nove di
sera - Già da qualche ora siamo arrivate al famoso nuovo campo,
che non è un campo, bensì un grande edificio in muratura,
con macerie tutto intorno. Abbiamo fatto un breve viaggio sui camion, riuscendo
così a vedere un po’ di vita libera, persino un tram e delle biciclette...
Qui è ancora tutto da organizzare, non c’è acqua e i gabinetti
non funzionano. Almeno hanno le porte, e ci riabitueremo a compiere certi
riti in privato, dopo tutti questi mesi di lager in cui, volenti o nolenti,
abbiamo dovuto abbandonare ogni pudore, sia per le abluzioni che per altre
faccende... Dicono che qui mangeremo solo due volte al giorno.
13 settembre - Vita nuova.
Al mattino, ispezione mista di americani e italiani. Un tenente e un capitano
dei Carabinieri (Reali?) ci hanno dato il benvenuto. Dicono che dobbiamo
passare sotto la loro “protezione’’. Si comincia bene: abbiamo mangiato
soltanto un pezzo di pane in mattinata e fino a stasera non ci sarà
più nulla...
14 settembre - Come ieri,
grande ispezione, nientemeno di un colonnello italiano e parecchi ufficiali
italiani, inglesi e americani. Uno dell’esercito U.S.A. ci ha persino scattato
delle foto-ricordo... È ormai sicuro che si passa nelle mani dei
nostri connazionali. Però resteremo qui. Hanno portato anche dei
tavoli per mangiare (pure a questo lusso ci eravamo disabituate).
15 settembre - Non rimpiangeremo
mica i “pasti abbondanti’’ degli americani? Le razioni sono sempre più
esigue; il pane oggi era tagliato in sei, e domani sarà in otto.
Oggi è venuto il papà di Alda Paoletti, che fortunata! Ho
scritto nuovamente alla nonna a Montevarchi, speriamo che qualcuno dei
miei familiari si faccia vivo! Questa sera c’è un po’ di fermento
perché è arrivato un biglietto in cui i comunisti del paese
minacciano un assalto con lanci di bombe a mano. Chi ci capisce qualcosa?
16 settembre - Altra grande
ispezione dei soliti ufficialoni del Regio (?) Esercito. Si ha una gran
fame, quantunque il maresciallo chi ci comanda si preoccupi molto per noi.
Stasera altro biglietto minatorio. Vengono ad aggiustare le tubature degli
operai fiorentini che invece non sembrano affatto mal disposti verso di
noi. Mah... La pastasciutta odierna sapeva tremendamente di benzina e inoltre
era senza sale. Dio mio, che fame!
17 settembre - Altra ispezione,
ma meno importante delle precedenti. Dicono che fuori si parla molto di
noi, siamo divenute le donne del giorno, per questo un sacco di persone
vengono a vederci. Per speciale concessione dei nostri nuovi padroni, abbiamo
potuto gustare un grappolo d’uva! Fuori costa quindici lire!
18 settembre - La più
bella sorpresa! Il pane tagliato in tre! E la pappina di cioccolata! A
mezzogiorno, un altro straordinario pezzo di pane! E stasera pastasciutta
e ancora pane in tre... Che succede? Un giorno moriamo di fame e un altro
si fa indigestione.
Visite
22 settembre - Niente da segnalare
in questi giorni. Si mangia molto bene. Questa sera abbiamo avuto la visita
di un cappellano militare (badogliano). Anche lui - come tutti quegli ufficialoni
che ci vengono a trovare - ignorava del tutto chi siamo veramente noi Ausiliarie
del S.A.F.: ha chiesto a Giulia Gerra (classe 1930!) di quali crimini fosse
accusata. È comunque opinione diffusa che se le altre ausiliarie
sono ormai tutte libere è perché noi siamo delle criminali.
Roba da pazzi! Ma come sono testoni! Sui giornali si dice che entro ottobre
dovranno essere liberati trentamila prigionieri di Pisa (*). I nostri ragazzi!
Si dice anche che sono stati scoperti movimenti fascisti in varie città
d’Italia. La notizia non ha bisogno di commenti.
23 settembre, domenica - A
celebrare la Messa è venuto oggi un prete di Firenze, segretario
dell’Arcivescovo. Ci ha parlato da vero fratello, interessandosi vivamente
a noi. Una del corso “Italia’’, davanti a tutte, gli ha esposto la nostra
situazione, il nostro dolore nel sentirci tanto odiate e calunniate da
parte dei nostri connazionali.
24 settembre - Fra le macerie
dei bombardamenti, dietro il cortile, sono state montate due tende per
i carabinieri che dovranno sorvegliarci. Ieri sera hanno scoperto un buco
preparato nel reticolato: forse qualcuna voleva scappare.
25 settembre - È avvenuta
stamattina la solenne cerimonia del cambio della guardia. Davanti a noi,
che eravamo fuori a colazione e frenavamo a stento risate e pernacchie,
un carabiniere della Benemerita, accompagnato da mezza dozzina di ufficiali,
è salito dignitosamente sull’altana, prendendo possesso del suo
nuovo regno... Sempre stamattina, l’ultima grossa fetta del bianchissimo
pane americano... Ieri sera ci siamo divertite un mondo con i saluti alla
sentinella americana, Hermore Wilson, una “sagoma’’ fantastica.
27 settembre - Il comandante
di questo campo di Casellina è nientemeno che un capitano. Tipo
alquanto antipatico, con un eterno sorriso sprezzante sulle labbra. Come
preambolo, l’altra sera ci ha detto che se vogliamo uscire dobbiamo interessarci
della cosa noi stesse, richiedendo alle famiglie una sfilza di inutili
documenti... Già, e quelle che delle famiglie non sanno più
niente, come la sottoscritta? Questo “palazzo’’ che ci ospita - abbiamo
appreso - era la sede della Nettezza Urbana di Firenze (a quanto pare,
ci hanno destinato un edificio adatto a noi...). I reali carabinieri fanno
coscienziosamente la sentinella; nelle tende ce ne sono accampati parecchi.
Inoltre c’è la ronda dei MIG in elmetto e fucile in spalla che gironzola
di continuo fuori dei reticolati. I carabinieri sono “scassati’’ in modo
incredibile, mezzi in divisa e mezzi in borghese... Che esercito, questo
dell’Italia “liberata’’! Abbiamo visto ufficiali che per divisa avevano
le tute americane da lavoro, come quelle che hanno dato a noi! (*) Ieri
il prete di Firenze ha portato diverse lettere. Mila Zana ha ricevuto posta
dal padre, che è libero e sta bene. Io, come al solito, niente del
tutto. Cinque mesi qui dentro, senza una riga da nessuno dei miei. Se ci
penso... Il pane è sempre bianco e, per la verità, migliore
di quello americano.
La minestra, iera sera, era
pure buona e ben condita. Ci hanno dato anche una mela! Questa mattina,
un bel pezzo di torta, forse ultimo regalo U.S.A.
Finalmente posta!
28 settembre - La mamma di
Luisa è venuta a trovarla e siamo tutte felici per lei. Ha portato
del pane (il nostro buon pane casalingo), dell’uva e un coniglio arrosto.
Abbiamo fatto un pranzetto memorabile: c’era persino del vino nuovo e delle
noci.
28 settembre - A colazione,
tre grosse frittelle, proprio squisite. Evviva! Finalmente ho ricevuto
una lettera della nonna, che è a Montevarchi: dice che a Voghera
i miei stanno tutti bene e mi aspettano. Signore, vi ringrazio! Sono troppo,
troppo felice.
30 settembre - È venuto
il nostro buon prete a dirci la Messa. Mi sono confessata e ho fatto la
comunione.
1 ottobre - Ancora evviva!
È venuta la zia Tina a trovarmi. Ne hanno passate di tutti i colori,
in Valtellina! Lo zio Remo, con molti altri fiorenini profughi al Nord,
è ora in prigione a Milano, nel carcere di San Vittore. Gli è
andata ancora bene. Per rendere la mia felicità più completa,
è arrivata anche una lettera dalla mamma (la prima!).
7 ottobre - Ormai ricevo lettere
da casa. Da quanto scrivono mia madre e le mamme delle mie amiche, entro
il 15 di questo mese tutti i prigionieri della Repubblica Sociale saranno
rimessi in libertà. Molti di Coltano sono infatti già fuori.
Per noi, di liberazione non si parla neppure, anzi i carabinieri non fanno
altro che rinforzare i reticolati e approntare nuove difese. Il marito
di Evelina, già detenuto a Coltano, ha detto che i P.W. di quel
campo, venuti a conoscenza delle nostre sofferenze, ci ammirano e parlano
molto bene di noi. Anche la Commissione Italiana (dicono) ha avuto parole
di encomio per la nostra fede e il nostro coraggio. Speriamo bene... L’Arcivescovo
di Firenze ora si sta interessando veramente di noi, e ha promesso appoggio
e impiego a quelle che non sanno dove andare. Era ora! La zia dovrebbe
tornare a giorni. Questa mattina è venuto un altro prete che ha
parlato molto bene. L’altro ieri, invece, un cappellano di Coltano ci ha
fatto avere una bella lettera del nostro indimenticabile Don Sani, che
avevamo al lager di Scandicci. Ore nove di sera: il prete di stamani (si
dice) ha predicato durante i Vespri a Scandicci, affermando di aver trovato
in noi delle vere donne che hanno sofferto lunghi mesi per un ideale, che
tutto hanno sacrificato alla Patria. Ci ha portate ad esempio a tante ragazze
che fuori amoreggiano con l’uno e con l’altro... Superfluo ogni commento.
Ci stiamo accorgendo che l’opinione pubblica, da quando siamo qui, è
mutata nei nostri confronti. Passeremo alla storia?
8 ottobre - Pare certo che
il giorno 20 verrà la Commissione di interrogatorio.
9 ottobre - Di ritorno da
Montevarchi, è venuta di nuovo la zia. Clara, invece, tramite uno
della cucina che è andato a casa dei suoi zii, ha appreso che il
padre è morto...
10 ottobre - Realtà
romanzesca! La zia di Clara (arrivata questa mattina) ha detto che il papà
non è affatto morto, solo è stato gravemente ammalato. Tutto
un equivoco! Meno male.
12 ottobre - All’improvviso
è arrivata la mamma di Paola. Ora tutte quelle del nostro gruppo
(tranne Teresa e qualche altra tripolina) hanno ricevuto notizie, in genere
abbastanza buone. Si aspetta con ansia di uscire. Ma quando, ma quando?
Per mezzo di un sacerdote venuto da Como, abbiamo appreso che tutti noi
P.W. dovevamo fare due anni di Africa! Pare che sia intervenuto all’ultimo
momento il Papa. L’abbiamo davvero scampata bella. Aveva ragione Piripicchio
quando ci minacciava di spedirci in Algeria. Si spera di andare a casa
presto, tuttavia gli operai, dopo aver rinforzato i reticolati, li hanno
ricoperti con pesanti tendoni, così addio panorama! Altre voci dicono
che al nostro posto verranno i prigionieri delle SS.
14 ottobre - Oggi continuano
a passare camion carichi di comunisti con grandi bandiere rosse. Naturalmente
quando passano davanti a noi è un immenso coro di urla varie, “complimenti’’,
fischi. Stasera ci hanno fatto rientrare nelle camerate alle sei. Sembra
di essere tornate a Vercelli, quando c’erano i “gradini’’ 1 e 2 di buona
memoria! Le guardie e la ronda sono pronte per ogni evenienza, con mitra
e moschetti puntati. È incredibile dover essere difese dai carabinieri!
16 ottobre - I comunisti non
hanno osato niente di quello che si temeva. Si aspetta ansiosamente la
famosa Commissione. Stasera tre grossi Krapfen.
Speranze e delusioni
23 ottobre - La speranza,
come è noto, è proprio l’ultima dea. Ci avviciniamo al fatidico
25, ma della Commissione neppure l’ombra, quantunque il caro Capitano continui
a ripetere che lui fa tutto il possibile per sollecitare, eccetera. Intanto,
da un po’ di giorni si fa di nuovo la fame. Oggi, esasperate dalla sbrodaglia
di mezzogiorno, abbiamo fatto una manifestazione di massa, prima davanti
ai numerosi quanto grassi e inutili marescialli, e alla fine davanti al
Capitano in persona. Risultato: una bella predica, l’invito alla calma
e alla pazienza e, quasi quasi, il sentirsi dire che dobbiamo ringraziarli
per quello che ci danno. Pezzi di ...! Non se ne può proprio più,
e se non arriva la Commissione non si sa quel che può succedere!
Altro che calma! Con lo stomaco vuoto e sei mesi di quasi-galera sulle
spalle. Anche il Comando Americano si fa vivo per la solita, eterna storia
delle sue preziosissime coperte: minaccia perquisizioni, risarcimento danni
ecc. All’anima della ricchezza e generosità degli “alleati’’!
24 ottobre - Così non
si può andare avanti! Più che dei porci, sono dei delinquenti!!!
Questa sera, con la solita pagnottina, ci hanno rifilato una ignobile broda
di cavoli e carote secche nell’acqua. Terribile. Naturalmente, quasi tutta
è avanzata. Noi abbiamo fame, vera fame! Quelli della cucina si
arrabbiano e dicono che ce la siamo voluta, con la “rivoluzione’’ di ieri
sera. Il Capitano, accorso con i vari marescialli per una verifica, ha
dichiarato, dopo aver assaggiato la minestra (avrà fatto sforzi
sovrumani per mandarne giù un cucchiaio, tanto era nauseante) che
era buonissima, che non crediamo di essere in villeggiatura e via di seguito...
Sarebbe stato niente sbattergli cavoli e carote sul muso! E pensare che
quando venivano presi dei partigiani, gli si distribuiva lo stesso rancio
nostro, e anche le sigarette! Ma se c’è una giustizia...
27 ottobre - Domani... Mio
Dio, domani 28 ottobre... E dover stare qui dentro, nelle loro mani. Rammento
la celebrazione, l’anno scorso, alla G.N.R. di Vercelli, in un clima di
fede, di entusiasmo, di volontà di riscossa... E nel giro di un
anno, tutto inutile... Le nostre speranze, i sacrifici, le lotte... Non
ci posso pensare. E assistere impotenti alla rovina della Patria, calpestata
dallo straniero nemico. È troppo, se esiste una giustizia divina...
La Commissione non si fa viva.
Ieri è venuto un vescovo (con un sacco di preti al seguito). Ha
promesso interessamento. Tutti quanti mostrano di interessarsi a noi, ma
siamo ancora qui. Perfino “l’Uomo qualunque’’ (l’unico a dimostrare senso
di obiettività fra tanti giornali cretini) ha pubblicato un articoletto
su di noi, perorando la nostra causa e chiedendo la nostra liberazione.
28 ottobre, domenica - Giornata
di sole, ma tanta tristezza nel cuore. Quasi ossessive, mi vengono in mente
le parole di quella canzone composta a Scandicci sull’aria di “Signorinella
pallida’’: Negli occhi nostri passano - speranze, sogni pure nell’asprezza
- C’è alla gola un nodo che ci soffoca - le note di quel canto,
“Giovinezza’’...
Già, quel canto che
prorompeva vibrante, un anno esatto fa, dai petti di noi, gioventù
repubblicana... Lasciamo perdere. A mezzogiorno pastasciutta: ottima, ma
- ahimè - in una razione semplicemente ridicola. Perciò la
solita fame.
Fame, visite e commissioni
30 ottobre - Ho ricevuto l’inattesa
visita di un amico di mio padre, residente a Firenze. Nel pomeriggio, ultimo
dei prigionieri italiani liberati, è venuto a trovarci Don Sani,
accolto da una grande manifestazione di entusiasmo. Anche Adriana Gatti
di Voghera (ausiliaria dei “Cacciatori degli Appennini’’) ha ricevuto visite:
due Tenenti del suo reparto, usciti da Coltano. È proprio una giornata
eccezionale!
1 novembre, giorno dei Santi
- È tornato l’amico di papà e mi ha portato alcuni libri,
frutta, formaggio, marmellata. Ha lasciato all’ingresso questo ben di Dio
perché non l’hanno fatto entrare in parlatorio a causa di una delle
solite ispezioni. Questa volta il visitatore è un vecchio signore
in borghese che sembra molto interessato a noi, “dimenticate’’ da tutti
ormai da mesi. Poi c’è stata la Messa e ho fatto la comunione, con
tutte le mie amiche. In serata è venuto ancora il simpatico prete
di Scandicci. Per la prima volta, da quando abbiamo lasciato il Campo 334,
è stata cantata “La Preghiera del Legionario’’, e anche quell’altro
canto, struggente e nostalgico, “Patria, le tue stelle...’’. Signore, come
mi è sembrata veramente divina la nostra preghiera, intonata nella
semioscurità davanti al Crocifisso, gettata come una sfida in faccia
ai nostri aguzzini... “Signore, salva l’Italia del Duce! Solo Tu puoi’’.
4 novembre - Siamo in uno
stato di grande abbattimento, vedendo come siamo trascurate, come questa
dannata Commissione tardi a venire. Chissà per quanto tempo dovremo
stare ancora qui. Per accrescere la nostra tristezza, c’è anche
la partenza del caro Don Mario, il quale ci ha salutate perché andrà
a Roma a studiare. La fame è sempre più nera: hanno mandato
via il personale della cucina e hanno istituito dei turni fra noi. Mila,
Luisa e Clara sono nel primo turno. Speriamo bene...
5 novembre - Per tutta la
giornata, gran fermento nel campo, perché siamo veramente stufe.
Quando è arrivato il Capitano, abbiamo organizzato una imponente
manifestazione a carattere rivoluzionario nel salone di sopra. Lui deve
essersi preso un bello “spaghetto’’ trovandosi solo, nella mezza oscurità,
tra una folla di ragazze decise a tutto. Naturalmente ha cercato di calmarci,
trovando la scusa che tutto dipende da un “nulla osta’’ americano, concesso
il quale verrebbe immediatamente la Commissione e saremmo subito libere.
Ha aggiunto che con il 15 di questo mese il Comando U.S.A. non ci manderà
più da mangiare e ritirerà tutta la sua roba, perciò
è sperabile che il Governo italiano, per non sobbarcarsi la spesa
del nostro mantenimento, si decida a spedirci via...
10 novembre - Attendo un’altra
visita della zia Tina, ma finora non si è vista. L’ultima della
giornata è che un colonnello ha dato la sua parola d’onore (?!)
che entro il 20 saremo libere. C’è da crederci?
11 novembre - Ho il mal di
denti. L’avvenimento è degno di nota perché è la prima
volta che mi capita, tanto che mi sono fatta l’autoritratto. Per festeggiare
la domenica, abbiamo avuto una vera pastasciutta col sugo! Per finire in
bellezza, è venuto a intervistarci un giornalista, Paolo Bugialli.
Proprio oggi, che ho questa faccia gonfia... Gli avrei parlato volentieri...
12 novembre - Nel pomeriggio
è finalmente arrivata la zia diretta a Montevarchi, e munita di
rifornimenti! Altro grande evento: da Milano è venuta una Commissione
cardinalizia che in origine doveva visitare solo un lager di ufficiali.
Dice di aver trovato i nostri in condizioni veramente pietose. Avevano
dei viveri destinati a loro, ma li hanno rifiutati. Hanno raccontato di
noi e delle nostre condizioni, così sono venuti a vederci. La commissione
era composta da un prete, una crocerossina e parecchi borghesi. La crocerossina,
entrando, ha salutato romanamente. Sono rimasti a lungo, interessandosi
“veramente’’ a noi e promettendo di fare il possibile per la nostra liberazione.
Nella camerata della “Decima’’, le ragazze hanno cantato per loro “Patria,
le tue stelle’’ e “La Preghiera del Legionario’’. Hanno portato così
tanto pane (al quale gli ufficiali hanno rinunciato) che c’è stata
una distribuzione supplementare di ben tre pagnottine a testa. Inoltre,
sacchi di riso e farina gialla. Sono stati veramente colpiti dall’accoglienza
entusiastica riservata ai viveri.
14 novembre - Il nuovo sacerdote
ha celebrato una Messa in suffragio di tutti i nostri Caduti. L’abbiamo
voluta noi, prima di andarcene, questa Messa per i camerati morti nella
disperata difesa della Patria. Dopo la comunione, qualcuna ha intonato
“La Preghiera del Legionario’’ e subito tutte le voci si sono unite, forti,
libere, chiare, davanti a un prete sconosciuto che forse, come uomo, ci
è avversario... Come mi batteva il cuore alle ultime, strazianti
parole “... e salva l’Italia del DUCE’’...
Momenti di tensione
15 novembre - Oggi è
successa una mezza rivoluzione e in parte ne sono causa anch’io, che in
tutti questi mesi non mi sono mai cacciata nei pasticci...
Ecco come sono andati i fatti.
Mentre venivano scaricati
i sacchi di pane dal camion, io e Yvelise Ballari, dalla finestra, abbiamo
progettato di fregare una pagnotta. Così, approfittando di un momento
in cui non c’era nessuno, lei è saltata giù dalla finestra,
ha afferrato una pagnotta dal sacco e me l’ha gettata al volo. In camerata
nessuna ha visto la rapida scena: Yve è rientrata dalla porta fischiettando
allegramente... Ma un minuto dopo è entrata come una furia quella
pazza della Lesca, urlando che la pagnotta doveva saltar fuori, eccetera.
Naturalmente noi due abbiamo fatto le indiane, ma dovevamo avere un’eccessiva
espressione da “menefreghiste’’ se quella è andata a chiamare nientemeno
che il Capitano. Hanno contato le pagnotte e, com’era prevedibile, ce n’erano
in più del normale (l’avevamo sempre sospettato, che a noi ne arrivasse
qualcuna in meno...).
Così Lesca è
stata sommersa da un coro di fischi e urla ed è stata costretta
a battere in ritirata, se no le prendeva. Il Capitano, poveraccio, invocava
la calma. Al contrario, noi gli abbiamo chiesto notizie sull’esito del
famoso telegramma “mandato a Roma circa la nostra liberazione’’ (parole
sue di qualche tempo fa). Ingenuamente, lui ha detto: “Quale telegramma?’’
con un sorriso angelico. Allora tutte ci siamo messe a fare un po’ di “repubblica’’
al solito grido di “vogliamo andare a casa!’’.
Dimenticavo: è apparso
su “La Patria’’ di Firenze un bell’articolo del giornalista venuto qualche
giorno fa.
16 novembre - Quest’oggi,
ottima polenta col sugo (un po’ molle) che abbiamo però avidamente
divorato. La liberazione rimane il solito mito...
20 novembre - Pare che alcune
abbiamo sporto una denuncia contro il Capitano e il maresciallo... Com’è
naturale, non hanno ottenuto nulla, anzi quelli si sono infuriati e hanno
già dato inizio a rappresaglie. Per rendersi conto della situazione
sono arrivati diversi Ufficiali ai quali abbiamo ripetuto che siamo stufe
e arcistufe.
21 novembre - Siamo ritornate
al menù americano di buona memoria: minestra di crauti e carote,
accidenti a loro! Il giornalista, Paolo Bugialli, ci ha inviato una bella
lettera, con parole di stima e di ammirazione, che ho integralmente trascritta.
Gli abbiamo anche risposto, e ho collaborato anch’io. Sembra proprio che
gli americani, tra qualche giorno, non ci passeranno più da mangiare.
Speriamo! Il 24 prossimo apparirà un secondo articolo su di noi,
questa volta su “L’Arno’’. Verso la notorietà!
25 novembre - Delusione: nessun
articolo sulle ausiliarie di Casellina... Stamani, grande scompiglio: si
sono accorti che due delle “internazionali’’ (la Perotton e la Meraner)
hanno tranquillamente preso il volo durante la notte, con tutti i bagagli,
attraverso un buco nel reticolato dietro l’autobotte, quasi sotto il naso
delle sentinelle e dei MIG accampati fuori. Capitano, maresciallo ecc.
tutti arrabbiatissimi. E noi, giù risate! Però hanno promesso
che la pagheremo noi: per il momento, sospese le visite dei parenti. Proprio
in questi giorni che doveva arrivare di nuovo la zia!
È finita!
26 novembre - Voce ufficiosa:
giovedì ci sarà la Commissione. Ore 12; la voce è
ufficiale. Evviva! Ore 16: è venuta la zia Tina, con suo nipote
Carlo Bernocchi che era nelle Fiamme Bianche. Mi aspetta fuori giovedì.
È fantastico! Ore 20: in camerata, il Capitano ha annunciato che
la Commissione sarà qui alle otto e mezzo di giovedì.
27 novembre - Ormai questa
cronaca viene redatta ora per ora, non giorno per giorno... Ore 11: ci
ha parlato il cappellano militare esortandoci alla calma. Ha detto che
domani verranno i camion per quelle del Nord. Io al Nord, cioè a
Voghera, per ora non ci voglio andare, starò un po’ con la zia a
Firenze (anche se lei non ha più la casa, e vive presso i cognati
Bernocchi, in attesa che suo marito torni in libertà), forse dopo
andrò dalla nonna a Montevarchi.
Nel pomeriggio ci farà
visita il Cardinale di Firenze, nientemeno, che venerdì celebrerà
per noi l’ultima Messa. La Commissione (un generale, un colonnello e altri)
è ben disposta verso di noi ma c’è da stare lo stesso in
guardia perché c’è dentro uno che ci vuole male e il minimo
incidente potrebbe pregiudicare il nostro rilascio. Ore 22: il Cardinale
è venuto davvero, accolto abbastanza entusiasticamente. Quelle sospettate
di spionaggio sono già state interrogate. Domani tocca a noi. Abbiamo
tanto atteso questo momento, ma in genere non siamo molto allegre... Ci
separeremo e chissà cosa ci riserva la vita borghese, fuori...
28 novembre - Ore 8.30: adesso
dovrebbe arrivare la Commissione. Dovrebbe. Ore 9.30: la Commissione forse
si è svegliata tardi. Ore 10: è arrivata. Momenti fatali!
Ore 10.30: come al solito, la burocrazia trionfa. Oggi preparano i documenti
e domani ci interrogheranno. Ore 14: hanno già incominciato gli
interrogatori, che sono quanto mai sbrigativi. Valeva la pena di marcire
qui per sette mesi per poi sentirci dire: “Hai i documenti in regola. Vattene
a casa’’...
Addio alla mia Comandante
Ore 20: momenti tristissimi.
La nostra Comandante Ciuffini non potrà uscire con noi perché
qualche infame, che non poteva nuocerle in altro modo, l’ha denunciata
nientemeno che per “seviziazione!’’. È stata inutile la nostra testimonianza,
così dovranno trattenerla per un processo, o roba del genere. Vigliacchi!
Oltretutto, è anche ammalata e dovrà essere trasferita in
ospedale. Sono ancora commossa: ci ha radunate tutte in infermeria, per
salutarci... Ci ha parlato con voce rotta dai singhiozzi ma ferma, in quel
suo modo tanto sereno e un po’ ironico, dimostrando una forza d’animo eccezionale.
Ha voluto che, strette attorno a lei, cantassimo per l’ultima volta “La
Preghiera del Legionario’’. Lei stessa ha detto che era felice di questo,
e che terrà sempre alta, di fronte a tutti, la sua fede, come terrà
alto il nome del Servizio Ausiliario Femminile. E se lo dice lei, si può
star sicuri che lo farà, a qualunque costo. Saranno trattenute anche
la Lesca e la simpatica Liborio della Decima. Povera Liborio, speriamo
che sia libera al più presto!
La Commissione sta preparando
i fogli di viaggio. Domani arriveranno i camion per il Nord.
da TRE DIARI DI AUSILIARIE A cura della Associazione Culturale
Servizio Ausiliario Femminile. Edizioni NUOVO
FRONTE.1999.
UNA "CIVILE"
CHE SI PROCLAMA AUSILIARIA
Cesara Mattiozzi
- Cesara non è una
ragazza, ma una donna sulla quarantina, animata da un vivo senso di patriottismo.
Da Torino segue nella ritirata la sorte della sorella Nannì, moglie
del Maggiore di Artiglieria Arrigo Mazzantini; il 26 aprile si “autoarruola’’
come ausiliaria del X Gruppo Artiglieria dei Reparti Arditi Ufficiali,
e condivide rischi e disagi della colonna torinese in ripiegamento. A Ivrea,
il 6 maggio, tutti vengono fatti prigionieri dagli americani. Da quel momento,
Cesara è, come le ausiliarie, “prigioniera di guerra’’.
- Ultranovantenne, risiede
a Firenze.
[...]
Diventiamo ausiliarie
8, 9, 10 maggio - Siamo ancora
prigioniere degli americani a Parabiago. Piano piano ci accomodiamo alla
meglio. Hanno messo in funzione alcuni rubinetti. Con mia sorella Nannì
abbiamo fatto un “letto’’ (?) con cassette di sapone messe a coppia, in
fila, con sopra una copertina.
Siamo in camerata col nostro
reparto.
Mangiamo la razione in scatoletta.
Avessimo almeno una pagnotta!
Ma pare che non ne diano. Solo gallettine in scatola... ma ci basta, meglio
che niente! E speriamo: siamo ancora tutti e tre insieme. Lavoriamo. Si
fanno pulizie, servizi vari, da ausiliarie. Ci siamo confermate, seguiremo
la sorte del Gruppo.
Giovedì 10 maggio -
Campo di concentramento di Parabiago. Partono “le civili’’ - pare - per
Piacenza.
11 maggio - Ieri sera agitazione...
Nannì pareva fosse nella lista delle partenti, ma era invece il
nome di un uomo, molto simile al suo. Stamane cercavano la Lesca. Ci lasceranno
qui? Temiamo di no. Forse domani - o addirittura stasera stessa - ci chiameranno.
Saremo anche noi nella lista delle partenti? Avremmo tanto desiderato restare
con i nostri... speriamo ancora... sono entrati in camerata dei giornali...
povera Italia... che schifo gli Italiani!!!
12 maggio - Adunata delle
donne. Vanno via altre civili e si dice che lo stesso avverrà per
le ausiliarie e le aggregate. Viene un colonnello: “Le ausiliarie restano
e anche le aggregate che lo desiderano saranno considerate come ausiliarie
(cioè come soldati)’’ Dovremo lavorare molto e duramente. Ci dice
belle parole - tutte siamo commosse. Poche sono quelle che non aderiscono.
Restiamo in 80 con 2000 uomini. Si pulisce, si spazza, si lava la roba
ai militari, si cuce, eseguiamo gli ordini che ci vengono impartiti. Non
abbiamo un minuto libero. In serata andiamo in una camerata di sole ausiliarie.
Tenda gialla, letto di cassette. Lotta per la scopa e i secchi dell’acqua!
Calma, ragazze! E disciplina!
13 maggio - Io faccio, per
così dire, l’attendente ad un capitano del Gruppo di mio cognato.
Anzianotto, brava persona! La mattina gli faccio il caffè (con una
lattina vuota e tagliata in un certo modo, sotto un bussolottino con un
batuffolo imbevuto in un liquido infiammabile... posata sopra la gavetta
con l’acqua e caffè in polvere. Si accende e, dice lui, viene fuori
un caffè mai bevuto così buono! Lavo fazzoletti e qualche
calzino (assai malridotti) che poi ricucio. A fare da attendente ad Arrigo
ci pensa Nannì, lei sì che fa di professione la lavandaia:
ha preso sotto la sua tutela anche una decina di artiglieri. Proprio mentre
stiamo lavando e brontoliamo ci riconosce Nanni Chelucci da Portoferraio.
È anche lui prigioniero qui.
Messa al campo, poi al lavoro.
Ci hanno levato la solita razione di sigarette... Il Generale non ha simpatia
per le ausiliarie. Fanno di tutto per stancarci e cercano tutti i pretesti
per poterci mandar via. Ma resisteremo, lavoreremo.
14 - 15 maggio - Solita vita.
Cambiato stanza. Accanto alla docce, la notte l’acqua che scende non ci
faceva dormire. Cominciamo ad assestarci. Ci mettiamo su una specie di
branda.
15 maggio (sera): ordine di
tenerci pronte con la roba. Sveglia la mattina alle 4. Si parte, pare.
Si passa per Milano
16 maggio - Siamo pronte,
in attesa, da alcune ore. Partiamo alle 10 e mezzo; gli uomini avanti e
noi donne sopra gli ultimi mezzi. Si va via da Parabiago. Fa caldo. Tanti
fischi ed innumerevoli bandiere rosse. Parabiago ci offre le solite dimostrazioni
(sarà così anche lungo tutta la strada che ci aspetta?).
Si va verso Milano.
A Milano ci fanno traversare
tutta la città ma troviamo la gente composta. Avanti c’è
il mezzo con i ragazzi della “Folgore’’ e della “Decima’’ e cantiamo anche
noi la canzone della San Marco: “Arma la prora o marinaio, vesti la giubba
di battaglia...’’ e poi: “Italia, Italia... cosa importa se si muore’’.
Dopo noi donne cantiamo “Mamma, solo per te la mia canzona vola’’. Passando
per una strada, la signorina Adele De Rossi, tenente delle ausiliarie,
ci dice: “Fra poco passiamo sotto casa mia’’. Ci indica il suo balcone:
c’è gente, anche alle finestre! E lei: “Vedete! Me l’hanno occupata...
chi ci sarà nella mia casa?’’.
A un certo punto, il sergente
americano (di colore) che guida il nostro camion, fa: “Qui adesso voi alzatevi
in piedi e fate vostro saluto!’’. (Noi non capimmo subito cosa volesse
significare; l’abbiamo saputo dopo. Stiamo passando da Piazzale Loreto.
Quel negro aveva del sentimento e lo ricordo con simpatia. Nota del 1946).
Intanto non sono tutti ad
insultarci. Molti stanno in silenzio a vederci passare... Qualcuno ci saluta
con la mano, ci sorride. Da un balcone di piazza Castello ci tirano dei
garofani. Una signora ci saluta con la mano e piange. In alto, da un tetto,
qualcuno sventola un gagliardetto. Proprio sull’angolo di Piazza Castello
un signore anziano sta fermo sull’attenti e fa il saluto romano. Poveretto,
speriamo che non abbia avuto delle noie per questo!
Coltano
Dopo Milano, tutto torna più
brutto. Gli italiani, per la maggior parte, ci odiano.
Gli americani, però,
fanno buona guardia e ci scortano bene. Si arriva vicino a Modena. Caldo,
polvere, sole e sete; passiamo presso un campo di concentramento: una pianura
sterminata con un formicaio umano. Non ci accolgono, non c’è posto!
Si prosegue. In città, accoglienza tremenda alla nostra colonna
di prigionieri! Ci si deve fermare per fare benzina, sotto il sole. Tanta
tanta sete. Si prosegue. Presso una casa della brava gente porta qualche
secchio d’acqua. Nei piccoli paesi i caffè e le osterie sono pieni
di gente che beve e ci maltratta.
Si va verso la zona degli
ultimi combattimenti... Rovine... Quando si passa da Bologna corre voce
che saremo portate a Pisa. Nannì è stanca, ha sonno e mal
di testa. La sorreggo alla meglio. Siamo accucciate sulle valigie e i sacchi
alpini, pigiate alle altre. Sete, ancora sete. Ci tormenta anche un altro
bisogno (par di scoppiare)... sono ore che si viaggia così e non
si può scendere. Di notte si passa l’Appennino. Nomi sentiti tante
volte sui bollettini di guerra. Puzzo di cadaveri e di bruciato.
Finalmente riconosciamo Pisa.
Passiamo dalla Piazza dei Miracoli . Sembra che ci stiano portando in un
campo presso la ex tenuta reale. Non siamo del tutto sicure d’essere in
colonna con gli altri e temiamo di andare da un’altra parte senza rivedere
il nostro Gruppo e Arrigo, mio cognato.
Poco dopo Pisa, sotto gli
alberi, arrivano in un vialone, finalmente, gli altri automezzi. Scendiamo.
Passa Arrigo con i suoi; si fermano e ci aiutano a scaricare il bagaglio.
Mettiamo gli zaini sulle spalle e ci incamminiamo.
Siamo a Coltano. Dentro quei
grandi muri trasparenti di rete da pollaio, una pianura sterminata piena
di tende. Ci danno qualche tenda e barattoli di una specie di minestrone
(un barattolo ogni cinque persone).
Veniamo separate dagli uomini.
Ci riposiamo sotto le tende. Sappiamo già, però, che dovremo
andar via in un altro campo. Si spera ancora; ci fanno riposare, si beve,
ci si lava un po’ alla meglio. La Comandante ci avverte di prepararci a
partire. Nannì è sgomenta di doversi separare da suo marito.
Arrigo riesce ad avvicinarsi a noi (ha regalato a un graduato americano
la sua penna stilografica d’oro). Mia sorella e il marito sono commossi,
ma si salutano con dignità rivolgendosi belle parole fermi nella
speranza di riunirsi presto e fanno coraggio a tutte le altre, specialmente
a quelle i cui mariti non hanno avuto la possibilità di incontrarle
per il commiato.
Verso Firenze
Le camionette partono e non
riusciamo più a vedere dove sono rimasti gli altri.
È un brutto momento
ma, piano piano, passa! Siamo con due negri (disarmati) per camionetta
- in tutto quattro mezzi carichi di ausiliarie (in tutto siamo una ottantina).
Stiamo correndo come matti. Quando siamo vicini ad Empoli sono rimaste
vicine solo due camionette: una passa di corsa tornando indietro. Cosa
sarà successo? Presso alcune case chiediamo da bere; ci portano
acqua ed una donna viene con un fiasco di vino. Non facciamo in tempo a
bere che arriva un partigiano che spiega chi siamo. Così non tutte
riescono a bere e si riprende il cammino e tutti cominciano a dirci cattive
parole. Dalle finestre gridano invettive. Una donna si avvicina al fianco
della camionetta e sferra un pugno sulla spalla d’una ragazza... Lei si
gira e sputa! La teniamo, ci raccomandiamo... non è per vigliaccheria,
ma... guai a reagire, è estremamente pericoloso.
Intanto Mara riceve una sassata
sulla spalla! Per fortuna, i due negri sono abbastanza intelligenti, montano
sulla camionetta e partiamo a tutta velocità! Ci fermiamo ogni tanto
per attendere gli automezzi in ritardo; il sergente pare un po’ preoccupato:
vuole portarci tutte insieme e incolumi a destinazione. Varie fermate.
Quando la gente incomincia a venirci vicino, rimettono in moto e via! Come
matti! È un miracolo se non capottiamo.
Comincia ad imbrunire e corriamo
fino alle porte di Firenze. Poi, bruscamente, si torna indietro - si vola
- siamo sballottate da tutte le parti finché arriviamo a Scandicci
e veniamo a sapere cosa è successo. Poco prima una camionetta si
è fermata e due ragazze sono scappate. Altre due cercano di imitarle,
ma sono riprese.
L’automezzo è fermo
in mezzo a gente ostile... insulti, botte, parolacce. Brutti momenti. È
quasi notte; tolgono tutto il bagaglio che dovrà essere ispezionato.
Non possiamo né mangiare né lavarci.
Scandicci
Lager n. 3, diretto da tedeschi;
oltre a loro ci sono anche delle italiane di Novara, di Vercelli... È
tardi quando andiamo a dormire, siamo sporche come bestie. Tanta stanchezza.
Letti a castello con tavolette al posto dei materassi e due copertine militari.
I castelli sono a tre piani; io sono a pianterreno e Nannì, dalla
parte di là, è al secondo. È la sera del 17 maggio.
Da Torino siamo usciti il
27 aprile.
Sono passati venti giorni.
18 maggio - Campo femminile
di prigionia a Scandicci (Firenze). Ci assestiamo - sveglia presto - per
il bagaglio (noi due abbiamo, oltre ai due sacchi alpini, una valigetta
che mi serve, con sopra ripiegato il vecchio impermeabile, da guanciale).
Non c’è acqua per lavarsi. Ci si sente avvilite, dopo tanti giorni,
per non esserci potute spogliare, a viaggiare giorno e notte su automezzi
scoperti, ricoperte dalla polvere, assetate, affamate, spettinate.
Ci hanno dato la gavetta e
un cucchiaio da tenere attaccato ad un chiodo infisso nel legno del castello...Hanno
detto che dovremo tenerli sempre puliti. Han detto che non si può
avanzare roba da mangiare (ma quanta ce ne daranno?).
Al pomeriggio ci portano,
in fila per cinque, alla visita dei bagagli. Uscendo, incrociamo una fila
di prigionieri... Uno mi chiama: “Signorina Mattiozzi!’’... Riesco appena
a vederlo per un attimo. Che sorpresa, che impressione sentirsi chiamare
per nome in un termitaio!.... Lui mi dice ancora: “Sono Daddi, Cesare Daddi,
Cesarino!’’. Lo riconosco: è un giovane ufficiale di Portoferrario,
figlio dell’orefice che ha negozio in piazza Cavour. Ci salutiamo appena
da lontano... e via! Visita al bagaglio. Si prendono, dando ricevuta, denari
e preziosi nonché, a chi ce l’ha, scatolette e viveri di ogni genere.
Poi... generalità, notizie varie. Ci dicono inoltre che, siccome
qualche ragazza non si è comportata bene, (come quelle che sono
scappate) non ci consegneranno, per punizione, il bagaglio domani. Subito
a dormire. Buio e silenzio. In realtà è un litigare continuo.
Ci sono diversi elementi indesiderabili, che sono rimasti mischiati tra
le ausiliarie, che creano confusione e indisciplina! La Comandante non
riesce a ottenere nulla di buono... Il male è che le conseguenze
le subirà lei e tutte noi. È una pena! Non riusciamo ancora
a lavarci. Siamo indecenti, sporche, abbrutite, con le mani nere. La Luciana
Seimandi sta male. Ha 42 di febbre.
Vita da PoW
19 maggio - Finalmente possiamo
lavarci.
È festa grossa. Abbiamo,
finalmente i nostri bagagli e possiamo cambiarci. Viene il Maggiore americano
a visitarci. In uno stentato italiano ci parla, con disprezzo: se non ci
comporteremo bene, ci manderà in Africa!
20 maggio - Sono volontaria
al servizio “pesante’’ per l’acqua. Portiamo decine e decine di bidoni
alla cucina. Fa caldo. Ma non sono stanca. Per rancio una pappetta dolciastra...
niente pane... a chi lo vuole, per bere una gavetta di... caffé
lungo lungo, fatto all’americana, a bollore, senza zucchero. Dopo mangiato,
altro servizio ai bidoni per l’acqua... non si finisce mai. Ma non tutte
lo fanno (io cerco di risparmiare mia sorella che non è troppo in
gamba); sono stanca e sudata; solo a sera mi riesce lavarmi.
Appena pronte, via a fare
i bagagli, si cambia camerata. Ci assestiamo. Noi, provenienti da Torino,
siamo tutte e tre assieme con la Comandante Adele De Rossi nella camerata
Torino n. 10. Chissà come starà la Seimandi? Non riusciamo
a sapere nulla. È ancora in infermeria, si dice.
21 maggio - Grandi pulizie
nel nuovo alloggio. Oggi dovevamo restare senza mangiare - per punizione
- fino a sera. Ma ci è stata condonata perché abbiamo lavorato
bene ed allora, colazione a base di caffè e latte e ben dieci gallettine
e marmellata d’arancia! A mezzogiorno, miscuglio di patate, piselli e carne
in umido (deve essere roba in scatola riscaldata) ma è buono. Eppoi,
con la fame arretrata che avevamo!!
Nannì si sta facendo
un vestito con una camicia grigio-verde da soldato. Sono di ramazza in
camerata. Alla sera, nello stanzone dove sono i rubinetti, riusciamo a
lavare, finalmente, la roba sporca che abbiamo.
22 maggio - Ho dormito bene
- sodo - mi alzo presto, mi lavo per bene e poi metto i panni ad asciugare.
Grandi pulizie. Viene a visitare il campo un colonnello americano. Ieri
il solito maggiore ci ha parlato con la solita durezza. Pare abbia trovato
dei fazzoletti di carta per terra, tra due fabbricati (di là le
tedesche, di qua noi italiane); oltre il marciapiede che corre tutto intorno,
c’è il grande cortile aperto, tutto cosparso di sabbia, che deve
essere tenuto perfettamente pulito... Guai se qualcuna butta in terra anche
un fiammifero spento!!! Se ci comportiamo bene, tutto andrà liscio,
altrimenti... (minacciando in continuazione di mandarci a lavorare... in
Africa).
La Comandante delle ausiliarie
qui è la signora Ciuffini. Lei ed altre Ufficiali (sono in tutto
cinque o sei) hanno una camera da sole e... non le vediamo molto spesso.
La nostra camerata “Torino’’, invece, ha la tenente De Rossi che dorme
qui in un castello con noi. La mattina presto, prima che arrivino in massa
le altre (che, ai lavandini nello stanzone, fanno generalmente una gran
confusione; le solite che si rincorrono, magari nude - buttandosi acqua
addosso, ecc.) andiamo a lavarci. Io chiamo la De Rossi e resto fuori,
in attesa che abbia fatto i suoi comodi. Poi lei mi ricambia. È
una persona molto seria, sa stare al suo posto: io e Nannì le siamo
amiche. Siamo anche più anziane di lei.
Tra le ragazze ce n’è
una parte che prestavano servizi vari, specialmente nelle mense (non le
ausiliarie che hanno fatto il corso a Venezia e che, poi, sono state aggregate
anche a reparti combattenti: ragazze per bene); queste formano un gruppo
a parte, sono indisciplinate e lasciano molto a desiderare in tutto.
23, 24, 25 maggio - La solita
vita. Ci hanno fatto scrivere una cartolina alla Croce Rossa Internazionale,
a Ginevra, per poter dare notizie alle famiglie.
26 maggio - Piove a catinelle.
Lettera alle famiglie, 18 righe (!). Laviamo le gavette con l’acqua delle
grondaie. Finisco le scarpine (di panno bianco e rosa) per una gestante.
Davanti a noi, dietro il reticolato di rete da pollaio, c’è un campo
sterminato di prigionieri. Circola stasera la voce che siano arrivati i
nostri da Coltano.
Prima di addormentarci c’è
un grande bisticcio: ignoranza, incomprensioni... sono però sempre
le solite!! Hanno una fila di castelli in fondo allo stanzone,.... All’ingresso
c’è un cartello “via Calandra’’ (corrisponde alla omonima strada
di Torino... nota per essere abitata da donne poco per bene). Finiranno
per mettere in cattiva luce tutte noi.
27 maggio - Oggi, mentre stavamo
andando fuori per recarci in fila alle docce, abbiamo visto il colonnello
Mombelli, nel campo davanti. È della fanteria e l’abbiamo conosciuto
a Torino. Ci ha guardato trasecolato... Mi sono girata mostrandogli il
didietro della tuta blu (che ci hanno dato qui in campo) dov’è stampato
in bianco, a grandi lettere il P.W. dei prigionieri di guerra. È
un mese esatto che sono cominciate le nostre peripezie.
Domenica colazione abbondante,
ma i pasti lasciano a desiderare, senza pane... I soliti comportamenti...
così noi abbiamo sempre fame. Finisco un bavaglino per la solita
gestante e sono di cattivo umore. Sembra che, nel campo di fronte, siano
arrivati i nostri ma che manchino gli ufficiali superiori.
Mombelli ha mandato a salutare
Nannì e chiede notizie. Ci hanno dato da scrivere ai parenti. Abbiamo
scritto... quello che potevamo dire... a Elba, a Ida, a Romolo e, qui a
Firenze, al cugino Vico Daneo.
Quando sapremo qualcosa? Chi
ci risponderà? Che ne sarà stato di Gigetta?
I giorni passano... mi sento
come di legno... non riesco a pensare più a nulla. È fede
o incoscienza?
28 maggio - La solita vita.
Nulla di nuovo.
29 maggio - Ci fanno le iniezioni
immunizzanti (una per braccio) ed il vaccino. A sera molte hanno la febbre
alta. Delirio e crisi isteriche. È un manicomio!
Chissà cosa ci hanno
iniettato? Nannì per ora sta bene. Ha solo un po’ di temperatura.
Anch’io sono in gamba. Aiutiamo le malate e cerchiamo di calmare l’ambiente.
Ci prodighiamo - con la Comandante - fino a notte alta. Le ragazze sono
quasi tutte fuori combattimento. Una brava e seria ausiliaria ha una brutta
e strana crisi: parla a voce alta e racconta cose sue personali. Smania
ed è una pena. Io quasi mi vergogno a dirlo... mi sento “fiera’’
d’essere, malgrado l’età (ho quasi 43 anni) sempre a posto, sia
fisicamente che moralmente... La Cesara dei tempi migliori!
30 maggio - Siamo tutte un
po’ scombussolate per la brutta notte passata, ma faccio ugualmente il
servizio in camerata e fuori a portare i soliti bidoni d’acqua.
31 maggio - Solito tran-tran.
Al pomeriggio vado volontaria al trasporto della sabbia per il cortile.
A sera sono stanca ma è bene, è meglio non restare inoperose.
Nannì ha avuto notizie: pare certo che Arrigo sia qui, al campo
vicino.
1 giugno - Poche le novità.
La Comandante era indisposta (soffre di fegato e qui non c’è nulla
da somministrarle per farla star bene), stasera sta meglio.
Baruffe in camerata, cioè
in... via Calandra.
2 giugno - Scritto lettera
a Elba. Arriverà? Sarà viva? Quando avremo notizie? Ho tanta
paura!
Ci prendono le impronte digitali,
Nannì dice: “bisogna che stiano attenti! (Nota del 1946: quando,
nel novembre, ci liberarono dalla prigionia mia sorella mi fece vedere
una bella matita rosso-blu che prese dal tavolo con una mano mentre le
prendevano le impronte sull’altra!!!)
3 giugno - Nannì si
sente poco bene; ha la febbre e teme d’essere mandata in ospedale. Si alza
presto e vuole reagire. C’è il cappellano della divisione “Italia’’.
Viene a dire la Messa. Ci mettiamo in divisa e cantiamo. Lo spirito è
alto.
4 giugno - Nannì va
a farsi visitare in infermeria, la trattengono in osservazione; sento un
po’ di tristezza, vedendo il suo posto vuoto, nel castello a destra. Sto
un po’ in compagnia con quella che abita su, al terzo piano del mio castello.
È una povera donna che ho sempre aiutato come ho potuto, specialmente
quando avevo parecchie sigarette datemi da Arrigo (a Coltano, prima di
lasciarci, lui sapeva che ero una fumatrice accanita e divise con me la
sua scorta di “Nazionali’’). Lei soffriva molto non potendo fumare; in
principio gli americani ci davano il tabacco nei sacchettini e le cartine,
poi smisero e così, ogni qualvolta accendevo una nazionale per me,
ne porgevo una anche a lei. Ci aveva raccontato le sue disgrazie. Risiedeva
vicino a Milano e nel bombardamento di Gorla, nella scuola colpita in pieno
dove morirono tutti quei bambini, lei ne aveva perduti tre!
Le ragazze ora hanno incominciato
a fare una specie di spiritismo. Chiedo anch’io di avere notizie dei miei.
Mi dicono che hanno evocato, e risponde, Emilio Bandiera, l’eroe del Risorgimento.
Michele è morto; Romolo è vivo ma non sta bene... Saranno
delle sciocchezze...? Degli altri non si sa nulla... Anche Elba è
viva.
5 giugno - Nannì non
sta ancora bene. Nel pomeriggio torna la febbre. È inquieta perché
teme sempre di essere mandata fuori in ospedale e restare separata da me.
Tanta tristezza e poco da
mangiare. La signorina De Rossi desta scalpore in camerata... si veste
con un abitino borghese... un figurino!! Lei è rimasta, fino ad
ora, sempre in divisa. Dopo aver scherzato un po’ con tutte, per tenerci
allegre... si rimette la sua uniforme da ausiliaria con i gradi.
In cucina hanno cambiato i
cuochi, tutti tedeschi. Le solite ragazzacce si comportano male, da sgualdrine...
fanno segni e lanciano biglietti ai prigionieri di fronte e li fanno punire.
Quelle non sono rese inoffensive come noi vorremmo!! La Comandante Ciuffini
sta poco bene: hanno messo al suo posto Ginevra Orrù (sarda) che
le ragazze chiamano “Ginevrona’’; la vediamo di rado... non si interessa
di tante cose come dovrebbe... nella camerata abbiamo deciso di far cessare
lo scandalo... siamo tante... se non la smettono, sono botte...
6 giugno - Nannì sempre
in infermeria con un po’ di febbre... nulla di eccezionale. Vado a trovarla
quando mi fanno passare; sto facendo un po’ di esercizio di francese, leggendo
un libro, che traduciamo assieme ad Adriana Gatti e ad Odette (una francese
che ha sposato un italiano). Facciamo anche un poco di conversazione in
questa lingua.
7 giugno - Nannì sta
meglio. Questo periodo in infermeria le è servito a rimettersi un
po’ dalla fame, dato che là il rancio è diverso.
Grandi pulizie in camerata.
Ci danno in abbondanza del sapone e noi, dopo aver lavato in terra con
uno straccio ben insaponato, ci mettiamo in una decina, con pezzi di coperta
di lana sotto le scarpe; una dietro all’altra con le mani sulle spalle,
facciamo il serpe strusciando i piedi accompagnandoci con il canto di “Rosamunda’’
(è lo stesso con il quale andiamo sempre, in fila, gavetta alla
mano, a prendere il rancio nel cortile). Il nostro stanzone pare passato
a cera!! Sono di servizio - fa caldo - mangiamo male, la cucina non va.
Hanno dato il pane; sembra
gomma.
I tedeschi cucinano alla loro
maniera. Sarebbe forse un buon minestrone, ma... al momento di portare
il bidone in mezzo al cortile per la distribuzione ci buttano dentro una
bottiglia di aceto e diventa tutto agro... Loro fanno così i crauti.
Il sergente americano (famiglia di origine meridionale) sarebbe un bel
giovane, ma è malvagio, ingiusto e avrebbe voluto diventare una
specie di pascià in un harem di prigioniere... (ma quelle che lui
adocchia l’hanno sempre tenuto alla larga). Ne sa qualcosa la bella e giovane
Italia Longo che è continuamente perseguitata e, si dice, tenuta
in una stanza adibita a prigione con la scusa di mancanze immaginarie e
che la abbia anche picchiata... ma non è riuscito a farsi... benvolere.
Ora se la prende con tutte. Fioccano le punizioni. Vuole che tutte tolgano
la divisa, i gladi, i gradi ed ogni distintivo che possa apparire “un simbolo
fascista’’.
Grandi discussioni. Ora, alla
notte, faccio la guardia. Ci alterniamo perché è successo
un fatto disgustoso. Il Lager non ha porte. C’è una apertura grande
dalla quale si esce in cortile e - laggiù in fondo - il cancello
con la sentinella (oltre quelle in alto sulle torri di controllo del campo
con le sentinelle, pure armate). La notte, mentre dormivamo, ci siamo svegliate
per un forte trasmetìo e voci concitate. Era successo, poco distante
da me che una ragazza si era trovata con un americano salito sul castello...
Le altre stavano con questo ufficiale in mezzo e lo spingevano verso l’uscita
dicendo... male parole. Fu buttato fuori.... dal fiato avevano capito che
era ubriaco! Ma non fu molto malmenato come meritava!!
Non molto lontano da noi,
in fondo alla.... (chiamiamola pure...) strada, c’è la palazzina
del comando e, alla sera, spesso sentiamo musica e vediamo uscire dalla
nostra cucina enormi teglie colme di polli arrosto.... Di giorno, vengono
spesso sotto le due finestre laterali (che danno sulla strada) americani,
perlopiù negri, con bambini per mano, a mostrar loro le prigioniere
che, naturalmente, si mettono a far boccacce ai curiosi. Qualche volta
si è vista passare anche qualche “segnorina’’ in .... visita al
Comando, che veniva a vedere le “belve prigioniere’’.
10 giugno, domenica - Messa
al campo. Parliamo con il cappellano. È della divisione “Italia’’.
Ci porta della roba dei soldati da accomodare: calzini, indumenti sdruciti...
La riprenderà domenica prossima. Così cerchiamo di renderci
maggiormente utili e facciamo amicizia con qualcuno. Mombelli ci ha mandato
i suoi saluti. Dopo la Messa mi metto in “borghese’’: ho tirato fuori dalla
valigia il mio vestito a giacca grigio; camicetta bianca e scarpe verdi
di seta gros-grain con le suole di legno snodate... Faccio furore... Corrono
tutte a guardarmi come una bestia rara.
11 giugno - Mangiamo un pochino
meglio. Nannì sta bene.
12 giugno - Faccio dei fiori
sulla borsa di Linda. Poi, dalla poesia, passo alla prosa. Vado volontaria
ai lavori pesanti! Pulizie speciali ai gabinetti e lavandini.
Per questi lavori extra mi
daranno, come al solito, la merenda: una fetta di pane, marmellata e sopra
un’altra fetta. Io incarto tutto con la carta igienica (ce ne danno tanta
e ci facciamo di tutto!), la metto sotto l’impermeabile che mi fa da cuscino
sul castello... poi avverto Nannì che se la vada a prendere. Così
mangia qualcosa in più, che ne ha tanto bisogno!
Stanotte ci sono state avventure...
Ho sentito urlare nella camerata 8 che è vicina... c’era la Norma
che aveva paura degli spiriti. Si vede che avrà fatto un sognaccio.
L’abbiamo calmata: era spaventata e non voleva essere lasciata sola...
È stata accomodata assieme ad una amica.
12 - 20 giugno - La solita
vita. Tolto qualche episodio movimentato fra le ragazze.... i bisticci....
i pettegolezzi... e il fango che affiora. Una sera mi scontro con la Lesca.
Le dico la mia “opinione’’: “Abbiamo ragione di credere che sia lei ad
aizzare le ragazze del n. 9 contro noi del 10 prendendo di mira, principalmente,
la nostra Comandante. Questa è bassezza morale!’’.
21 giugno - Distribuiscono
due frittelle e un’arancia a testa. Avremmo proprio bisogno di un po’ di
vitamine... Io ho le gambe con certi peli lunghi che sembro una scimmia!
Andiamo alla porta d’ingresso per salutare i “nostri’’ di fronte. Ma loro
non ci sono.
Bisticci in camerata
22 giugno - In cortile, serata
di varietà delle tedesche. Siamo invitate. Carino.
23 giugno - Nella nostra camerata
c’è un certo movimento... Alcune ragazze se la sono presa con noi.
Non si sa bene perché. Discorsi ambigui, pettegolezzi. Ho sentito,
a volo, dire che Nannì fa la spia alla Comandante (lei non era presente).
Non ho potuto trattenermi e sono scesa dal... mio castello (ero seduta
al terzo piano a conversare con la Pedruzzi). Presente la tenente De Rossi
ho chiesto spiegazioni a chi aveva proferito la frase ingiusta.
Quella sciocchina di Isabella
ha confermato, puntualizzando che l’avevano detto in “via Calandra’’. Allora
sono andata laggiù da quelle ragazze a dire le mie ragioni. La signorina
De Rossi mi è corsa dietro assieme a Nannì che era arrivata
nel frattempo, ignara di tutto. Quelle ribadiscono “le voci’’; ad un certo
punto ho mollato una sventola in faccia alla più accanita!
Nessuna ha reagito ed io ho
potuto precisare che mi dispiaceva d’aver trasceso, però loro erano
ingiuste e non dovevano dare corpo a certe malignità messe in giro
da chi cercava di creare discordia tra noi. Ho detto: “Dobbiamo restare
unite per trascorrere il tempo che dobbiamo passare qui nel migliore dei
modi, da donne civili. Se non ritenete possibile diventare amiche, almeno
comportatevi da non nemiche’’. Tutto tornò calmo. Strinsi la mano
a quella che avevo schiaffeggiato e lei accettò la mia stretta di
mano. La De Rossi e Nannì, che stavano poco discoste, tirarono un
respiro di sollievo (mi dissero poi che avevano temuto di vedermi sbranare...
nella tana dei leoni). Io non posso ingoiare le ingiustizie e ne abbiamo
subite tante!! Credevo di avere qualche punizione, ma tutto è finito
così. Si vede che la De Rossi ha pensato che era meglio non fare
rapporto sull’accaduto.
Una festa
24 giugno (san Giovanni) -
Viene preparato qualcosa per la festa della Comandante De Rossi. Io e Tina,
con una lattina tagliata a strisce, a spirale, carta igienica tinta con
la matita rosso-blu, prepariamo un mazzo di fiori avveniristici. C’è
qualcuno che compone una poesia per accompagnare l’omaggio... di un parapioggia
(chissà chi l’ha pescato nel suo bagaglio, in mancanza di meglio?!).
Io preparo una specie di pergamena... miniata.
Il rotolo è legato
con una striscia gialla di stoffa da paracadute (questi erano in dotazione
alle FF.AA della RSI e molte ragazze ne avevano grandi pezzi. Le tedesche,
invece, li avevano rossi e servivano per confezionare reggiseno e mutandine).
Il suggello, alla maniera
antica, era fatto con mollica di pane e rossetto per labbra. Sopra incido
un “castello a tre piani’’. Lina Cirotti, vestita da bimba - fiocco in
testa, scarpe a “tronchetto’’ (dove le avrà mai pescate?) - con
voce in falsetto presenta tutto e legge la poesia, preceduta da squilli
di tromba, fatti con la bocca. Ci divertiamo un mondo!!! Che simpatica
“cerimonia’’! La signorina De Rossi, seduta su, sopra il castello, sta
al gioco anche lei, ma si vede che è un po’ commossa.
Le ragazze di un’altra camerata,
guidate da una prigioniera volontaria della Decima Mas, soprannominata
“Pippo’’, non hanno soldi. Fanno il giro delle altre camerate; si fermano
a cantare, ballare e bussare a denari. Fanno parecchio, specie nel gruppo
Torino. Urla di gioia quando Nannì, per noi due, offre cento lire!
In onore di san Giovanni la sera ci si veste tutte con quanto di meglio
abbiamo. Si balla sul piazzaletto della fontanella esterna. Io, che ho
messo i pantaloni, faccio... da cavaliere. Trovo una ragazza che balla
bene e facciamo spettacolo! (come “musica’’ abbiamo il “mugolato’’, scandito
sui bidoni dell’acqua e sulle gavette percosse dai cucchiai).
È uno spasso.
Battaglia con le partigiane
25 giugno - 12 luglio - C’è
molto nervosismo per aria. Siamo sempre sotto tiro per malignità
varie... Cerchiamo di ingoiare tutto, con pazienza; il reparto a sinistra,
al solito, sta cercando rogna. Chissà come andrà a finire?
Ormai ci hanno promesso le botte... all’uscita. Perché mai? Non
si sa! Bisogna non curarsene, ma ci vuole molta, troppa pazienza. Dobbiamo
ricordarci in ogni momento di essere persone civili ed educate.... (non
vorrei che, qualche volta, mi scappasse la... Mattiozzina!). È sempre
la solita vita, talora un po’ movimentata con le “adunate’’ in seguito
a mancanze delle ragazze. Qualcuna va anche in prigione. È avvenuto
un... incidente nella camerata vicina. Presso di loro c’è una stanza
con alcune partigiane jugoslave (imprudentemente e chissà per quale
ragione finite qui assieme ad ausiliarie della Repubblica Sociale Italiana).
Le “titine’’ stavano ricamando
una stella rossa su una bandiera jugoslava. Le nostre hanno protestato,
ingiungendo loro di smettere e di togliere di mezzo quella bandiera. Quelle,
che forse lo facevano apposta per provocare, hanno reagito e ne è
venuta fuori una baruffa..
Piano piano, nelle camerate
a noi vicine, la baruffa è diventata generale. Non ci sono porte
tra le stanze che sono divise solo da un grande arco. Ho visto, dal mio
castello, volare le tavolette che fanno da materasso ai nostri giacigli...
Passavano al volo attraverso la stanza, come i bidoni della spazzatura
di cui sono dotate le camerate. Ecco che il sergente americano vuole sapere
chi sono coloro che hanno pestato le jugoslave...
Siamo state punite tutte.
Nessuno ha parlato e siamo solidali con le nostre.
Ogni tanto risuona il segnale
dell’adunata in cortile e tutte dobbiamo correre, in fila per cinque. Solita
richiesta: “Chi è stato?’’ e solito mutismo. Nessuna risposta.
Così, per punizione,
digiuno tutto il giorno e così sarà finché non parleremo.
Le tedesche sono state ammirevoli. In tante sono venute con le loro gavette
piene di minestra ma noi abbiamo ringraziato e rifiutato (anche il pane).
Dobbiamo digiunare per non creare noie anche a loro. Per tre giorni ancora
siamo state senza mangiare... o sdraiate sui castelli o a fare il giro
delle camerate per mantenerci calme ed unite; abbiamo, per lo più,
cantato per ingannare lo stomaco! La notte ci alterniamo per fare i turni
di guardia... non si sa mai! Veniamo a sapere che le partigiane slave sono
state messe in una stanza lontana assieme alle “internazionali’’.
L’ochetta del campo
Qui si lavora molto.... La
sera quasi tutte sui nostri castelli ci dedichiamo prevalentemente a lavori
di maglia. Abbiamo avuto diverse coperte di lana grigia. Ogni due centimetri
di coperta la si strappa per il lungo. Il filo di lana, via via, viene
appallottolato mentre il resto forma come un “lanicchio’’ che poi viene
impiegato in diversi usi, specialmente per fare indumenti e cuscini. Tante
ragazze sono arrivate qui con la testa rapata, un solo paio di mutandine,
pantaloncini, giacca di tela blu e niente altro. Ora si cerca di fornir
loro un po’ di guardaroba. Abbiamo trovato del fil di ferro adatto e tagliato
- appuntito - e abbiamo fatto dei ferri da calza. Molte ragazze si stanno
confezionando dei golf, oppure, con coperte più leggere, anche gonne.
Io e Nannì abbiamo
delle scarpe comperate a Novara. Moda di guerra: seta gros-grain in nastro
pesante alto circa due dita cucite in modo da formare tomaia, e suola di
legno, snodata in centro in maniera da poter fare il passo. Qui stanno
copiandole; soltanto sono tutte di coperta americana (la suola è
di parecchi strati cuciti insieme). Io faccio, con la stoffa gialla dei
paracadute, le ochette. Cioè è nata “L’OCHETTA DA CAMPO CHE
VA A FARE LA SPESA’’.
La riempio con il lanicchio
delle coperte disfatte. Il becco e le zampe (giallo scure) sono di panno
Lenci (ne ho qualche pezzo portato nel bagaglio da Torino); le metto in
testa un fazzolettino di stoffa, annodato sotto il mento e l’ala - staccata
- è cucita solo sulla spalla. Così, sotto l’ala, metto l’ombrello
e la borsa della spesa! Tutte vogliono l’ochetta per ricordo e così
ne fabbrico tante. Tutte mi danno qualcosa; tante mi ricambiano con pezzi
di stoffa... ed allora vengono fuori anche le cinture di stoffa pesante
grezza guarnite di fiori in panno Lenci.
Quando partono le tedesche
chiedono chi vuol andare a fare le pulizie nei locali lasciati da loro.
Io vado e così trovo un bel pettine, un grosso lapis rosso e blu...
carta e tanta tanta robetta che mi serve. Ho altre matite colorate. Tutte
vorrebbero qualcosa per ricordo del campo; mi sto dando da fare e così
passo anche il tempo e mi diverto. Ci siamo fatte amiche anche della Comandante
Ciuffini (romana) che ogni tanto è seguita dalla ausiliaria che
le fa da attendente. Le hanno detto che nella camerata “Torino’’ ci sono
la moglie del maggiore Mazzantini con la sorella ed ha voluto così
conoscerci. Stiamo, sovente, insieme a lei, unitamente a due signore di
Venezia - anche loro, come lei, Ufficiali delle Ausiliarie. Naturalmente
pure per queste c’è la mia OCHETTA DEL CAMPO che è diventata
una specie di portafortuna da portare a casa.
Diversivi
Ci viene anche l’idea di organizzare,
come le tedesche, uno spettacolo di varietà. Si studia, si pensa.
La nostra camerata “Torino’’ presenterà la sfilata della “Moda del
Campo di Concentramento’’. Le ragazzine, dette le “Tripoline’’ (giovanette
di 15, 16 anni, figlie di italiani in Libia, venute in Italia a fare un
campeggio della G.I.L. e rimaste poi bloccate, finite qui con noi) faranno
una fantasia araba. Otteniamo il permesso. Viene costruito, in fondo al
cortile, un palco di tavoloni, allo spettacolo viene invitato anche il
Comandante americano.
La “MODA’’ presentata al defilé
è tutta a base di stoffa di paracadute... molta carta igienica...
coperte militari varie.
Dalla mattina, la ragazza
che va alle docce, fino alla... passeggiata serale con... paltò
di coperta con basco, idem con cane al guinzaglio (fatto di coperta gialla,
imbottito di cascami delle coperte disfatte). Abbiamo fatto diversi “quadri’’
e Nannì se ne è particolarmente interessata (da regista).
Io ho fatto un po’ di tutto. Erano invitate le tedesche ancora presenti
al campo e tutti si sono divertiti.
Certo che, rispetto alle vere
sfilate di moda di Torino, la nostra lasciava un po’ a desiderare e la
differenza si vedeva. Ma abbiamo passato il tempo allegramente e per una
qualche ora ci siamo quasi dimenticate della nostra condizione di prigioniere
di guerra.
Comincia a fare caldo e cerchiamo
di passare il tempo in qualche modo. Ora giochiamo a palla a volo. Mettiamo
una fune ad una certa altezza nel cortile. Abbiamo fatto una palla con
gli stracci... Tanto per cominciare, ci rimetto subito una camicetta (una
avversaria, per togliermi la palla, mi dà uno strattone e la camicetta
si spacca in due!). Nannì, per il caldo, mi fa una striscia di stoffa
bianca, come un bustino, con bretelle gialle. Ho i pantaloni con il P.W.
dietro. Deve essere uno spettacolo! Mi dicono: Mattiozzi, ti sei fatta
il reggi-costole? Sono tanto magra che, quasi tutte, mi chiamano “Gandhi’’.
Alla sera passeggiamo nel
cortile per prendere un po’ di fresco: qualche volta cantiamo la nostra
canzone... la canzone del prigioniero: “Patria, le tue stelle mi fanno
piangere tanto il cuor... di dolcezza, di nostalgia, d’amor... Patria,
ma tu mi saprai ritrovar... sola, quaggiù, come posso restar...’’.
Una sera, qualcuno, fuori,
ha una radio che trasmette l’opera “La Tosca’’. Ce la sentiamo tutta, a
sedere sul marciapiede con le Comandanti. È una specie di salotto
della contessa Maffei sotto le stelle... A volte cantiamo anche “Chi ti
potrà scordare, piemontesina bella... tu sei la viva stella che
brillerà nel cuor... Ricordi quelle sere, passate al Valentino col
biondo studentino che ti stringeva sul cuor...’’.
La lunga estate
Fine luglio - primo agosto
- Siamo ritornate al lager n. 5 dove ci avevano messo nei primi giorni
del nostro arrivo qui, vicino all’uscita. Davanti alle finestre ci sono
quelle dell’ospedale con i nostri. Molte stanno sempre affacciate.
Stringono amicizie; qualcuna
di loro esagera e nascono complicazioni. Dapprima ci sono avvertimenti
di non stare alle finestre; poi fioccano le punizioni che toccano un po’
tutte. Stiamo vivendo in un ambiente nervoso e le grane non mancano. Diverse
ragazze si sentono male, quasi la maggioranza soffre di fegato: da tempo,
ormai, il vitto è scarso e di pessima qualità, nocivo. Eppoi,
tutto quel caffé amaro che si beve influisce di certo sui nervi...
la notte non si dorme, anche a causa del caldo!
È venuta la signora
Amelia, mamma di Arrigo, con le figlie. Hanno chiamato di là dal
muro dell’orto di un contadino. Dal muro, che è alto, si vede la
sommità di alcuni alberi da frutto. Sopra il muro c’è il
solito filo spinato arrotolato. Quasi a terra c’è un buco e Nannì
con la suocera si sono intravviste ed hanno parlato un po’ tra loro. Emozione
per noi e per tutte le altre che ci stavano intorno. Oltre quelle di Arrigo,
abbiamo avuto notizie dei nostri fratelli: Michele è stato ferito
in un bombardamento mentre andava in moto a Voghera (dov’è sfollata
l’ILVA), sta per lasciare l’ospedale; Romolo è a Genova, alla Sede.
Le Mazzantini hanno promesso che torneranno dopo che saranno state da Arrigo,
a Coltano. Verranno ancora a trovarci?
Quando?
Nannì è molto
magra, esaurita; le danno un supplemento di vitto. Io ho sofferto un po’
di stomaco - ora è passato. Lavoro, faccio le solite ochette, ricamini,
ventagli (rotondi, ovali) ricavati dalle scatole di cartone dei viveri;
li guarnisco con disegni colorati e ci applico delle retine di filo di
ferro sottile. Mi riesce ricavarne qualche pezzo per fermare il manico
dei ventagli. Tutto è buono, tutto serve! Ogni tanto arriva qualche
soldato tedesco per qualche riparazione... Non fa in tempo a posare in
terra la cassetta con gli arnesi che non trova più nulla: qualcuna
di noi li prende al volo (in prestito) e ci facciamo da noi vari lavoretti.
Io mi sono costruita anche uno sgabelletto che tengo vicino al castello;
mi fa da comodino. I tedeschi non se la prendono a male. Sanno che abbiamo
bisogno di tante cose e chiudono un occhio! Così io mi arrangio
anche per avere qualcosa in cambio dei lavoretti che mi chiedono: un po’
di pane, qualche pastello, filo e tabacco (da chi non fuma). Prendo lezioni
di stenografia dalla Comandante.
Dai primi di agosto al 18
settembre - Per tutto il mese di agosto, al Lager n. 5 siamo state male.
Abbiamo mangiato poco. Il sergente americano Gregorio Grillone - sarto
a New York, famiglia di origine meridionale - è cattivo, volgare.
Ci ha fatto penare per quattro mesi! Il primo agosto arriva un gruppo di
ausiliarie da Modena. Partono una sessantina di civili. Crediamo che vadano
a casa e, invece apprendiamo poi che sono finite in prigione a Firenze,
a Santa Verdiana. Avevano quasi tutte delle denunzie. Alcune tra le ragazzine
“tripoline’’ si sono specializzate in “graffiti’’ sui fondi di grossi barattoli
di latta ritagliati. Ci provo anch’io, ma non mi riesce bene ed abbandono
l’idea.
Ma c’è chi sa fare
(sono ancora le “tripoline’’) - utilizzando legno e cartone - dei mobili
e altre cosette in miniatura. Una fa un salottino con poltroncine imbottite,
tavolo, ecc. Così ci mettiamo insieme e produciamo qualcosa. Da
qualche giorno incominciamo a vedere gente; abbiamo potuto anche comperare
un po’ di frutta.
Casellina
Un giorno viene l’ordine di
trasferimento.
Ci prepariamo, portano via
anche i castelli. Firmiamo tutte il posto che occupiamo. Fuori ci sono
pronti i mezzi... Facciamo grande toilette e cerchiamo di fare buona figura
nei confronti di chi ci vedrà passare... Io ho una testa di capelli
incolti che sembrano la criniera di un leone. Mi metto in testa un turbante.
Ho i guanti in mano e, quando si sale sul camion, scoperto, ne presto uno
alla mia vicina che lo infila e sta con la mano fuori, appoggiata alla
sponda... Stiamo facendo giochi di bussolotti per sembrare a posto ed eleganti!
Quando gli automezzi si mettono
in moto, dopo aver percorso un paio di stradette, svoltiamo in una strada
larga (via Pisana) e ci infiliamo in un cancello (con nostro vivo disappunto
per la troppo breve gita e l’inutile sfoggio di eleganza).
La gita è durata pochi
minuti.
Prendiamo così possesso
del Campo di Casellina. Siamo circa trecento.
Staremo qui dai primi di settembre
fino al 30 novembre, giorno in cui saremo, finalmente, rilasciate.
Il fabbricato ha stanzoni
con grandi finestre; intorno un cortile con erba molto alta in cui predomina
la menta. Sul retro, un campo, grande, con in fondo un baraccone di legno
(questo serve come luogo di decenza; lunghi fossi scavati in terra e, sopra,
tavolati con fori rotondi a distanza regolare).
Sul finire di una calda estate,
dopo qualche settimana che siamo nel nuovo alloggio, ci vuole del coraggio
ad entrare in quel... locale, frequentato da duemilacinquanta persone!
Nannì ha trovato il modo per... mitigare l’effetto di quelle...
sedute. Passando per il prato, strappa un ciuffo di menta da una pianta
e se la piazza sotto il naso e, trattenendolo, tra le narici e le labbra
a mo’ di baffi, ne aspira l’odore. La imitiamo tutte e in poco tempo sparisce
tutta la menta.
A Casellina abbiamo un graduato
americano molto buono e comprensivo. Il Comando Italiano è rappresentato
dai Carabinieri diretti da un Capitano. Il trattamento si è umanizzato;
tutti sono gentili con noi e qualche volta l’americano porta a casa dai
loro parenti quelle che abitano a Firenze.
Le lascia a casa per un’oretta
e poi passa a riprenderle. Nessuna è mai mancata!
Anche Nannì è
andata più di una volta a casa della signora Amelia per avere notizie
di Arrigo che, nel frattempo, chiuso il campo di Coltano, è stato
trasferito a Laterina, in provincia di Arezzo. Spesso è andata fin
là Elsa, la sorella, a portare generi di conforto (aveva trovato
da fermarsi presso una famiglia prima di tornare a Firenze).
Visite
Anche noi riceviamo visite:
parenti ed amici possono venire a trovarci nel cosiddetto “parlatoio’’.
Abbiamo anche organizzato un rifornimento di frutta e pane (che prendono
al mercato centrale e ci rivendono). Se ne occupa una delle vicecomandanti:
Teresina. L’importo che dobbiamo per la spesa ci viene prelevato da quanto
abbiamo a suo tempo versato al nostro ingresso al campo di Scandicci.
A Casellina, per mangiare
il rancio, abbiamo grandi tavoloni con le panche. Che bello mangiare a
tavola! A questo proposito devo raccontare cosa siamo state capaci di organizzare.
Ho già avuto occasione di accennare, più sopra, all’abilità
delle “tripoline’’ nel costruire mobili in miniatura. Così pensiamo
di fare qualcosa da “allottare’’ per fare un po’ di soldi.
Primo premio della lotteria:
una cucina d’alta montagna con stufa grande a mattonelle, accanto a questa
una panca con due sciatori... Gli sci appoggiati ad un angolo. I due sciatori,
un ragazzo e una ragazza, si scaldano le estremità alla stufa; in
terra sono poggiati gli scarponi slacciati: le figure saranno alte una
decina di centimetri e sono vestite con pantaloni, calzettoni, maglioncino
di lana e, in testa, un berrettone. Gli scarponi li ha fatti una tripolina,
sono un capolavoro di un paio di centimetri!
Io faccio i maglioni. A calza,
uno rosso, uno blu, con un piccolo filo di ferro come ago da maglia. Ci
divertiamo veramente. Costruiamo con grosso cartone una parete e con un
altro il pavimento; la cucina: un cubo rivestito di mattonelle che sembrano
smaltate, con ricami di fiori alla tirolese. Diamo alle figurine la posa
adatta sulla panchetta. Vengono tutte a vedere e acquistano il numero della
lotteria. Non so se per un caso oppure se sia stato fatto apposta, quel
piccolo capolavoro creato dalle prigioniere del campo lo ha vinto il Capitano
dei carabinieri! Ne siamo state molto contente.
Un giorno sono venuti al campo
anche la sua signora e i bambini, per salutarci.
Continuiamo a fare mobilini,
salotti, roba per bambole. Una sera che siamo rimaste a corto di materiale
per i nostri lavori, dal momento che ci avevano portato un bel tavolo grande,
nuovo, con il piano di compensato... ci siamo messe all’opera e in un quarto
d’ora lo abbiamo fatto sparire... squartato - a pezzi - e li abbiamo nascosti
sotto i castelli. Al posto di quel tavolo nuovo ne abbiamo piazzato uno
vecchio. Con tutto il materiale che ne abbiamo ricavato, possiamo, in tutta
tranquillità, costruire tante cosette!
I guai invece sono venuti
quando hanno voluto che rendessimo conto delle coperte che avevamo ricevuto
in dotazione. Tanto le coperte, quanto i teli da tende mimetizzati si sono
quasi tutti trasformati in tanti indumenti, anche intimi! Ad una certa
ora, tutte dobbiamo portare le coperte nella stanza in cima alle scale...
Nessuna di noi si è presentata. Piovono pesanti minacce! Si devono
rendere le coperte, ad ogni costo! Riusciamo a metterne insieme un numero
molto esiguo tutte intere (come vogliono che le rendiamo). Ce ne sono tante
che a furia di togliere strisce, sono diventate... quadrate; altre, alleggerite
dal lato lungo, sono delle misere... fasce. La Comandante spiega all’americano
che le ragazze sono state costrette ad arrangiarsi quando faceva freddo
per potersi mettere addosso qualcosa; tante non avevano nulla! Così
passa la buriana. Non veniamo punite.
Un giorno ci fanno mettere
in fila, ravviate il meglio possibile. Viene a trovarci Della Costa, Cardinale
di Firenze. Ci ha parlato e ci ha regalato un piccolo rosario; noi abbiamo
fatto omaggio al Prelato di un fondo di barattolo di latta con sopra incisa,
col bulino, la testa di Gesù Cristo. Sono venuti anche alcuni giornalisti
che poi hanno scritto articoli su diversi giornali e così qualcuno
si è occupato finalmente di noi, prigioniere da tempo e dimenticate
da tutti.
* * *
Alla fine il 30 novembre siamo
state messe in libertà. Arrigo, che nel frattempo era stato liberato
dal campo di Laterina, è venuto a... “ricuperarci’’. Siamo andati
in casa Mazzantini a pranzo. Tutta la famiglia era ad aspettarci, riunita
al gran completo. Sono venute anche tante persone amiche a salutarci.
da TRE DIARI DI AUSILIARIE A cura della Associazione Culturale
Servizio Ausiliario Femminile. Edizioni NUOVO
FRONTE.1999.
RICORDI AMARI DI SCANDICCI
Alda Paoletti
- Questa testimonianza è dell'ausiliaria
Alda Paoletti, classe 1927, in servizio in qualità di interprete
presso il Btg. "Montebello", presa prigioniera a Castellazzo
Novarese e -come tutte le ausiliarie che effettuarono il ripiegamento da
Vercelli- condotta prima a Novara e da qui a Scandicci.
In questi giorni in cui si celebra il cinquantenario
della creazione del Servizio Ausiliario Femminile, unico esempio nella
storia d'Italia di donne in grigioverde, militari a tutti gli effetti e
che hanno duramente pagato questo loro servizio alla Patria, ricordo la
sorte di alcune di noi, circa trecento, che, forse più fortunate
delle altre, pagammo non con la vita ma con il campo di concentramento.
Infatti, dopo essere state prese prigioniere dai
partigiani e portate a Novara, il sedici di maggo fummo caricate su camion
americani ed iniziammo un viaggio durato ininterrottamente, senza sosta
neppure per i bisogni fisiologici e bersagliate dalle sassate dei nostri
fratelli italiani, più di 24 ore; verso le tredici del giorno dopo
giungemmo a Coltano, dove però si rifiutarono di accoglierci perché
già sovraccarichi di prigionieri; il viaggio terminò verso
le ore venti a Scandicci, alla caserma dei "Lupi di Toscana"
trasformata nel campo di concentramento denominato U.S.P.W.E. 334.
Furono sette mesi estremamente duri, perché
venimmo sottoposte alla brutalità gratuita del vincitore che sfogava
giornalmente con noi i più bassi istinti di odio di cui l'animo
umano è capace. Era una tortura fisica giornaliera, ma ancora peggior
della tortura fisica era quella morale. Essere prigionieri dietro
il filo spinato è qualcosa che chi non l'ha provato non può
capire.
A questo si aggiungeva la bestialità del
comandante del nostro lager, il sergente Gregorio Grillone, oriundo italiano,
ma che non perdeva occasione per offendere la nostra italianità.
Quasi tutte le mattine, all'adunata che precedeva e seguiva la "conta",
dalla sua bocca uscivano insulti contro le donne italiane, che, secondo
lui, erano tutte puttane perché andavano a letto perfino con i negri
(purtroppo quando uscimmo, ci accorgemmo che in parte aveva ragione), e
quando ci ribellavamo alle insolenze, la punizione era il salto del già
magrissimo pasto. Qualcuna citava la Convenzione di Ginevra, e allora ci
rispondeva che gente come noi era al di fuori di ogni convenzione e quindi
lui poteva fare quello che voleva.
Una volta siamo state tre giorni senza mangiare
perché ci fu una vera sommossa. Quella volta non si limitò
ad offenderci come al solito, ma accusò i nostri soldati di vigliaccheria
e di essere più pronti a scappare che a combattere. Poiché
quei "vigliacchi" avevano tenuto inchiodato un esercito cento
volte superiore per mesi e mesi combattendo praticamente a mani nude contro
i carri armati l'offesa ci sembrò tanto intollerabile che ci avventammo
contro di lui..
Successe un putiferio: dette ordine alle torrette
di guardia di scappucciare le mitragliatrici, chiamò gli MP, e solo
allora noi ci calmammo (per forza!). Come punizione ci fu sospeso
il cibo per tre giorni. Riuscimmo a sopravvivere solo perché
ognuna delle camerate tedesche, che dividevano il lager con noi nell'altra
ala, ci dette metà della sua razione per tutti e tre i giorni.
Restammo consegnate nelle camerate per lo stesso periodo, ma poiché
un gruppo si mise a cantare (era la mia camerata), ci fece uscire, solo
noi "colpevoli", e ci tenne circa due ore in piedi sull’attenti
sotto il sole di luglio perché voleva vedere se quelle "fortezze
di Mussolini" fossero in grado di resistere. Resistemmo, ma fu dura.
Un'altra volta, alla solita adunata, ci disse che
per noi era arrivato un sacco pieno di posta, ma poiché non ci eravamo
comportate bene, lo aveva bruciato. Se si pensa che la maggior parte
di noi non sapeva se i suoi familiari fossero vivi o morti, questa era
crudeltà morale bella e buona.
Ad una trasmissione televisiva di "Italia 7"
sui campi di con centramento registrata nel 1993 a Firenze, mi fu chiesto
dall'intervistatrice "perché - secondo me - ci fosse tanto
accanimento contro di noi".
Allora risposi che non lo sapevo, ma poi a forza
di riflettere su questa domanda, credo di aver trovato la risposta.
Non ci perdonavano il fatto di non riuscire a piegarci, di non riuscire
a toglierci la nostra dignità. Era intollerabile per loro
che un pugno di donne non si piegasse e non chiedesse pietà, anzi
riaffermasse la convinzione della scelta fatta anche dinanzi alla minaccia
di deportazione nei campi di cotone dell'Africa. Ci volevano vedere
piangenti e imploranti, ma questa soddisfazione non se la sono mai potuta
cavare, né con noi né con le "civili" che erano
insieme a noi e che non erano tutte fasciste.
Non riuscivano a capire come in una Italia che si
vendeva per una stecca di sigarette o un pezzo di cioccolata potessero
esistere persone, e per di più giovani donne, che non accettavano
di inginocchiarsi dinanzi al vincitore. lo credo che per loro questa sia
stata una vera sconfitta, e devo dire che siamo fiere di aver vinto questa
battaglia di dignità e di fermezza morale.
Molte hanno pagato con danni alla salute i maltrattamenti
subiti: una ventina hanno dovuto curari per l'insorgenza della Tbc, altre
hanno avuto bisogno di cure psichiatriche, altre ancora, picchiate brutalmente
dal Grillone (perché anche di questo si è reso responsabile!)
hanno avuto una lunga odissea di ricoveri ed operazioni chirurgiche per
rimettere in sesto l'organismo rovinato. Ma non abbiamo mollato.
Riuscimmo perfino a mettere su una rivista ed a preparare una grossa festa
religiosa per Ferragosto, con Messa cantata ed addobbi all'altare improvvisato
sulla tavola. Il prete tedesco che officiava (dopo la partenza di un cappellano
militare prigioniero, Don Augusto Sani, ci avevano negato un prete italiano
e dovevamo contentarci (lei cappellano militare tedesco), al Dominus Vobiscum
nostro un viso rigato di lacrime.
Ma quello che ci ferì maggiormente, quello
anzi che riuscì a ferirci in profondità, non furono i maltrattamenti
americani, perchè da un nemico te li puoi aspettare e reagisci con
tutta la tua dignità, bensì la visita di un grasso prete
che si presentò come inviato dalla Pontificia Commissione di Assistenza
e che a noi sfinite e doloranti nel fisico e nell'anima per i maltrattamenti,
la fame, la totale ignoranza sulla sorte delle nostre famiglie, ebbe la
faccia tosta di dire che dovevamo ringraziare Iddio di poter scontare con
queste sofferenze il male che avevamo commesso ed i peccati di cui ci eravamo
macchiate, e che, in definitiva, ce lo eravamo meritato.
Restammo veramente ammutolite, poi cominciò
a levarsi un mormorio alquanto minaccioso. Allora, per evitare il
peggio, la comandante del gruppo, Teresina, prese la parola e lo rimbeccò
duramente, senza però convincerlo, tanto è vero che quella
fu la prima e l'ultima visita e i promessi aiuti non arrivarono mai.
Il 15 settembre fummo trasferite nei locali della
Nettezza Urbana a Casellina, e consegnate agli italiani. Lì vivemmo,
dimenticate, finché un giornalista - Paolo Bugialli - si accorse
di noi ed iniziò una campagna di stampa per la nostra liberazione.
Il 30 novembre, circa due mesi dopo che Coltano
era stato smobilitato, quel "pericolosissimo" gruppo di donne
fu finalmente mandato fuori dal recinto per ricominciare a vivere.
Sono passati quarantanove anni da quel tragico 1945
che insanguinò l'Italia e causò ferite nn ancora rimarginate,
ma i ricordi di allora sono ancora vivi nel cuore e nella mente di coloro
che lo vissero partecipandovi e conservando intatta la loro dignità
ed il loro stile.
da TRE DIARI DI AUSILIARIE A cura della Associazione Culturale
Servizio Ausiliario Femminile. Edizioni NUOVO
FRONTE.1999.
Dal quotidiano "La
Patria" di Firenze - Novembre 1945: DA SEI MESI 278 DONNE ASPETTANO
DI SAPERE COSA HANNO FATTO DI MALE. PIETOSI RELITTI DI GUERRA. Colpevoli,
non colpevoli, madri, bambine, sono in una gabbia spinata senza che nessuno
pensi a condannarle o ad assolverle
Paolo Bugialli
Sulla via Pisana, nel tratto
che chiamano la strada Nuova, un chilometro o due dopo la fine dell’abitato
c’è un edificio di mattoni rossi con grandi finestre in stile moderno:
qualche cosa tra la scuola razionale e una piccola fabbrica modello.
Ma uno strano apparato smentisce
l’una e l’altra ipotesi tutt’intorno al fabbricato, per un’altezza di oltre
tre metri, c’è una grata di filo spinato che sorregge tutto un sipario
di teli da tenda. Al posto del cancello, un assito di legno ben solido.
Davanti, tre soldati della polizia militare con mitra a tracolla. Che succede
là dentro? La gente della zona lo sa benissimo, i viandanti nuovi
restano disorientati. Ma la spiegazione è molto semplice. Quel reticolato,
quello schermo, quei mitra, proteggono e presidiano un campo di concentramento:
il campo di concentramento di Casellina di cui sui quotidiani di Roma s’è
parlato più volte in vario senso e in vario tono. Proprio per cercare
di appurare la verità fra tante notizie controverse abbiamo chiesto
ed ottenuto di poterlo visitare.
Tutte donne. Donne trovate
al seguito dei reparti tedeschi o repubblichini dalle truppe alleate avanzanti
nel nord; donne per lo più addette ai servizi ausiliari: dattilografe,
telefoniste, ecc.
Sono duecentosettantotto,
per lo più giovani, alcune giovanissime. Ce ne sono anche, ma poche,
sulla cinquantina o giù di lì. L’assoluta, stragrande maggioranza
della gioventà ha meritato a tutte indistintamente le ospiti del
campo l’appellativo di “ragazze’’. Il popolo dei dintorni dice: “Le ragazze
del campo’’.
Sono lì da due mesi.
Prima, e cioè dal maggio fino alla metà di settembre, erano
a Scandicci, proprio nella borgata mescolate con molte donne tedesche,
anche loro sorprese al seguito dei germanici in rotta e fatte prigioniere.
Alla metà di settembre gli alleati affidarono alle autorità
italiane il campo: ma conservarono a se stessi il compito del controllo.
Da allora le donne di nazionalità italiana vennero trasferite qui
dove ora le visitiamo. Duecentosettantotto figure umane, colpevoli e non
colpevoli, ovvero colpevoli in varia misura: duecentosettantotto drammi
scaturiti dal caos della guerra e della disfatta. La gente intorno le chiama
con disprezzo “le repubblichine’’, e molte di loro infatti lo sono state:
qualcuna per convinzione, qualche altra per necessità, per forza,
altre ancora, può darsi, per basso lucro, e un buon numero semplicemente
perché dovettero seguire i propri mariti. Alcune continuano ininterrottamente
a dichiararsi vittime di grossi equivoci: sarebbe impossibile escludere
che, almeno qualcuna dica la verità.
La maggior parte sono prigioniere,
se così può dirsi, volontarie: donne cioè presentatesi
alle autorità alleate in ubbidienza al bando che ordinava, a tutte
le donne appunto, le quali avessero prestato servizio presso i tedeschi,
a presentarsi al primo posto di polizia anglo americano per sottostare
a un’inchiesta sul proprio operato. Successe invece che esse furono internate
senza distinzione e senza che si fosse fatta nessuna inchiesta.
Così, un giorno dopo
l’altro, una settimana dopo l’altra sono passati più di 6 mesi e
le duecentosettantotto donne sono lì ad aspettare.
Un miglioramento l’hanno avuto
il quindici settembre passando dalla sorveglianza alleata a quella italiana.
Prima di tale epoca non era loro possibile nessuna comunicazione con l’esterno.
Oggi possono scrivere e ricevere lettere; e anche esser visitate dai parenti.
L’attuale sede di Casellina,
provvisoria sistemazione anche questa, è sensibilmente migliore
del “campo’’ di Scandicci. Tuttavia non adatta alla stagione invernale.
La razione di viveri è uguale a quella assegnata ai prigionieri
degli altri “campi’’ fra i quali Coltano, ora disciolto. L’organizzazione
del campo è affidata alle internate medesime: una di loro sovrintende
alla sorveglianza della disciplina, della pulizia dei locali e dei pasti.
Il campo è comandato da un capitano dell’esercito italiano, da sottufficiali
e carabinieri.
La vita quotidiana? Una vita
di attesa, come in tutti gli altri campi e come in tutte le prigioni. Alternative
di speranza e di scoramento inframmezzate da crisi di disperazione. Le
“ragazze’’ hanno letto sui giornali che gli altri campi, quelli maschili,
sono stati quasi tutti, o tutti, disciolti, e non sanno farsi una ragione
del perché esse continuino a vivere questa vita di dimenticate.
Non si sa davvero che cosa rispondere quando ci dicono di non chiedere
grazie o trattamenti di favore, ma soltanto di venire interrogate, messe
davanti alle loro presunte o provate responsabilità.
Ve n’è di tutte le
condizioni civili: operaie, maestre, studentesse. Donne, molte, che in
qualche parte d’Italia hanno un marito, magari dimesso appena ora da Coltano
o da qualche altro campo, e, non poche, con figli piccini vaganti tra un
parente e l’altro, o affidati alla cura di estranei.
Tre internate attendono di
settimana in settimana di diventare mamme. Non vorrebbero dare ai nascituri
il triste battesimo di questo reticolato. Sappiamo che lo stato di disagio
fisico in cui inevitabilmente di svolge la vita nel campo ha impedito a
qualche altra donna di condurre a termine il proprio stato di maternità.
Ci sono due ragazze che, anche secondo le dichiarazioni dell’Associazione
Partigiani e dei Comitati di Liberazione dei loro paesi, sono vittime di
un grosso errore. Pur avendo fatto parte di formazioni partigiane, vennero
prelevate da truppe anglo americane e non riuscirono, né riescono
a farsi ascoltare per mettere in piena luce l’equivoco di cui sono state
vittime. Un’altra, madre di otto figli, era stata deportata in Germania:
al momento del rimpatrio fu presa e spedita nel campo. Senza dubbio, dal
momento che era stata in Germania, era stata coi tedeschi, ma quel piccolo
particolare della deportazione non è riuscita mai a farlo intendere:
perché non l’hanno mai interrogata, e perché quando la fermarono
e le chiesero donde venisse essa non poté negare la materialità
del fatto d’essere stata e di avere “lavorato’’ per i tedeschi. Il sommario
interrogatorio venne fatto, da parte degli alleati, in italiano che, senza
dubbio, aiutò il penoso equivoco.
Vediamo poi una mamma che
ha con sé una bimba di dodici anni, diverse ragazze, fra i qundici
e i diciassette, sorprese dalla catastrofe italiane nei collegi della “Gil’’
per i figli degli italiani all’estero. Dopo l’otto settembre, esse, senz’altro
domicilio e senz’altra risorsa di vita che non fosse quella del collegio,
non poterono non seguire la sorte di questo che fu trasferito in Alta Italia.
Nord, dunque collaborazionismo o poco meno. Dunque, campo di concentramento.
In inevitabile vicinanza con altre ragazze anche non proprio di tipo collegiale.
Il Comando Militare Territoriale,
nella cui giurisdizione è compreso il campo, non ha facoltà
di iniziare inchieste sulle singole responsabilità. Una domanda
in tal senso è stata rivolta alle autorità alleate, e sollecitata
per diverse vie. Se ne sono occupati tra gli altri il Cardinale Arcivescovo
e la Croce Rossa Italiana, ma a tutt’oggi nulla di concreto è stato
disposto. Le internate, e non meno le autorità italiane, e con loro,
dobbiamo crederlo, tutta la gente di cuore edotta di questo stato di cose,
magramente si consolano all’ombra di qualche assicurazione verbale.
da TRE DIARI DI AUSILIARIE A cura della Associazione Culturale
Servizio Ausiliario Femminile. Edizioni NUOVO
FRONTE.1999.